Domenico Seccia: “Nelle Marche il pericolo è l’economia mafiosa”

di Anna Petrozzi e Miriam Cuccu

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Nella procura di Bari prima e in quella di Lucera (Foggia) poi, Domenico Seccia si è occupato in particolare della mafia del Gargano, scandagliandone gli equilibri di potere familiare ed economico e la presenza militare sul territorio. Dallo scorso settembre è procuratore a Fermo, nelle Marche. Già dopo alcuni mesi il magistrato aveva accennato a “cose che mi preoccupano” parlando di radicamento della criminalità organizzata, a conferma del fatto che le Marche, pur non essendo una regione di insediamenti mafiosi, si configura come un territorio particolarmente appetibile per le infiltrazioni criminali e il reinvestimento di denaro sporco.

Procuratore Seccia, a quasi un anno di distanza dal suo insediamento, qual è la sua valutazione della capacità di penetrazione delle mafie nel tessuto economico e sociale del territorio fermano?
Partendo dall’assunto che in Italia ormai non esistono più zone vergini, distanti dai fenomeni di penetrazione e radicamento della criminalità organizzata, è chiaro che il livello di guardia non deve essere mai abbassato. Anche nell’ambito di questo circondario esistono fenomeni preoccupanti: purtroppo questa è una terra di ricezione ed “ospitalità” di collaboratori di giustizia, nei confronti dei quali non sempre il percorso rieducativo e di pentimento è totale. Rifuggire dalle proprie radici non è sempre facile, anche perché in famiglia è verosimile che permanga una particolare propensione a non staccarsi completamente dal proprio humus o dalla propensione delittuosa. Il reinserimento in un tessuto economico e sociale sano è particolarmente complesso, soprattutto nei periodi di crisi. È noto che nel territorio abbiamo collaboratori che sono stati criminali di altissimo spessore, questo desta la necessità di elevare gli argini del controllo. Per il resto assistiamo alla penetrazione di frange di criminalità organizzata perdente, cacciate dal proprio territorio per aver perso le guerre e che qui trovano terreno più fertile. Abbiamo sintomi di penetrazione della mentalità criminale nell’ambito del gioco d’azzardo e soprattutto nell’estorsione, più remunerativa e proficua.

Come reagisce il territorio alle richieste estorsive e all’intimidazione relativamente recente rispetto alle regioni del Sud?
Si verifica una particolare omertà e chiusura da parte delle vittime, lo considerano un fenomeno passeggero o ritengono che si tratti di condizioni che sostanzialmente non impicciano la prosecuzione dell’attività commerciale ed economica. Sottovalutano il fenomeno nel senso che considerano la denuncia un male peggiore di quello che è subire l’attività intimidatoria. Questo è comprensibile nell’ambito di territori che non vivono l’economia illegale da tempo, un processo superiore rispetto a quello della violenza, che ha bisogno di intelletti sopraffini, della conoscenza di tecniche riciclatorie abbastanza sofisticate. Siamo di fronte ad alcuni frammenti di un’attività che per ora rimane silente o si manifesta solo in determinati episodi, perché non abbiamo la compattezza e la radicalità delle organizzazioni criminali che in questa terra gestiscono sicuramente attività legate al traffico della droga: ci sono zone nell’ambito del fermano che sono praticate da chi esercita il commercio di stupefacenti collegato ad un’attività extracomunitaria abbastanza radicata nelle zone di periferia e sottoposta ad un approvvigionamento che certamente proviene dalle mafie storiche.

Come la Camorra e la ‘Ndrangheta?
Sì, abbiamo delle cellule calabresi radicate sul territorio su cui si stanno svolgendo degli accertamenti, ma anche qualcuna di origine siciliana e napoletana, riconducibile ai Casalesi. In precedenza sul territorio c’erano anche frange di criminalità foggiana che facevano rapine in trasferta, oggi questo modus criminale per fortuna è in fase di diminuzione. Questi fenomeni destano qualche perplessità e soprattutto vanno analizzati con la dovuta attenzione, occorre un impegno da parte di tutti e soprattutto da parte nostra.

Quali sono gli strumenti indispensabili per un serio contrasto alla criminalità organizzata, nello specifico nel territorio marchigiano?
Occorre che anche le forze di polizia si abituino ad un tipo di investigazione diversa da quella tradizionale, con un approccio molto più sofisticato che parte dall’uso appropriato degli strumenti tecnici più invasivi. Anche il ricorso alle microspie, se inadeguato, comporta più danni che vantaggi. Per questo però ci vuole tempo ed un approccio sinergico che si sta cercando di raggiungere nonostante abbiamo una scopertura di organico del 50% che denota l’impossibilità di poter affrontare con il giusto calibro situazioni che meriterebbero un ben diverso approccio, perciò dobbiamo occuparci necessariamente delle emergenze. Noi abbiamo lavorato, lavoriamo e continueremo a lavorare, ma per affrontare questi problemi occorrono delle menti che vi si dedichino completamente, che quantomeno abbiano la serenità per poterli affrontare. Altrimenti saranno sempre le mafie ad arrivare per prime.

