Carne coltivata, Slow Food Italia: non ridurre a battaglia ideologica un tema complesso

Nappini: ha a che fare con il sistema alimentare, il suolo, il paesaggio, la cultura del cibo e la sovranità alimentare

Commentando il disegno di legge proposto dal governo e firmato dal presidente della Repubblica ma che difficilmente passerà l’esame della Commissione europea,  la presidente di Slow Food Italia Barbara Nappini ha un approccio molto diverso da quello avversamente “tradizionalista” di Coldiretti: «Il divieto alla produzione e vendita della carne coltivata secondo Slow Food non chiude la discussione: la apre. Non possiamo ridurre a battaglia ideologica un tema complesso, che ha a che fare con il sistema alimentare, il suolo, il paesaggio, la cultura del cibo e la sovranità alimentare. Non servono provvedimenti che vietino la produzione e la vendita di alimenti prodotti da colture cellulari o tessuti di animali come quello appena divenuto ufficialmente legge, ma informazioni corrette, che consentano a tutti di scegliere. Proibire è una scorciatoia. Serve un’analisi onesta, capace di accogliere la complessità».

Slow Food Italia conferma quel che potrebbe essere definita la sua “Costituzione”: «Il cibo non è un carburante per far funzionare l’organismo, somma algebrica di proteine, grassi e carboidrati. Il cibo è prima di tutto espressione culturale, linguaggio. È parte integrante dell’identità dei popoli, frutto di saperi, tradizioni, innovazioni, scambi di conoscenza».

Secondo l’associazione, «Il problema di un’eccessiva produzione di carne non si risolve passando dagli allevamenti intensivi ai laboratori, ma si affronta analizzando e modificando il modello che ha originato questa distorsione». E qui la critica all’industrializzazione della filiera zootecnica si fa netta: «Un modello che ha trasformato l’agricoltura in industria e l’ha consegnata alla finanza, spezzando il suo legame con la terra e la natura, trasformando un’attività circolare (dove nulla era scarto) in un settore che produce più del 30% delle emissioni di CO2, inquina la terra e l’acqua, compromette la nostra salute. E fa tutto questo in nome di una popolazione in crescita da sfamare, nascondendo la verità di un cibo prodotto per essere in buona parte sprecato».

La Nappini ricorda ai sovranisti di casa nostra che «Oggi una manciata di multinazionali controlla quasi tutto: la produzione di semi, fertilizzanti chimici, pesticidi, mangimi, prodotti farmaceutici; la genetica animale, l’allevamento, la macellazione, la distribuzione; perfino le compagnie nautiche che trasportano mangimi e farine attraverso il globo».

Per Sloe Food  «E’ sufficiente dare un’occhiata all’elenco dei finanziatori della ricerca sulla carne coltivata per capire quale sia la direzione: da Bill Gates a Sergey Brin di Amazon a Richard Branson della Virgin Group. Ma anche JBS, Cargill e Tyson Foods, ovvero le stesse multinazionali che controllano la filiera della carne. Di fatto, proprio chi è fra i principali responsabili della deriva attuale dell’allevamento – e ne detiene il controllo a livello globale -, ora che il settore inizia a intravedere minacce all’orizzonte investe sulla carne coltivata usando gli stessi strumenti e gli stessi schemi: brevetti e monopoli».

E  Slow Food Italia lancia un invito proprio su questo: «Vogliamo aprire una riflessione su un modello diverso di allevamento, che si ponga onestamente delle domande sull’accesso alle risorse naturali e sul diritto alla sovranità alimentare – conclude Nappini – Quello su cui Slow Food lavora da anni attraverso i propri progetti: un modello che si ricolleghi al suolo, al foraggio dei prati stabili e dei pascoli, che tenga in considerazione l’etologia degli animali e la rispetti. Su regimi alimentari più equilibrati, che prevedano una riduzione del consumo di carne e un incremento dell’apporto proteico vegetale, tramite i preziosi legumi, che arricchiscono il suolo e richiedono poca acqua. Su un sistema alimentare che produca un’economia diffusa, salute, benessere; che generi bellezza e non deturpi il paesaggio; che tuteli la biodiversità; che contrasti lo spopolamento delle aree interne (il 70% del territorio italiano) sostenendo le piccole aziende che presidiano le terre alte e le preservano dal dissesto idrogeologico (aziende che continuano a chiudere a favore di stabilimenti di pianura sempre più grandi)».

In estrema sintesi, secondo Slow Food «La carne coltivata non serve. Il problema di un’eccessiva produzione di carne non si risolve passando dagli allevamenti intensivi ai laboratori, ma si affronta analizzando con onestà il modello che ha originato questa distorsione e intervenendo per modificarlo radicalmente». Che non è proprio la posizione del ministro Lollobrigida e dei suoi ispiratori che si scagliano contro la carne coltivata perché vogliono difendere l’esistente insostenibile.

fonte: greenreport.it