Scajola contribuì alla latitanza del condannato per mafia Matacena
L’ex ministro ebbe “un ruolo di direzione” per il tentativo di fuga in Libano
Depositate le motivazioni della sentenza del processo Breakfast
di Aaron Pettinari
“Non
vi è dubbio alcuno che già l’aiuto, apprestato da Scajola e dalla
Rizzo, in concorso con Speziali, consistente nell’attuare lo spostamento
da Dubai in Libano si legasse funzionalmente all’intenzione dello
stesso Matacena di sottrarsi alla cattura poiché attraverso quell’aiuto
egli avrebbe potuto assicurarsi condizioni di vita o di sicurezza
certamente maggiori di quelle di cui godeva a Dubai mentre, senza
quell’aiuto, egli avrebbe dovuto procurarsele diversamente”. Sono parole
trancianti quelle dei giudici del Tribunale di Reggio Calabria,
presieduto da Natina Pratticò nei confronti dell’ex ministro degli Interni e dello Sviluppo Economico, ed oggi sindaco di Imperia, Claudio Scajola. Lo scorso gennaio il politico è stato condannato a 2 anni di carcere (pena sospesa) per procurata inosservanza della pena in favore dell’ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Matacena, latitante a Dubai dopo la condanna definitiva a tre anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa.
E
nelle 1500 pagine di motivazioni di sentenza, viene messo nero su
bianco che assunse “un ruolo di direzione” per il tentativo di fuga in
Libano.
Una vicenda che è stata ricostruita durante il processo istruito dal Procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo che per Scajola aveva chiesto una condanna a quattro anni e sei mesi, mentre per l’ex moglie di Matacena, Chiara Rizzo,
condannata ad un anno, aveva chiesto undici anni e sei mesi. Se per
entrambi è stata esclusa l’aggravante mafiosa, la donna è stata anche
assolta dall’accusa di essere stata complice di Matacena nella gestione
dei suoi beni e delle sue imprese.
“Contributo causale”
Secondo il Collegio “non vi sono dubbi sul contributo causale di Scajola nel piano di spostamento del latitante”.
In
questi anni Scajola ha sempre detto di essere innocente e di aver
aiutato la Rizzo in maniera lecita, accreditando la tesi di essere stato
mosso da “trasporti” e “sentimenti”, alimentato dalla “fragilità in cui
la Rizzo si trovava durante la latitanza del marito, assillata da
problemi economici, ma anche provata in ragione della solitudine che
provava nel seguire i problemi dei figli senza alcun aiuto”.
Secondo
il Collegio, però, “se, per un verso è evidente che i sentimenti di
Scajola potrebbero avere rilievo al più sul piano dei motivi dell’agire e
non certo scriminarne la condotta non si è esaurita in un aiuto lecito
al latitante; per altro verso le risultanze dibattimentali hanno
dimostrato l’esistenza di indubbi e consolidati rapporti tra Claudio Scajola e Amedeo Matacena,
che andavano ben al di là del legame confinato alla sfera emotiva e
sentimentale di due persone adulte, sorto in epoca successiva e del
tutto irrilevante nella valutazione dei fatti”.
Matacena-Scajola, un rapporto storico
Nella
sentenza vengono ricostruiti i rapporti tra l’armatore siciliano e l’ex
ministro. Si ricorda la “comune militanza politica” di Forza Italia, ma
anche successivamente. Scrivono i giudici che Scajola “si mette a
disposizione dell’ex armatore Matacena, introducendolo in nuovi ambienti
imprenditoriali, spesso affini a quelli operanti nei settori in cui si
era svolta la sua attività di Ministro dello Sviluppo economico, prima, e
delle Attività produttive, dopo, e che, quindi, meglio gli consentivano
di indirizzarne le iniziative o mettendolo in contatto con personaggi
che ne avrebbero potuto agevolare altre, introducendolo in ambienti
diplomatici nei quali a Matacena preme accreditarsi come un perseguitato
dalla Giustizia italiana e si sono, quindi, mantenuti inalterati
durante la latitanza di Matacena”.
Proprio alla luce di questo
rapporto pregresso, Matacena, da latitante, “veniva informato
pedissequamente dalla moglie delle iniziative assunte da Scajola in
termini di aiuto e assistenza alla donna per farla lavorare o farle
riprendere iniziative imprenditoriali interrotte dalla latitanza del
marito, ma, soprattutto in termini funzionali a consentire a
quest’ultimo di sottrarsi all’ordine di carcerazione, tant’è che la
prima persona che Matacena si premura che venga avvisata, tramite la
moglie, del proprio arresto è proprio Claudio Scajola.
‘Avverti per primo Claudio, perché Claudio ci è stato molto vicino’, per
come Scajola stesso ricorda alla Rizzo durante una conversazione
telefonica”.
