In Calabria, quando la politica chiede aiuto alla ‘ndrangheta

Andavano in fila, spioni, politici e candidati a rendere omaggio a Peppe Pelle, figlio e erede incontrastato di ‘Ntoni Pelle, detto Gambazza. Stiamo parlando di ‘ndrangheta alta, quella che comanda a San Luca e nella Jonica, ma che sa dettare legge anche nei palazzi della politica. Tutti dal figlio del mammasantissima, perché la novità è questa: in Calabria non sono più i boss che si rivolgono alla politica, ma i politici che chiedono aiuto e sostegno elettorale ai capi della ‘ndrangheta.

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Questa rabbia sacrosanta. Ma sterile

Nelle pseudo-democrazie come la nostra, la violenza è un tabù. È vietato non solo praticarla, perché rompe il quadretto falso e idilliaco del “migliore dei mondi possibili”, ma perfino provare a comprenderla. Di qui il coro compatto e idiota che da destra a sinistra ha marchiato i manifestanti che martedì 14 dicembre hanno messo a ferro e fuoco Roma come una canaglia di teppisti. 100 mila fra studenti armati di libri (i “Black Books”), di precari dell’università, di operai, di comitati sparsi per il paese, di sindacati, di partiti e di associazioni sono stati fatti scomparire dalla cronache per far posto all’allarme per i famigerati Blocchi Neri (“Black Bloc”), gli antagonisti di estrema sinistra, i centri sociali.

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