LETTA E CONTE: I ”NUOVI” LEADER DELLA POLITICA ITALIANA

Di Giorgio Bongiovanni

Ma senza la lotta alla mafia

Enrico Letta e Giuseppe Conte. Ecco i due volti “nuovi” su cui la politica dell’un tempo “fu” centrosinistra, vorrebbe fare affidamento nel futuro. Fino a prova contraria due brave persone, specie se messe a confronto con tanti altri politici e politicanti che con il proprio agire hanno disonorato gli scranni del Parlamento.
Due figure su cui si cerca di ricostruire e riformare partiti e movimenti, magari per diventare in futuro maggioranza di Governo in opposizione di un centrodestra nefasto e che incarna disvalori fascisti e xenofobi.
Enrico Letta, oggi segretario del Pd, è una persona onesta ed equilibrata. Tra il 2013 ed il 2014 Presidente del Consiglio, fu uno dei pochi che, nel pieno delle proprie funzioni, espresse “profonda solidarietà” a magistrati come Nino Di Matteo e all’ex magistrato Pietro Grasso, a seguito delle minacce (per Di Matteo si trattava proprio di una condanna a morte, “Ti farei diventare il primo tonno, il tonno buono”, ndr) espresse al tempo dal carcere Opera di Milano dal Capo dei capi, Totò Riina. Un ordine di morte che veniva da altri ambienti (“Dottore i mandanti per lei sono gli stessi del dottore Borsellino” riferì il collaboratore di giustizia Vito Galatolo, che si adoperò per l’acquisto dei 150 chili di tritolo) che fu trasmesso alle famiglie palermitane dal superlatitante e attuale capo di Cosa nostra, Matteo Messina Denaro.
Coincidenza vuole che, quasi un mese dopo, il 13 febbraio 2014 venne sfiduciato da una mozione di Matteo Renzi nella Direzione nazionale del Pd. Un’azione che lo indusse a recarsi al Quirinale per rassegnare le dimissioni irrevocabili.
L’altro “volto nuovo” è quello di Giuseppe Conte, in pectore investito del compito di rinnovamento di un Movimento Cinque Stelle in crisi. Conte si fa forte dell’esperienza vissuta da Presidente del Consiglio con due formazioni di governo nella natura diverse tra loro (una gialloverde con la Lega come partner, ed una giallorossa con il Pd primo interlocutore). In quest’ultimo anno si è trovato a dover affrontare una delle sfide più difficili della storia recente con un’emergenza sanitaria mondiale senza precedenti che sta mettendo a dura prova la tenuta sociale ed economica del Paese.
E da questo punto di vista è sicuramente da apprezzare l’impegno profuso con risultati raggiunti anche sul fronte della credibilità europea, tanto da ottenere garanzie per l’accesso ai fondi proprio in chiave rilancio post Covid-19.
Detto ciò, però, vedendo i discorsi più recenti, non possiamo non notare il sostanziale silenzio sul problema principe del nostro Paese, immediatamente dopo la pandemia: la presenza delle mafie nel nostro Paese.
Un silenzio grave specie in questo momento in cui la lotta alla mafia rischia di essere minata alla base con proposte indegne che potrebbero portare alla liberazione di boss stragisti e criminali, anche gli irriducibili, quelli che costudiscono una parte dei segreti di quei terribili delitti.
E’ noto che la Corte Costituzionale dovrà esprimersi nei prossimi giorni sulla possibile concessione della libertà condizionale per un mafioso, già condannato all’ergastolo, che vorrebbe accedere alla libertà vigilata senza collaborare con la giustizia. Un tema di cui si parla da tempo, da quando la CEDU (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) si era pronunciata in maniera miope sul punto seguita, nel 2019, dalla stessa Consulta che dichiarò proprio l’illegittimità dell’articolo 4-bis, di fatto aprendo alla possibilità per gli ‘ergastolani ostativi’ di accedere a permessi premio nel corso della loro detenzione senza il vincolo della collaborazione.
