Processo Mori, l’autodifesa del generale: “Clima mediatico e politico contro di me”

Massimo Ciancimino? Un depistatore. Il papello? Solo una fotocopia anonima. La testimonianza del colonnello Michele Riccio? Contraddittoria e tardiva. La trattativa con don Vito Ciancimino? Solo un aleatorio progetto investigativo. A cinque anni dall’inizio del processo che lo vede imputato per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra, il generale Mario Mori prende la parola davanti ai giudici della quarta sezione penale di Palermo. Dopo che con la sua lunga requisitoria il pm Nino Di Matteo ne aveva chiesto la condanna a nove anni di reclusione per aver bloccato l’arresto di Bernardo Provenzano a Mezzojuso nel 1995 (sei anni e mezzo invece la pena chiesta per l’altro imputato Mauro Obinu), Mori è entrato in aula con un faldone di 163 pagine ben ordinate: sono le sue dichiarazioni, la sua difesa personale che – insieme alle arringhe degli avvocati – dovrebbe convincere i giudici ad assolverlo.

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Matteo Messina Denaro, 20 anni di latitanza

Trapani. Perché è impossibile dire di “no” alla mafia evitando di essere definiti “professionisti dell’antimafia”? Questo succede perché il “no” alla mafia dà fastidio quanto raccontando fatti e cronache giudiziarie, oppure descrivendo il contenuto delle sentenze, le malefatte della nuova mafia, quella che non spara ma che gestisce imprese e appalti, emette false fatture, ottiene finanziamenti pubblici.

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