Dopo l’attentato, la paura. Charlie Hebdo ucciso due volte

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di Matteo Zola

Un milione in strada a Parigi, gente comune e leader politici mondiali per ricordare i morti di Charlie Hebdo, il giornale satirico colpito dall’attentato terroristico del 7 gennaio scorso, e le vittime degli attentati successivi, in tutto diciassette. Un milione in strada per rispondere alla dichiarazione di guerra, come molti l’hanno definita, del fondamentalismo islamico all’Europa.

Nei giorni successivi all’attacco c’è stata una gara a tirare fuori valutazioni acute e intelligenti per farsi notare, a scapito dell’attenzione che andrebbe prestata al problema affrontandolo da tutti i punti di vista senza appiattirsi sulle retoriche dell’attacco ai “valori occidentali” o alla libertà di stampa. Inevitabilmente si sono susseguite le strumentalizzazioni politiche, alcune di bassa lega. Dal punto di vista di chi scrive la messa in scena del grande cordoglio occidentale, e le richieste che già vengono dalla Francia per inasprire i controlli e le misure preventive, uccidono due volte Charlie Hebdo e quel che rappresenta.

Charlie Hebdo è un giornale di tradizione libertaria e repubblicana. E in rispetto a quella tradizione i giornalisti e i vignettisti non si sono mai sottratti al dovere di mettere in ridicolo anche la barbarie del fondamentalismo religioso che, come ogni radicalismo, non può accettare il riso e l’ironia. Il riso è critica, è rovesciamento, è decostruzione (come insegnavano Nietzsche e Bataille) che serve a costruire meglio oppure solo a distruggere la paura. Perché la paura non ride, la paura è un potere reazionario e conservativo. Come diceva il venerabile Jorge ne Il nome della rosa: “il riso cancella la paura, ed è sulla paura che si basa il timor di Dio e perciò la fede”. Nel mirino di Charlie Hebdo c’erano tutte le religioni e le loro pretese di influenzare la società francese che è, ricordiamolo, una società fondata sulla laicità.

Il valore della laicità dello stato è un valore europeo, senz’altro. Ma per alcuni europei anche quelli cristiani sono valori europei. Spesso questi valori non si conciliano: la pressione per negare i diritti civili agli omosessuali o per impedire l’eutanasia legale, la fecondazione eterologa, e via dicendo contrasta profondamente con i valori espressi da realtà come Charlie Hebdo. Nell’Italia neoguelfa, che pende dalle labbra dell’inquilino di San Pietro, siamo davvero tutti Charlie Hebdo? No, non lo siamo. Ma lo slogan “je suis Charlie Hebdo” è diventato presto un comune denominatore del conformismo.

E’ il conformismo, unito a una certa superficialità, che fa essere tutti Charlie Hebdo. Sotto quello slogan ci sono tutti, dai neofascisti ai progressisti, dai cristiani agli atei, dagli xenofobi ai sostenitori della società multiculturale. Così, nelle piazze delle nostre città, sono andati in tanti con la matitina nel taschino a commemorare le vittime di un giornale che non conoscevano e che, se conoscessero, non comprerebbero. E’ il potere del conformismo e della rappresentazione del dolore collettivo.

Dietro questo conformismo del dolore c’è il vuoto. Se fosse dolore vero non potrebbe uniformarsi, poiché il dolore è come un cristallo di neve, diverso ogni volta che (ac)cade. Le matitine sono una rappresentazione standardizzata di quello che dovremmo provare ovvero dei valori che, comunemente, dovremmo tutti condividere.

