La dieta per il pianeta del Politecnico di Torino. Per un sistema alimentare sano e sostenibile

Un nuovo indicatore per misurare la salute e la sostenibilità dei sistemi alimentari globali e la loro evoluzione

«E’ possibile garantire una dieta sana per una popolazione futura di 10 miliardi di persone rispettando le soglie di sostenibilità del pianeta? Partendo da questa domanda, lo  studio “Compliance with EAT–Lancet dietary guidelines would reduce global water footprint but increase it for 40% of the world population”, pubblicato su Nature Food, Marta Tuninetti, Luca Ridolfi e Francesco Laio del Dipartimento di ingegneria dell’ambiente, del territorio e delle infrastrutture (DIATI) del Politecnico di Torino, propone il Diet Gap, un indicatore per «Misurare l’inadeguatezza dei sistemi alimentari attuali dal punto di vista della salute e della sostenibilità».

I tre ricercatori del Politecnico di Torino ricordano che  «Le abitudini alimentari sono peculiari del paese in cui viviamo e possono essere molto diverse da quelle di altri Paesi per ragioni legate al contesto storico, religioso, culturale, economico e sociale: “siamo quello che mangiamo”. Secondo le indicazioni della commissione EAT-Lancet, dovremmo limitare il nostro consumo settimanale di carne rossa a un massimo di 200 grammi. In media globale, tuttavia, superiamo di 2,5 volte questa soglia; in Europa tale soglia viene superata di ben 4 volte con importanti ripercussioni sulla salute e sull’ambiente. Guardando invece al consumo di legumi il Diet Gap mette in luce un consumo ben inferiore alla quantità ideale (circa 100 grammi al giorno), soprattutto nei Paesi più sviluppati, dove il consumo di ceci, fagioli, lenticchie risulta circa stagnante e sotto soglia fin dagli anni Sessanta. Il consumo di frutta e verdura mostra invece una dinamica più virtuosa, dal momento che in molti Paesi del mondo le soglie suggerite dalla commissione (300 grammi di verdura al giorno e 200 grammi di frutta) sono rispettate».

Tuninetti,  Ridolfi e  Laio  evidenziano il problema dei cosiddetti Food Deserts, «I deserti alimentari che si trovano in alcune città nei Paesi più sviluppati, dove il reperimento di frutta e verdura fresca risulta spesso molto difficile soprattutto per i più poveri».

Come suggerito dalla Commissione, la dieta Lancet è stata concepita per essere il più versatile possibile e per includere e promuovere le diverse esperienze culinarie come opportunità per imparare nuovi modi di preparare diete sane e piacevoli (come dimostra la raccolta di ricette e consigli alimentari disponibile online).

Nel complesso, lo studio mostra come «una transizione verso un sistema alimentare più sano implichi una transizione verso un sistema alimentare più sostenibile». E gli autori commentano:; «Se tutti i Paesi adottassero la dieta EAT–Lancet, l’impronta idrica diminuirebbe del 12% a scala globale. Il cibo presenta infatti impronte idriche molto diverse: in Italia 200 grammi di lenticchie richiedono circa 900 litri di acqua, mentre 200 grammi di carne bovina ne richiedono più del doppio»

Lo studio si conclude con un’ampia panoramica degli approcci utili ad innestare la transizione verso a una dieta sana e sostenibile, come la sensibilizzazione dei consumatori e una corretta educazione, gli incentivi economici per superare le barriere di accesso a un mercato sano nei deserti alimentari delle città, la tassazione delle bibite gasate (contro la quale Salvini e la Meloni hanno fatto fuoco e fiamme).

Inoltre, i ricercatori fanno notare che «Il miglioramento della refrigerazione, della trasformazione degli alimenti e l’imballaggio sostenibile offrono un contributo fondamentale per preservare l’ambiente e migliorare la salute pubblica».

fonte: greenreport.it