Dal mondo della politica di fatto non c’è stata alcuna levata di scudi per difendere quelle leggi ideate da Giovanni Falcone e introdotte nell’ordinamento a seguito della sua morte e di quella del giudice Paolo Borsellino.
Solo da alcuni membri del mondo della magistratura e da alcuni familiari vittime di mafia si è lanciato il grido di allarme e di protesta non solo per ciò che potrebbe avvenire ma anche contro quella presa di posizione ignobile ed infame da parte dell’Avvocatura dello Stato, che è chiara espressione delle volontà del Governo.
Anziché difendere le leggi vigenti sull’ergastolo ostativo, si è dato un segnale di apertura, magari scaricando la responsabilità di certe decisioni sui singoli giudici dei tribunali di sorveglianza (esperimento già fallito con le scarcerazioni tra marzo e maggio 2020 per la questione Covid) che potranno valutare caso per caso. Una possibilità che fa rivoltare nella tomba Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Ne abbiamo parlato più volte ed abbiamo evidenziato la gravita di certi provvedimenti, qualora dovesse esservi una decisione in tal senso da parte della Consulta. Abbiamo anche scritto una lettera aperta al Capo dello Stato Sergio Mattarella, familiare vittima di mafia a sua volta, per un intervento che possa essere risolutivo in questi temi.
Ergastolo, 41 bis e legge sui pentiti erano tra i punti del papello di Totò Riina ai tempi delle stragi degli anni Novanta. Ventinove anni dopo potrebbe giungere la spallata definitiva per la lotta alla mafia e al Sistema criminale.
Enrico Letta e Giuseppe Conte dovrebbero sapere della forza delle mafie con i miliardi provenienti dal traffico di stupefacenti e dagli appalti.
Dovrebbero chiedere una lotta senza quartiere al traffico internazionale di droga, dove la ‘Ndrangheta detiene il monopolio del traffico di cocaina nel mondo occidentale. Proprio le scorse settimane, tanto in Europa quanto in Uruguay, vi sono stati ingenti sequestri di carichi di droga (parliamo di tonnellate) che dovevano giungere nei “mercati” Ue.
Volumi di affari giganteschi sempre più grandi se si guarda anche il mondo della finanza e quei miliardi gestiti da broker pronti ad essere reinvestiti nei circuiti legali. In questo senso vale la pena ricordare quanto emerso dall’informativa della Squadra mobile di Reggio Calabria allegata agli atti del processo contro le cosche di Sant’Eufemia d’Aspromonte scaturito dall’operazione “Eyphemos”. In quelle carte si evidenzia che uomini di ‘Ndrangheta, Camorra e Cosa nostra volessero riciclare 136 miliardi di euro grazie all’aiuto di un broker, Roberto Recordare, indagato per associazione mafiosa e riciclaggio. Un soggetto capace, a suo stesso dire (come captato nelle intercettazioni), di fare girare fondi per 500 miliardi di euro.
Eppure di questo si tace dai banchi della politica.
Nessuno denuncia la scandalosa latitanza di Matteo Messina Denaro, che con i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, Leoluca Bagarella ed i Madonia di Palermo sono i veri capi di Cosa nostra attualmente. Il boss trapanese è ricercato dal 1993 ed è l’ultimo dei boss stragisti ancora in libertà.
Come hanno sostenuto diversi magistrati ed investigatori che gli hanno dato la caccia, egli gode di protezioni di altissimo livello, anche istituzionale. Ma governo dopo governo non si fa nulla in tal senso.
Così come nessuno chiede l’estradizione di uomini come Amedeo Matacena jr, condannato in via definitiva nel 2013 a cinque anni e quattro mesi di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa perché ritenuto vicino alla cosca di ‘Ndrangheta dei Rosmini e attualmente latitante a Dubai, negli Emirati Arabi.
Nessuno, salvo pochi addetti ai lavori, denuncia la latitanza del boss di ‘Ndrangheta Rocco Morabito, latitante tra l’Uruguay e il Brasile. Nel 2017 era rinchiuso in un carcere, in Uruguay. Nonostante la richiesta di estradizione tra una lungaggine burocratica e l’altra, lo stesso riuscì clamorosamente ad evadere nel giugno 2019.