Alcuni credono che essere Charlie Hebdo significhi essere contro il fondamentalismo islamico in Europa che “ci ha dichiarato guerra”, come ha scritto su Internazionale Igiaba Sciego, scrittrice afroitaliana. E a guerra dichiarata che si fa?  Non si porge certo l’altra guancia. E la guerra – con il suo armamentario di leggi speciali – consentirà una riduzione dei diritti democratici in nome proprio della democrazia. Non l’abbiamo già visto a Guantanamo? Difendere la democrazia a colpi di torture, detenzioni illegali, processi sommari. Non deve accadere che i fatti di Parigi diventino la scusa per introdurre misure di polizia eccezionali. E molto meglio sarebbe stato se la polizia francese avesse arrestato, e non ucciso, i presunti attentatori in modo da interrogarli e capire chi sono e chi li finanzia, risalendo la filiera criminale, e poi processarli rendendo noto all’opinione pubblica cosa c’è dietro quell’attacco. Con la morte dei presunti attentatori tutto diventa mistero, come già con l’attentato alle Torri gemelle. Se l’Europa vuole difendere i propri valori democratici deve allontanare da sé la paura. Perché è la paura che arma le polizie, che scrive le leggi speciali, che alimenta i pregiudizi e generalizza lo scontro.

Tutti già si sgolano a dire che non è l’Islam in sé a essere un nemico ma il fondamentalismo, E lo è di certo. Ma già assistiamo a partiti politici che soffiano sul vento della paura e usano Charlie Hebdo per propri fini propagandistici dichiarando che no, la moschea nel tal posto, non va costruita. Ma non siamo tutti Charlie Hebdo? Non siamo tutti per la difesa dei valori europei? Tra quei valori c’è la libertà di culto senza discriminazione alcuna. Anche in questo caso la paura calpesta i valori occidentali. E Charlie Hebdo viene ucciso di nuovo.

Ma questo Islam fondamentalista contro chi sta facendo la guerra? Contro il cosiddetto Occidente? Contro la libertà di stampa? No, è una guerra dentro l’Islam che ha radici antiche, una guerra che vede morire anzitutto musulmani e che oggi usa le contraddizioni dell’Europa per convincere giovani di seconda o terza generazione, stanchi di vivere come cittadini di seconda categoria, a combattere per una società “giusta e pura” nel nome dell’Islam. Ma questa dottrina della purezza, la dottrina del fondamentalismo, è sponsorizzata anzitutto da paesi con cui l’Europa è alleata: quegli emirati del Golfo con cui facciamo affari d’oro, da Dubai, al Bahrein, agli Emirati Arabi Uniti fino all’Arabia Saudita, paesi che finanziano il wahabbismo e la “jihad” con soldi che (chissà) forse finiscono anche nei mille rivoli del fondamentalismo islamico europeo come quello che (forse) ha organizzato l’attentato alla sede di Charlie Hebdo. La domanda sorge spontanea: la guerra ce l’hanno dichiarata loro? E allora perché andiamo a combattere in Afghanistan, in Libia, in Mali?

E poi, perché attaccano i nostri valori europei solo se la bomba esplode a Parigi e non, che so, a Baghdad? Non sono universali i valori? Allora dove sono i simboli dell’unanime cordoglio per i giornalisti uccisi in Russia, o per le studentesse rapite in Nigeria, o per i maestri uccisi a Bassora?

Ci sono poi quelli che dicono: “musulmani moderati, dimostratevi di essere moderati e dissociatevi dall’attentato”. E perché mai? Non ho sentito nessun cristiano dissociarsi dal gesto di Breivik a Oslo. Perché non ha senso dissociarsi da qualcosa che non ti rappresenta e con cui non hai nulla a che fare.

Nella grande messa in scena cui stiamo assistendo quei valori europei che dovremmo difendere, i valori della democrazia, della ragione, della tolleranza e del pluralismo, stanno passando in secondo piano. Charlie Hebdo viene utilizzato per diffondere i disvalori dell’odio, dell’intolleranza, del radicalismo che – giustamente – condanniamo e rifiutiamo quando li vediamo incarnati dal fondamentalismo islamico ma che siamo pronti ad abbracciare all’interno delle nostre società. Non dobbiamo, insomma, piegarci alla paura, armare la paura, ma ridere del nostro nemico. Seppellire con una risata i morti, per onorarli, e denudare il radicalismo religioso e politico, con o senza la mezzaluna. Solo allora saremo liberi e forti abbastanza da vincere la paura. Perché delle nostre risate il fondamentalismo ha paura.

Fonte:Eastjournal