Minacce di morte a Di Matteo

di Giorgio Bongiovanni
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Nell’era dell’informazione che viaggia sulla rete si può essere in ogni angolo del globo per essere raggiunti da una notizia e farsi un’idea di quel che sta accadendo. La notizia di un nuovo progetto di attentato nei confronti del magistrato, Nino Di Matteo, mi raggiunge qui in Paraguay, ad Asunción, la terra dove poco tempo fa è stato ucciso il nostro collega ed amico Pablo Medina. In Italia ancora una volta, centinaia di chili di tritolo vengono nascosti nella città di Palermo. La condanna a morte lanciata dal carcere di Opera, da parte di Totò Riina, nei confronti del magistrato che indaga sulla trattativa Stato-mafia, appare materializzarsi nelle parole del neo pentito, Vito Galatolo. Ai pm dice che a volere la morte del sostituto procuratore ci sono “entità esterne oltre Cosa nostra”.

La famiglia Galatolo, inserita da tempo nell’organizzazione criminale, già all’epoca del “regno” di Riina (ammesso che si sia mai concluso) è da sempre legata con i Servizi segreti. Basti pensare al fallito attentato all’Addaura, che Falcone aveva dichiarato essere opera di “menti raffinatissime”, organizzato proprio da quella famiglia.
Con la nuova minaccia di bombe in più zone d’Italia si è tenuta una manifestazione per sostenere Di Matteo e gli altri pm minacciati. Tuttavia, nonostante l’ironico auspicio del collega Saverio Lodato nel suo aforisma, non abbiamo visto discese di ministri e membri del governo in piazza a Palermo. Accanto ai cittadini, dopo l’ennesima minaccia, si registrano le parole di vicinanza al pm di qualche deputato, qualche collega magistrato, e qualche giornalista. Persino Csm ed Anm, stavolta, hanno espresso parole di solidarietà, con il Consiglio Superiore che potrebbe anche tenere una trasferta a Palermo se verrà approvata la proposta dell’ex Gip Piergiorgio Morosini e dei consiglieri Piertantonio Zanettin, Luca Forteleoni e Paola Balducci.
Resta assente il Governo il cui silenzio diventa terrificante di fronte alla portata della minaccia. Tace sul bomb jammer, l’unico strumento che potrebbe forse contrastare un progetto di attentato similare a quelli di Capaci e via d’Amelio. La scorta di Di Matteo è stata potenziata ma non basta.
Il motivo per cui la mafia, i poteri forti, i servizi segreti, le massonerie, i vertici dell’economia e della finanza vogliono la morte del magistrato è presto detto.
Gli italiani non devono sapere la verità sulle stragi di Falcone e Borsellino, non devono conoscere quello che è accaduto in quegli anni di trattative, non devono sapere che coloro che hanno armato la mano dei killer dei tanti martiri caduti, sono coloro che oggi siedono sui banchi del potere, gli stessi che parlano di riforma della Costituzione. Ed anche coloro che oggi non rivestono più un ruolo di primo piano hanno un grado di responsabilità perché vigliaccamente hanno preferito trattare con Cosa nostra per aver salva la propria vita. Qualora andasse in porto un nuovo attentato però questo sarebbe l’errore più grande che l’arroganza del potere possa commettere. 
C’è il fermento di una rivoluzione. In apparenza la cenere che si trova sotto la conca è spenta ma in realtà ci sono ancora le braci che covano. E’ la brace di una grande protesta civile che potrebbe scalzare, con qualsiasi mezzo, questo potere nefasto e corrotto.
Se si conoscesse la verità forse il popolo finalmente reagirebbe con una nuova e più forte “Resistenza” e quindi scalzando di sella definitivamente il potere fascista travestito da democratico. E’ questa la paura dei potenti. E’ per questo che arrivano a tanto, fino a minacciare una nuova stagione di tritolo. E’ per questo che Nino Di Matteo deve essere ucciso in quanto simbolo di quella magistratura e di quei servitori dello Stato vero, che si contrappone allo Stato-mafia, che vogliono far emergere la verità, anche se questa costerebbe lacrime e sacrifici, pur di liberare il Paese dal Cancro.
Fino ad allora, se non reagiremo con forza e determinazione, saremo “deboli”, “malati terminali” di fronte a questa malattia di cui la mafia è solo una minacciosa ferita. La vera metastasi ha radici più profonde capaci ormai di penetrare fin dentro le più alte sfere dello Stato trasformando lo stesso, lo abbiamo detto e ridetto, in Stato-mafia.

fonte: antimafiaduemila.com