Vincenzo Scarantino: odissea di una “collaborazione”

Tra il mese di marzo e il mese di aprile del ’95 viene compilato un promemoria ad uso di Vincenzo Scarantino. Si tratta di tre fogli scritti a mano (non da Scarantino) con annotazioni, suggerimenti e note varie. E’ Rosalia Basile, la moglie del picciotto della Guadagna, a consegnarlo agli avvocati difensori. I legali lo produrranno poi in aula cercando di provocare uno scossone al processo in corso. Negli anni successivi sarà l’ispettore di polizia, Fabrizio Mattei, a dichiarare di essere l’autore degli appunti scritti per Scarantino esclusivamente nel ’94 in quanto lo stesso «aveva difficoltà a leggere i verbali».

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Tra depistaggi e collusioni, parla il pentito Di Carlo: “I servizi mi chiesero di fermare Falcone, con loro anche La Barbera”

“Voleva far sapere che lui è il capo di Cosa nostra e che lo stragismo non è finito, è alla ricerca di chi continui la sua linea suicida”. Così il collaboratore di giustizia Francesco Di Carlo descrive, dalle colonne di Repubblica, i messaggi di morte di Riina e le confidenze fatte dal Capo dei capi a Lorusso, esponente della Sacra Corona Unita. Di Carlo si è dissociato da Cosa nostra nel 1996. Uomo d’onore “vecchio stampo”, la sua affiliazione risale alla seconda metà degli anni Sessanta, all’interno della famiglia di Altofonte,

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Agnese Borsellino: la forza della fedeltà

“Tutto quello che mi scrivi può essere anche realtà. Aiuta chi ti ascolterà a conoscere la verità su questo drammatico depistaggio, talmente grave che i suoi autori meritano di essere puniti e smascherati quanto coloro che hanno armato la mano degli attentatori”. Era il mese di ottobre del 2010 quando Agnese Borsellino rispondeva con queste parole ad una lettera inviatale dall’ex picciotto di borgata, Vincenzo Scarantino, nella quale vi era una esplicita richiesta di perdono. “Caro Vincenzo – scriveva la vedova di Paolo Borsellino –, ti fa onore che tu abbia avvertito il bisogno di chiedermi perdono, è un sentimento che io accetto”.

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