In territori come quello marchigiano, ma anche sul territorio nazionale, è ormai chiaro agli inquirenti che oggi l’azione di contrasto si è spostata sul piano della lotta ai capitali illegali poiché sul piano militare si può dire che sono stati raggiunti notevoli risultati.
Sotto il profilo giudiziario dobbiamo superare la mentalità di trattare unicamente il fascicolo penale ordinario della truffa o del furto e focalizzare maggiormente l’attenzione nei confronti dei centri di potere economico illegale. Questo ci induce a fare ricorso sempre di più alle possibilità che la legge offre con i sequestri e le confische di beni, con le misure di prevenzione patrimoniale su cui le articolazioni degli uffici giudiziari, soprattutto territoriali, sono oggi un po’ fermi. Anche da questo punto di vista bisogna crescere, perché ci sono strumenti che permettono di creare uno scudo positivo di fondamentale importanza per togliere loro l’acqua dove nuotano. La vera opposizione giudiziaria, la vera sanzionabilità di certi comportamenti è nell’afflizione patrimoniale. Bisogna seguire il denaro perché è quello che porta all’evidenza dei possibili fenomeni di criminalità organizzata.

Anche i beni confiscati diventano una questione molto importante da affrontare, sia per sottrarre alle mafie potere economico ma anche per incrementare la fiducia dei cittadini nello Stato, che si riappropria di terreni e attività imprenditoriali. Nelle Marche, però, a fronte di 26 beni confiscati, solo due risultano essere effettivamente in uso.
Il problema è nella loro gestione, che se fosse più approfondita e positiva potrebbe risolvere i moltissimi problemi delle risorse della giustizia. Questi fondi, gestiti dallo Stato, creano delle difficoltà per la loro manutenzione, e la proposta avanzata da più parti è quella di venderli. Così facendo, però, si corre il rischio che possano finire nelle stesse mani di coloro ai quali sono stati sottratti. Ci sono esempi di fabbricati confiscati e finalizzati ad uso sociale o per caserme ma questo non basta. Si pensi alla gestione di vasti appezzamenti agricoli e territoriali, di cantine e ristoranti, bisogna avere anche le capacità manageriali per gestire questo tipo di attività, e purtroppo i costi di gestione sono superiori rispetto ai ricavi. Questo crea un deficit occupazionale perché poi si è costretti a licenziare, poi è chiaro che purtroppo c’è chi dice: “si stava meglio prima”.

In che modo è possibile aiutare i cittadini a comprendere il fenomeno mafioso prima che si radichi  nel nostro territorio? Si pensi in particolare ai piccoli e medi imprenditori che possono entrare in contatto con personaggi apparentemente al di sopra di ogni sospetto ma che in realtà sono legati ad esponenti della criminalità organizzata, in grado, per esempio, di offrire loro liquidità a piccoli tassi d’interesse. Una proposta che può fare gola in un momento di crisi come questo a più di un imprenditore.
Il compito delle istituzioni è soprattutto quello di fare in modo che i cittadini abbiano fiducia in loro, informandoli del pericolo che si può correre soprattutto sul versante dell’infiltrazione economica: la restrizione del credito legale è una spia enorme sotto questo profilo, le leggi prevedono che ci siano organi di controllo deputati a questo e che debbano segnalare i fatti quando vengono a conoscenza di situazioni particolari. Da questo punto di vista la penuria di informazioni che riceviamo è notevole, tanto che molte volte scriviamo dei fascicoli penali per segnalazioni che provengono da articoli di giornale, quindi non si parla di una denuncia vera e propria. Se incrementiamo la conoscenza di tutto questo incrementiamo anche la fiducia e non ci sarà più bisogno dell’articolo di giornale per aprire un procedimento perché l’iniziativa partirà direttamente dal cittadino. E’ già un grosso passo avanti che in questo ufficio, a quasi un anno dal mio insediamento, il contatto col pubblico è notevole.

Come è invece necessario incrementare la conoscenza delle mafie e delle illegalità nelle aule scolastiche?
L’attenzione che è stata posta nelle scuole è notevole ma non basta educare alla legalità con un progetto coltivato in un mese solo per poi partecipare ad un concorso e ricevere il premio. L’educazione alla legalità dovrebbe essere trattata per una o due ore permanenti settimanali all’interno della scuola. Bisogna parlarne, il magistrato parla soprattutto per atti giudiziari, per me è anche l’applicazione della legge in maniera rigorosa che accresce il senso di fiducia nello Stato. Io credo nel lavoro congiunto di tutte le parti sociali, soprattutto l’associazionismo, che ormai considero una struttura permanente nell’ambito del linguaggio dell’antimafia. Ci sono zone colpite in maniera molto intensa dal fenomeno mafioso, da cui io provengo, dove per certi versi c’è un ottimo associazionismo ma per altri no, soprattutto nelle zone ad alta densità mafiosa si stenta ad avere una buona vita sociale. Per questo in una scuola del territorio dissi che bisognava elevare gli argini dell’antimafia nel senso di combattere le illegalità, qualunque esse siano. E soprattutto assumere il senso della praticabilità delle cose, perché credo che le parole siano state un po’ abusate. E’ bello dire “legalità” ma si cresce solo mettendola in pratica in tutti gli ambiti della vita quotidiana.

fonte: antimafiaduemila.com