Tutti (o quasi) contro Davigo

di Aaron Pettinari
Ma parlano i fatti, il Presidente dell’Anm ha ragione

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“Ora è peggio di Tangentopoli. I politici non hanno smesso di rubare; hanno smesso di vergognarsi. Rivendicano con sfrontatezza quel che prima facevano di nascosto”. E poi ancora: “Si ruba in modo meno organizzato. Tutto è lasciato all’iniziativa individuale o a gruppi temporanei. La corruzione è un reato seriale e diffusivo: chi lo commette, tende a ripeterlo, e a coinvolgere altri. Questo dà vita a un mercato illegale, che tende ad autoregolamentarsi: se il corruttore non paga, nessuno si fiderà più di lui. Ma se l’autoregolamentazione non funziona più, allora interviene un soggetto esterno a regolare il mercato: la criminalità organizzata”. Sono parole chiare quelle di Piercamillo Davigo, ex pm del pool Mani Pulite ed oggi Presidente dell’Anm, intervistato nei giorni scorsi da Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera.
Dopo anni di sostanziali silenzi il sindacato dei magistrati è tornato a farsi sentire con forza ed autorevolezza in un momento storico cruciale dove in Parlamento si torna a parlare di riforma della Costituzione e riforma della Giustizia. La nomina di Davigo aveva fatto storcere il naso a molti proprio per la sua capacità di proporre argomentazioni semplici ed efficaci. Ed anche così si spiega il successo ricevuto alle consultazioni di marzo, quando è risultato essere il più votato (ben 1041 preferenze) nella corsa al vertice dell’Associazione nazionale magistrati. Argomentazioni che ha ribadito nelle recenti interviste al Fatto Quotidiano e al Corriere della Sera, dove ha messo a nudo quel che non va oggi nella politica. In maniera chiara, rispondendo alle domande di Marco Travaglio, aveva invocato un nuovo atteggiamento: “Dovrebbe smetterla di delegare ai magistrati la selezione delle classi dirigenti, e poi di lamentarsi pure. Dicono: aspettiamo le sentenze. Poi, se arriva la condanna, strillano. Se il mio vicino di casa è rinviato a giudizio per pedofilia, io mia figlia di sei anni non gliel’affido quando vado a far la spesa. Poi, se verrà scagionato, si vedrà. La giustizia è una virtù cardinale: ma anche la prudenza! Tutti, al posto mio, si comporterebbero così”. E poi ancora: “Noi facciamo indagini e processi. Se poi le persone coinvolte in base a prove e indizi che dovrebbero indurre la politica e le istituzioni a rimuoverle in base a un giudizio non penale, ma morale o di opportunità, vengono lasciate o ricandidate o rinominate, è inevitabile che i processi abbiano effetti politici”.
Al Corriere della Sera, invece, ha sbugiardato gli autoelogi del premier Matteo Renzi sulla lotta alla corruzione, sottolineando le difficoltà che ci sono per individuare proprio i casi. “Nessuno li denuncia – ha ricordato – perché tutti hanno interesse al silenzio: per questo sarei favorevole alla non punibilità del primo che parla. Il punto non è aumentare le pene; è scoprire i reati. Anche con operazioni sotto copertura, come si fa con i trafficanti di droga o di materiale pedopornografico: mandando i poliziotti a offrire denaro ai politici, e arrestando chi accetta. Lo diceva anche Cantone; anche se ora ha smesso di dirlo…Lo capisco. E non aggiungo altro”. Una frecciata che non è andata giù all’ex pm anticamorra, oggi Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, che ha replicato in maniera dura dicendo che Tangentopoli (di cui Davigo è stato uno dei protagonisti assoluti) “non sradicò la corruzione” e che “l’idea che tutto si risolva con le manette è stata smentita dai fatti”. E poi ancora: “Davigo pensa che sia l’unico a poter risolvere i problemi. Non condivido una visione autoreferenziale e salvifica. La magistratura non deve salvare il mondo; deve accertare i reati e decidere i processi civili. In nessun Paese del pianeta ha il monopolio nelle questioni di legalità; altrimenti finisce per esercitare una funzione di supplenza nei confronti della politica”.
Il presidente dell’Anac ha detto che Renzi, quando ha parlato di “25 anni di barbarie della giustizia” ha usato “un’espressione esagerata” ma si è subito sbrigato a sottolineare che “c’è stato un periodo in cui non tanto la magistratura quanto l‘interpretazione dei provvedimenti della magistratura ha creato eccessi: bastava essere indagati per venir messo alla gogna”. Come dice il detto “un colpo al cerchio ed uno alla botte” come il ruolo istituzionale “impone”. Solo che non si possono dimenticare i continui scandali che si sono succeduti negli ultimi anni (Trivellopoli solo il più recente) che hanno visto coinvolte anche figure di Governo, lo stesso che ha nominato Cantone.