Secondo i giudici del Tribunale è stato provato nel processo che Chiara Rizzo
avvisò per primo proprio l’ex ministro degli Interni, il giorno stesso
dell’arresto di Matacena, tanto che fissarono un incontro a Placedu
Moulin a Montecarlo.
Quella circostanza, si legge nelle carte,
“rende fin troppo evidente che a Scajola vengano rappresentati i
problemi che il latitante aveva restando a Dubai, evidentemente non
risolvibili dai legali di Matacena e di cui non si poteva parlare
telefonicamente”.
Inoltre “è quella la prima occasione in cui a
Scajola è dato mandato di ricercare una soluzione che consentisse al
marito di continuare a trascorrere la propria latitanza al riparo dalle
ricerche dell’autorità giudiziaria italiana, o comunque, di sottrarsi
all’ordine di carcerazione di questa”.
Il contatto con Speziali
Anziché
rifiutare di dare il proprio contributo alla fuga Scajola entra in
azione mettendo in campo quelle che erano le proprie conoscenze. “È
certamente inoppugnabile che Scajola si appalti la questione dello
spostamento di Matacena – scrivono i giudici – trovando un valido
interlocutore in Speziali”. Quest’ ultimo, consulente catanzarese
imparentato con il leader delle falangi libanesi, Amin Gemayel,
anch’egli imputati in un troncone del procedimento, dopo un periodo di
irreperibilità, chiese ed ottenne di chiudere con un patteggiamento il
procedimento penale a suo carico, con tanto di pena ad un anno di
carcere e – di fatto – l’ammissione di aver tentato di aiutare l’ex
parlamentare Matacena a sfuggire all’esecuzione della condanna
definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa.
L’obiettivo
era “lo spostamento da Dubai in Libano ed il piano prevedeva, solo in
un secondo momento, la richiesta di asilo politico in Libano”.
Affinché
l’operazione potesse andare in porto vi fu anche il coinvolgimento di
soggetti “di elevato rango costituzionale”. Nel processo è stato
ricostruito e provato come entrambi si adoperano per organizzare lo
spostamento di Matacena a Beirut, dove l’armatore, “avrebbe avuto la
garanzia, grazie all’interessamento dell’ex presidente del Libano
Gemayel e di un alto funzionario governativo avv. Firas di ottenere
asilo politico”.
Marcello Dell’Utri
Dell’Utri-Matacena, latitanze “maturate nello stesso contesto“
Secondo
quanto emerso dal processo, il faccendiere Speziali aveva “la capacità
di mettere in contatto Scajola e Matacena con Gemayel, laddove da questo
contatto entrambi ricavavano un vantaggio: Gemayel quello di ottenere
l’appoggio politico di Scajola e Berlusconi per il suo rientro in
politica e Matacena quello di ottenere l’asilo politico in Libano”.
Ma
nella sentenza si legge anche altro, perché nel corso del processo è
stato affrontato anche l’argomento della tentata fuga dell’ex senatore e
fondatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri, arrestato proprio a Beirut, anche lui condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa.
Due
vicende che manifestano “dei parallelismi”. Scrivono i giudici che “le
due latitanze sono maturate nello stesso contesto” delle cosiddette
“cene romane”, organizzate nel 2013 dall’ex segretario della Democrazia
Cristiana Pino Pizza alle quali partecipano sempre Speziali e Gemayel. Ma anche Emo Danesi, Marcello Dell’Utri e Sergio Billè,
l’ex presidente della Confcommercio. “L’analisi di quei tabulati – è
scritto sempre nella sentenza – consegnava agli investigatori la prova
dell’esistenza di rapporti tra Billè Sergio ed il senatore Dell’Utri Marcello, oltre che di Billè con Speziali Vincenzo e di Billè con Scajola Claudio”.
E
poi ancora prosegue il Collegio: “Se pure i commensali interrogati
hanno affermato che, per lo più, le cene hanno avuto ad oggetto
argomenti di natura politica italiana ed internazionale ed evidentemente
nessuno ha confermato la tesi investigativa secondo cui in quelle cene
si organizzò anche la latitanza di Dell’Utri, non sfugge al Tribunale
sia la circostanza che Pizza Giuseppe abbia riferito
che, durante la cena del Giugno 2013 Dell’Utri e Gemayel si appartarono
per parlare di qualcosa sia la coincidenza temporale che è dato
registrare tra la cena dell’Ottobre 2013 a casa Piazza, a cui partecipo
Speziali e Gemayel e Dell’Utri e la proposta fatta da Scajola alla Rizzo
il 17-10-2013 di spostamento del latitante Matacena da Dubai in
Libano”.
