La borsa vuota

Evidentemente i colpi di scena non bastano mai. Il tempo si diverte a giocare a rimpiattino con i familiari delle vittime. I pezzi di verità emergono uno alla volta, a distanza di decenni. E il sollievo (il relativo sollievo) di sapere qualcosa in più è subito contraddetto dal sapore di beffa che accompagna ogni rivelazione. Ma come, non lo sapevate che la borsa del prefetto dalla Chiesa era a disposizione di tutti, nei sotterranei del Palazzo di giustizia di Palermo, alla stanza dei corpi di reato? E dove volevate che fosse? Colpa vostra se non siete andati a cercarvelo. Sembra di sentirlo, con quel suo tono di dileggio, il fantasma irridente che governa il gioco a monopoli in cui si trasforma ogni processo fatto di misteri e di potere.

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La borsa del generale-prefetto dalla Chiesa

Quando ho visto su alcuni quotidiani di oggi (non tutti, quelli vicini al centro-destra – per non smentirsi mai – non ne hanno parlato) gli articoli sul ritrovamento della borsa di Carlo Alberto dalla Chiesa ho subito tratto alcune deduzioni rispetto alle circostanze e al momento storico (il 1982) in cui avvenne l’assassinio del generale prefetto di Palermo dopo i cento giorni della sua disperata missione in Sicilia.
Ho letto anche, con la necessaria attenzione, l’intervista fatta all’amico Nando Dalla Chiesa, figlio del generale e sociologo dell’Università statale di Milano che ha appena pubblicato un ottimo saggio sull’impresa mafiosa (L’impresa mafiosa. Tra capitalismo violento e controllo sociale. Cavallotti Press University, novembre 2012) oltre a tutti gli altri pubblicati in passato, tra i quali uno in particolare sulle convergenze che caratterizzano i rapporti tra la mafia e la classe politica nel settantennio repubblicano che giudico ormai un classico dei saggi sul fenomeno mafioso (La convergenza. Mafia e politica nella seconda repubblica (Melampo 2006

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Il silenzio ha un rumore assordante

E pare che i palermitani lo abbiano capito: hanno compreso che il frastuono assordante di un carico di tritolo che squarcia un pomeriggio d’estate ripete il suo eco nel tempo, in una ferita che difficilmente si rimargina. Sopratutto se i nomi, di mandanti ed esecutori, rimangono ancora sepolti nel silenzio.

Pare che una parte dei palermitani lo abbia capito se oggi ha sentito il bisogno di dare il proprio sostegno al pm Nino Di Matteo che a questo silenzio sta cercando di dare una voce e che per questo è stato vittima di minacce di morte.

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