C’è chi parla della “fine dell’emergenza mafia” quando inchieste dimostrano continuamente la contrarietà di certe affermazioni.
E’ di lunedì l’operazione più recente a Palermo in cui si mette in evidenza come i boss pericolosi, tornati in libertà dopo aver scontato le loro pene, tornano ad occupare i medesimi posti di potere all’interno delle famiglie criminali. E’ stato così per Giuseppe Calvaruso, boss di Pagliarelli, che è stato arrestato dopo aver trascorso un lungo periodo in Brasile.
Ma si preferisce guardare altrove.
Si preferisce dire che oggi le mafie non compiono più stragi ed attentati dimenticando che a tutt’oggi rischiano la vita magistrati come Nino Di Matteo (condannato a morte proprio da Riina e Matteo Messina Denaro), Giuseppe Lombardo, Nicola Gratteri, Pierpaolo Bruni e tanti altri.
Dimenticando l’attentato più grande che viene perpetrato: quello alla nostra democrazia.
Enrico Letta e Giuseppe Conte dovrebbero impegnarsi affinché siano desecretati tutti gli atti ed i documenti sulle tante (troppe) stragi, sui depistaggi ed i delitti che ancora attendono una verità completa.
Dovrebbero sapere che la lotta per la libertà e la democrazia del Paese passa dalla ricerca della verità sui mandanti esterni e sulle trattative tra lo Stato e la mafia.
Nell’agenda politica la lotta alla mafia scompare di continuo, o viene relegata molto in basso (il governo Conte le diede il 13°posto). Guardando alla prospettiva futura non è che si può essere ottimisti.
Enrico Letta ne ha parlato con un “bisbiglio”. Anche Conte ne ha fatto cenno (“Il rispetto della legalità in particolare lottare, non contro la mafia, le tante mafie, contro le organizzazioni criminali, contro la corruzione, significa anche combattere le rendite parassitarie di chi drena indebitamente le risorse dell’intera collettività. E quindi significa difendere i diritti di tutti i cittadini onesti”). Ma non possono bastare cenni e bisbigli. Servono fatti.
I fatti dicono che su certi piani gli elettori ed i cittadini onesti sono stati ingannati.
Primo sponsor del due volte già Premier, consapevole del baratro in cui è caduto il Movimento, è Beppe Grillo, traditore dei principi cardine del Cinque Stelle.
Perché solo così si può definire la rovinosa scelta compiuta dai pentastellati di entrare in un Governo che oggi, oltre al Pd, vede alleati Lega Nord, Italia Viva e soprattutto Forza Italia, partito quest’ultimo fondato da un uomo della mafia come Marcello Dell’Utri (condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa e in primo grado nel processo trattativa Stato-mafia, ndr) e che ha nel suo leader, Silvio Berlusconi, un soggetto che pagava la mafia.
Oggi entrambi, Berlusconi e Dell’Utri, si trovano indagati come mandanti esterni delle stragi, eppure nessuno grida allo scandalo.
Avevamo sperato che Conte facesse un discorso diverso con la sua proposta di rinnovamento. Una proposta di ritorno alle origini del Movimento, ma, forse, non dovremmo essere sorpresi. Del resto in passato aveva già fatto intendere certe linee di pensiero, tenuto conto dell’appoggio dato all’ex ministro fallace della Giustizia Alfonso Bonafede, nonostante la vicenda scarcerazioni dei boss, la questione mancata nomina al Dap del magistrato Nino Di Matteo, la scelta di Basentini come vertice del Dipartimento amministrazione penitenziaria, e tutto ciò che è avvenuto dopo che i boss in carcere avevano protestato proprio perché non volevano Di Matteo come capo del Dap.
Del resto, diceva il Gattopardo, “tutto cambia affinché nulla cambi”. E finché i “nuovi leader” non parleranno di lotta alla mafia e del sistema criminale, ogni idea di grande riforma per il Paese e per la democrazia non sarà altro che una grande farsa.

Foto © Imagoeconomica

Fonte:Antimafiaduemila