Aver colto nel segno
Ma non è solo per questo che si ha la sensazione che le parole di Davigo hanno colto nel segno. Basta vedere tutte le altre critiche ricevute dal magistrato nel “day after”.
Le prime reazioni a catena vengono da parte della politica, in maniera bipartisan. In testa il ministro Orlando arrivato a domandarsi “se le posizioni del presidente dell’Anm siano condivise da tutti all’interno dell’associazione”. Poi i membri del Pd, della Lega, del Nuovo centro destra, verdiniani ed affini. Tutti contro Davigo. Le pressioni sono arrivate persino dal Csm dove il vicepresidente Giovanni Legnini è intervenuto, prendendo le distanze, con una nota ufficiale.
Una “posizione di Governo” a cui si sono allineati anche altri magistrati come Bruti Liberati, o l’ex presidente dell’Anm, Luca Palamara, oggi al Csm ed esponente della corrente di maggioranza Unicost. L’idea comune è che le dichiarazioni di Davigo “rischiano di alimentare un conflitto di cui la magistratura e il Paese non hanno alcun bisogno”. C’è chi parla di “toni eccessivi”, di “generalizzazioni superficiali e ingiuste” chiamando subito all’equilibrio. C’è stato anche chi come Anna Canepa, leader di Magistratura democratica ha detto “Davigo è Davigo, ma non deve dimenticarsi che ora è presidente dell’Anm e rappresenta l’intera magistratura”. Una lunga serie di attacchi contro la voce che è fuori dal “coro”.

Non solo critiche
Sulla vicenda è intervenuto persino Nicola Gratteri, neo procuratore capo di Catanzaro, che pur senza delegittimare il presidente dell’Anm ha espresso alcune considerazioni critiche: “È una persona intelligente, preparata e brillante ma penso che abbia sbagliato a generalizzare, bisogna sempre entrare nello specifico. Se si dice che ‘sono tutti ladri’, facciamo il gioco dei ladri”. Ad onor del vero, però, l’ex pm di Mani Pulite aveva specificato: “Rubano molti. Non tutti. Altrimenti non avrebbe senso fare i processi”.
Accanto al consigliere in Cassazione ovviamente si sono schierati quei magistrati che hanno fondato con lui la corrente Autonomia e Indipendenza. Poi c’è anche chi ha provato a gettare acqua sul fuoco delle polemiche, come Piergiorgio Morosini, al Csm per Area, che ha detto: “Non me la sento di prendere le distanze da Davigo, perché le sue parole vanno interpretate in modo corretto, non come una dichiarazione di guerra, come qualcuno invece vorrebbe etichettarle, ma come la fotografia dell’estendersi del malaffare che rischia di danneggiare sia le istituzioni che l’economia”. Ad approvare la posizione di Davigo c’è poi parte della politica, con Movimento 5 Stelle e Sinistra Italiana in prima fila, ed anche l’ex pm Antonio Ingroia, oggi avvocato e leader di Azione civile. “Il giudice Davigo dice le stesse cose che ho detto io in questi anni e che condivido pienamente – ha ribadito l’ex procuratore aggiunto di Palermo – Immagino che il presidente dell’Anm non si riferisse ai politici in generale: sarebbe qualunquista, sbagliato e infondato, dire che sono tutti ladri. Il problema non riguarda gli individui, bensì un sistema. L’illegalità è entrata così profondamente nella classe dirigente italiana, con pezzi della burocrazia, della imprenditoria, sia a livello nazionale che periferico ed è tale che c’è una tale certezza di impunità, perché la giustizia funziona sempre peggio e la magistratura non ha più la forza di innescare processi e indagini come Mani pulite”.

Fonte:Antimafiaduemila