Bankitalia, ecco quanto Pil ha già perso l’Italia a causa della crisi climatica

«In uno scenario di emissioni che conducano a un ulteriore aumento di 1,5°C tra oggi e il 2100, il Pil pro capite potrebbe risultare alla fine del secolo tra il 2,8 e il 9,5% inferiore»

di
Luca Aterini

La Banca d’Italia ha pubblicato il nuovo studio Dinamica delle temperature e attività economica in Italia: un’analisi di lungo periodo, attraverso il quale esamina l’impatto della crisi climatica in corso sull’economia nazionale.

Si parte da un dato di fatto, tanto unanime nella comunità scientifica di settore – a partire dall’Ipcc – quanto dibattuto in questi giorni da media e politici italiani: «Le emissioni di gas serra prodotte dall’attività dell’uomo sono il principale motore del cambiamento climatico in atto e rappresentano una sfida cruciale dei nostri tempi».

Al contempo, la Banca d’Italia ricorda che «dall’inizio del XX secolo, la temperatura media della superficie terrestre è aumentata a una velocità senza precedenti e la maggior parte degli scienziati concorda sul fatto che le temperature globali siano destinate ad aumentare ulteriormente».

In particolare, la temperatura media in Italia «è aumentata di circa 2°C dalla fine dell’Ottocento» stima Bankitalia.

Cosa significa questo trend, in termini di Prodotto interno lordo nazionale? Per rispondere a questa domanda, Bankitalia ha ricostruito le serie storiche annuali delle temperature per il territorio italiano a livello provinciale tra il 1871 e il 2001, stimandone gli impatti economici.

Le stime della relazione tra la crescita economica e il livello della temperatura, realizzate con due differenti metodologie empiriche (panel e autoregressive distributed lags, Ardl), mostrano «come il processo di riscaldamento globale abbia avuto effetti negativi sull’economia italiana che si sono accentuati alla fine del ventesimo secolo».

Guardando alla ricchezza già persa a causa della crisi climatica, Bankitalia documenta che «la crescita storica della temperatura media di circa 0,02 gradi l’anno avrebbe sottratto ai tassi di crescita decennali del Pil pro capite circa 1,8 punti percentuali a decennio, su 23 punti percentuali di crescita complessivi in media a decennio».

Al contempo è stato rilevato che come l’incremento nella frequenza di temperature giornaliere superiori a 28°C «abbia influito negativamente sull’attività economica, in particolare negli ultimi 20 anni del Novecento quando tale frequenza si è acuita significativamente, incidendo principalmente sul settore dell’agricoltura ma con effetti negativi registrati anche nell’industria e nei servizi».

Se questo è il trend storico, il futuro del clima potrebbe riservarci sorprese ben peggiori (anche) sotto il profilo economico, a meno di non ridurre in modo rapido quanto deciso le emissioni di gas serra legate all’impiego dei combustibili fossili, adattando al contempo il territorio a quella porzione di cambiamenti climatici ormai già inevitabile.

In particolare, sulla base delle analisi effettuate da Bankitalia, incrementi che portassero le temperature medie nel 2100 a essere più elevate di +1,5°C rispetto a oggi (uno scenario corrispondente a un quadro di future emissioni di gas serra “intermedio”), il Pil pro capite «potrebbe risultare alla fine del secolo tra il 2,8 e il 9,5% inferiore rispetto al valore che avrebbe nel caso in cui crescesse del 2 per cento l’anno, il ritmo medio registrato nel secolo scorso».

L’ennesima riprova che documenta come la lotta alla crisi climatica sia l’approccio economicamente più conveniente a nostra disposizione, oltre che quello necessario a salvare vite umane e benessere.

fonte. greenreport.it