Bassa sostenibilità e niente salario minimo tra i fattori che minano l’attrattività dell’Italia

«La performance italiana è deficitaria quando ci si confronta con i principali Paesi europei, alcuni indicatori chiave ambientali mostrano un quadro drammatico»

La sostenibilità ambientale e quella sociale sono sempre più legate a quella economica, ovvero alla capacità di un Paese di creare valore nel tempo: una realtà cui ancora l’Italia non si è adeguata, come mostra l’ottava edizione del Global attractiveness index, presentato a Cernobbio da The European House – Ambrosetti.

Nell’edizione 2023 del Global attractiveness index (Gai) vengono mappate 146 economie del mondo, misurando la relativa “geografia dell’attrattività” prendendo a riferimento quattro macro-aree (apertura, innovazione, dotazione ed efficienza) e quattro sotto-indici complementari, focalizzati a misurare la sostenibilità, la dinamicità, l’orientamento al futuro e l’esposizione al conflitto russo-ucraino.

Il rapporto è stato elaborato con una metodologia «sottoposta ad un audit statistico indipendente condotto dal Joint research centre della Commissione europea, che annualmente conduce una review metodologica del nostro lavoro, evidenziandone la solidità scientifica», come spiega Valerio De Molli, ad di Ambrosetti.

Al primo posto della classifica si trova, ancora una volta, la Germania, con uno score pari a 100, seguita da Stati Uniti (94,7) e Regno Unito (92,7). Il posizionamento dell’Italia migliora significativamente registrando un punteggio di 66,3 (+4,1 punti rispetto al 2022), ma presenta un divario di 12,6 punti con la Francia e di 33,7 con la Germania.

Non solo: la Spagna, pur in posizione inferiore rispetto all’Italia, migliora sensibilmente il proprio score (64,6 nel 2023 vs 58,7 nel 2022), con un distacco di soli 1,7 punti dall’Italia.

Considerando i Paesi del G7 (Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Stati Uniti, Regno Unito, Stati Uniti), l’Italia «risulta essere il Paese meno attrattivo del gruppo: lo score medio dei Paesi G7 è 85,4, con un distacco di 19 punti rispetto al punteggio italiano».

Come evidenziano da Ambrosetti, buona parte di questo gap è imputabile in parte significativa ad aspetti legati alla sostenibilità.

L’apposito sotto-indice rileva che la performance italiana, seppur positiva nel confronto internazionale, è deficitaria quando ci si confronta con i principali Paesi europei. Rispetto alla media di Francia, Germania e Spagna, l’Italia si posiziona infatti 10 posizioni sotto nell’indice di sostenibilità complessivo (-2,8 punti di score), 6 posizioni sotto nel pilastro della resilienza (-3,8 punti di score), 14 posizioni sotto nel pilastro della vulnerabilità (-1,9 punti di score) e 11 posizioni sotto nel pilastro della transizione ecologica (-1,7 punti di score).

Alcuni indicatori chiave di prestazione (kpi) mostrano addirittura «un quadro drammatico: nel nostro Paese i morti a causa dell’inquinamento, relativizzati al milione di abitanti, sono pari a 407,8 persone, contro i 324,3 della Germania, i 203,4 della Francia e i 190,0 della Spagna. Una miglior performance nella sostenibilità emerge come necessaria per innescare un circolo virtuoso a favore dell’attrattività del Paese: già nel breve periodo, emerge una marcata correlazione tra lo score negli Sdgss delle Nazioni Unite e l’Indice di posizionamento del Gai».

Non va meglio sul fronte della sostenibilità sociale, che vede ad esempio nell’Italia 1 dei solo 5 Stati membri in Ue a non avere ancora un salario minimo (nel panorama mondiale i Paesi che hanno già introdotto questa misura sono 142).

Il salario minimo corrisponde all’importo minimo della retribuzione che, per legge, un datore di lavoro è tenuto a pagare al lavoratore e che non può essere ridotto da nessun contratto collettivo o accordo individuale.

In Italia, è la contrattazione collettiva ha svolgere il ruolo primario nella determinazione della retribuzione oraria. Ma in diversi casi le soglie minime stabilite dai Contratti collettivi nazionali del lavoro (Ccnl) sono più basse rispetto alle retribuzioni orarie dei Paesi Benchmark in Ue, e una quota stimata tra il 10% e il 15% dei lavoratori subordinati (che rappresentano il 78% del totale dei lavoratori) non è coperta da contrattazione collettiva.

Il salario minimo è una delle modalità con cui è possibile affrontare la crisi salariale, non è l’unica (né è esaustiva, non affrontando la questione legata ai bassi salari mediani) ma è sicuramente utile.

Il 4 luglio 2023 le opposizioni, guidate dal Partito democratico, hanno depositato alla Camera il testo della proposta di legge per il salario minimo, che prevede la soglia di 9 euro lordi orari per tutte le tipologie di lavoro.

In Italia, sono 4,6 milioni i lavoratori che guadagnano meno di 9 euro lordi orari: considerando i minimi tabellari più diffusi a livello nazionale, solo nei settori della chimico-farmaceutica, della meccanica, dell’alimentare e della grande distribuzione le retribuzioni orarie lorde superano i 9 euro. In tutti gli altri settori, la soglia minima è inferiore.

fonte. greenreport.it