Quuindi, “si intende dire che è assai verosimile che
l’organizzazione della latitanza di Dell’Utri possa essere avvenuta in
una di quelle cene, nelle quali non era neppure necessaria
l’intermediazione di Billè, atteso che Dell’Utri viene a diretto
contatto con Gemayel e con Speziali”. Secondo i giudici “appare evidente
che anche il piano di spostamento di Matacona da Dubai e il Libano sia
maturato nell’ambito di questi rapporti vischiosi tra personaggi
appartenenti al mondo della politica, del commercio, della finanza,
dell’imprenditoria, della massoneria (Danesi risulta essere stato
affiliato alla loggia P2), che sposso trovano convergenza di interessi
nell’aiuto di personaggi che pure sono stati giudicati e condannati per
gravi reati di mafia in esito a processi svolti con tutte le garanzie
riservate agli imputati in uno Stato democratico”. Quella vicenda, pur
rimanendo sullo sfondo nel processo e ritenuta di colore rispetto alle
condotte degli imputati, “poiché pur non essendo rimasto accertato che a
quelle cene ha preso parte anche Scajola (ed anzi con riferimento ad
una di esse vi è un riscontro negativo integrato dalla circostanza che
Scajola all’epoca di quella cena era fuori Roma) è pur vero che i punti
di contatto tra Scajola, Speziali, Billè, Dell’Utri, Gemayel
sono tutti rimasti accertati”. Questi contatti “fanno ritenere,
rifuggendo da una lettura frammentaria di tutti gli elementi, altamente
verosimile che le due latitanze siano maturate nell’ambito dello stesso
contesto con un trade d’union che è stato di certo Speziali Vincenzo,
naif quanto pare, ma certamente io grado di intessere legami e
relazioni in cui tutti i protagonisti non disdegnavano di essere
coinvolti”.
Rapporti pericolosi
Per portare
avanti “l’affaire” da parte di Scajola e Rizzo vi fu un atteggiamento di
“estrema cautela” che, secondo la Corte configge in maniera plateale
con l’impostazione difensiva che rappresentava l’esistenza di un
“progetto lecito”.
Il Collegio mette in evidenza come questa “alla
luce del tenore complessivo dei colloqui intercettati e, più in
generale, delle condotte poste in essere dai protagonisti della vicenda,
si traduce in nulla più che in un espediente”.
Dunque quello
spostamento di Matacena attraversava altri canali. Un fatto che viene
riscontrato dall’atteggiamento della stessa Rizzo, “non vuole esporsi
intuendo l’illiceità del piano e voglia fare esporre solo Scajola”.
I
giudici, comunque, non mettono in dubbio che Scajola possa aver nutrito
un trasporto per l’ex moglie di Matacena, tutt’altro. Però si evidenzia
anche che lo stesso “non è interamente contraccambiato da
quest’ultima”.
Ed è anche in questo contesto che ha avuto inizio una sorta di tira e molla negli incontri.
Sottolineano
i giudici che “da una parte vi è la donna che evidentemente ha mentito a
Scajola allorquando ha inventato un pretesto per non incontrare
Speziali e che, tuttavia, lungi dal far chiarezza in ordine alle ragioni
del proprio comportamento, continua a rassicurare Scajola, allo scopo
evidente di non perdere l’opportunità di realizzare un progetto
favorevole al marito latitante, che tutti insieme stavano coltivando;
d’altra parte, vi è un uomo che, ancorché decisamente invaghito della
signora, non ha perso la capacità di coglierne la freddezza e che, a
cagione di questo percepito distacco, si rammarica, tanto più per
essersi esposto al punto tale da intraprendere un’iniziativa illecita,
dopo averne a lungo parlato con la donna in passato”.
L’analisi
finale dei giudici è che “dal punto di vista oggettivo la condotta di
Scajola e della Rizzo è certamente strumentale a consentire a Matacena
di protrarre la sottrazione all’esecuzione della pena che gli è stata
inflitta a seguito di processo svoltosi con tutte le garanzie previste
dall’ordinamento democratico per uno dei reati di massima offensività”.
Assoluzioni Politi e Fiordelisi
Per quanto concerne le posizioni degli imputati Maria Grazia Fiordelisi e Martino Antonio Politi,
per i quali l’accusa aveva invocato ben sette anni e sei mesi di
carcere, entrambi sono stati assolti. Quanto alla Fiordelisi “non vi
sono prove che ella abbia partecipato all’attività di finanziamento del
latitante né che l’opera intellettuale di traduzione linguistica della
documentazione afferente le centrali idroelettriche possa interpretarsi
quale condotta, sia pure a forma libera, funzionale alla sottrazione del
latitante all’ordine di carcerazione”. Secondo i giudici non vi è
nemmeno la prova che la donna abbia preso parte al progetto di
spostamento di Matacena in Libano. Ancora più nette le valutazioni su
Politi per il quale la Corte scrive che vi è “un’assoluta inconsistenza
del quadro accusatorio nei confronti di Politi”.
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fonte: antimafiaduemila.com