Il giorno dopo. Su L'Aquila ricala il sipario

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di Monica Centofante – 7 aprile 2011
Trecentonove rintocchi della campana della chiesa delle Anime Sante a spezzare, nella notte di ieri, il silenzio assordante de L’Aquila. Mentre i nomi delle vittime del sisma che ha colpito la città il 6 aprile del 2009 venivano snocciolati come un triste, lento rosario di fronte a ventimila persone che hanno atteso in Piazza Duomo l’ora fatale: le 3.32. Oggi il silenzio è calato di nuovo sulla città e sui destini di migliaia di persone dimenticate…
…nonostante le parole rassicuranti del Presidente Giorgio Napolitano, trasmesse in pompa magna dai Tg, che alle commemorazioni ha preso la parola per rassicurare i sovravissuti al sisma: “Non devono avere paura” di essere abbandonati dalle istituzioni, ha detto. Ma fatta eccezione per lui (e per pochi altri) le istituzioni a L’Aquila ieri non c’erano. E soprattutto non c’erano, non ci sono mai, le telecamere di quegli stessi Tg a riprendere i luoghi simbolo del fallimento governativo e il dolore silenzioso di chi il dramma del terremoto continua a viverlo, giorno dopo giorno, tra le macerie di una città immobile. Imprigionata nella fotografia di quella notte fredda e ostile.

Secondo i dati diffusi dalla Sge, la Struttura per la Gestione dell’Emergenza, a due anni dal sisma sono ancora 37.733 le persone assistite nel Comune della città e nei 56 colpiti dal terremoto. Di queste circa 23 mila risiedono in alloggi a carico dello Stato, 13.500 beneficiano del contributo di autonoma sistemazione (“fino a un massimo di 600 euro mensili per nucleo familiare e, comunque, nel limite di 200 euro per ogni componente del nucleo familiare”) 1300 sono assistite in strutture ricettive e di permanenza temporanea.
Nel primo dei casi, quello dei cosiddetti complessi antisismici sostenibili ed ecocompatibili – la migliore tra le sistemazioni – si registrano malfunzionamenti degli immobili, mancanza di approvvigionamento dei servizi essenziali, servizi igienici in cattive condizioni nel 35% dei complessi residenziali esaminati. Ma, soprattutto, si vive l’abbandono.
Sono i dati che emergono dalla ricerca “Microdis-L’Aquila” condotta alla fine del 2010 su un campione di 15mila persone, che restituiscono l’immagine di una comunità morta insieme al sisma. Il 73 per cento degli intervistati, si legge, ha lamentato la “totale mancanza di posti di ritrovo per la comunità, con i giovani tra i 18 e i 30 anni e gli over 70 che sono i meno integrati”. Mentre aumentano i casi di stress, depressione, senso di isolamento ed emarginazione, insieme alla dipendenza da alcol o droghe e all’incremento di atteggiamenti xenofobi.

Non servono tante parole: il “miracolo” berlusconiano della ricostruzione ad uso e consumo della propaganda elettorale è tutto qui. Insieme al dramma e all’impotenza dei tanti che vorrebbero lasciare al più presto quelle abitazioni per tornare a vivere in una città che forse non rivedranno mai più. La ricostruzione a L’Aquila è più lenta che in Idonesia, recita il rapporto Microdis e a leggerlo bruciano ancora di più le parole di una finta terremotata che da un talk show televisivo loda le gesta del governo salvatore e come se non bastasse sparge fango sul dolore di chi ancora una casa non ce l’ha ed è ospitato in hotel “perché gli fa pure comodo, mangiano, bevono e non pagano nulla”.
Un copione cinico, verosimilmente uno dei tanti. E crudele tanto quanto le risate di chi la notte del terremoto discuteva al telefono dei grandi affari che si prospettavano, quelli finiti nella moltitudine di fascicoli d’inchiesta aperti e che presto andranno a processo.
Ma di questo nei talk show non si parla. Là dove la finzione è più vera della realtà e ogni giorno sorride a milioni di persone da un mondo di plastica in cui per gli aquilani veri spazio non c’è.
Loro hanno avuto il loro giorno di commemorazione, ora possono tornare nei ghetti, lontani dal palcoscenico per non disturbare lo spettacolo. L’unica cosa che conti veramente.
Fonte:Antimafia