L’Italia sta installando meno di un terzo dell’eolico necessario agli obiettivi Ue

Togni: «Dare certezza di procedure e tempi agli operatori eolici, con una politica di semplificazione efficace»

L’Europa importa il 58% della sua energia, dipendendo in particolare da fonti fossili care e spesso poco sicure, in primis il gas russo, e l’unica soluzione strutturale a questa debolezza energetica e geopolitica passa dalle fonti rinnovabili: gli impianti industriali a produrre energia da queste fonti però avanzano troppo lentamente, come mostra da ultimo la statistica 2021 appena pubblicata da WindEurope ed incentrata appunto sull’eolico.

L’Europa ha installato 17,4 GW di nuovi impianti eolici nel 2021 (l’Ue a 27 si è fermata a 11 GW), portando il totale della capacità installata a 236 GW, soprattutto grazie agli sforzi messi in campo da I Regno Unito, Svezia, Germania, Turchia e Paesi Bassi. Non dall’Italia, che risulta il peggiore Paese d’Europa nell’autorizzare nuovi impianti: «In Italia i dati sono sconfortanti, infatti a fronte di oltre 1,5 GW all’anno necessari per raggiungere gli obiettivi nazionali, si installa meno di un terzo della potenza necessaria», spiega il presidente di Anev, Simone Togni.

Ma anche del resto d’Europa le installazioni come si è visto procedono a rilento, e senza correttivi continueranno a farlo. La previsione è in media di 18 GW all’anno di nuovo eolico nei prossimi cinque anni, ma ancora non basta: «Per raggiungere il target rinnovabili del 40% al 2030, l’Ue dovrebbe installare 30 GW di eolico ogni anno ma ha installato solo 11 GW nell’ultimo anno e installerà circa 18 GW nei prossimi anni. Quote così basse mettono in pericolo il Green deal e stanno danneggiando il settore eolico europeo», commenta l’ad di WindEurope, Giles Dickson.

Il problema principale sta nelle procedure autorizzative: quasi nessuno degli Stati membri rispetta le tempistiche degli iter autorizzativi richieste dalla Direttiva europea sulle energie rinnovabili, dato che la normativa e le procedure di permitting sono troppo complesse e le istituzioni coinvolte nei processi autorizzativi non hanno abbastanza personale, senza contare le svariate sindromi Nimby&Nimto che sono ormai una costante nel nostro Paese.

Così, anziché con le sfide della transizione ecologica, l’industria eolica si trova a fare i conti con l’aumento dei prezzi dell’acciaio e di altre materie prime e con l’interruzione dei flussi di approvvigionamento internazionali. Tanto che nel 2021 quattro dei cinque costruttori di turbine hanno operato in perdita: «L’industria eolica europea sta perdendo soldi, chiudendo fabbriche e perdendo posti di lavoro, proprio quando invece dovrebbe crescere per soddisfare l’enorme espansione dell’energia eolica che l’Europa desidera», aggiunge Dickson.

I cittadini, l’industria e le imprese europee hanno però urgente bisogno di energia rinnovabile “locale”, se non altro perché il costo delle energie rinnovabili è oggi più basso di quello delle energie fossili. «L’Italia ha bisogno di dare certezza di procedure e tempi agli operatori eolici e questo si può ottenere solo con una politica di semplificazione efficace – conclude Togni – Inoltre è indispensabile evitare provvedimenti punitivi e fortemente distorsivi del libero mercato come l’art. 16 del recente D.Lgs. Sostegni-ter. Che speriamo venga abrogato in fase di conversione dal Parlamento».

fonte: greenreport.it