”Mio padre si avvalse della facoltà di non rispondere per accordo con carabinieri”

Stato-mafia
di Aaron Pettinari e Miriam Cuccu

ciancimino vito

Ultimo documento analizzato oggi in aula è a firma dello stesso don Vito Ciancimino in cui  il padre mette nero su bianco di essere stato chiamato come testimone al processo di Firenze per “sbugiardare i carabinieri” che hanno “reso falsa testimonianza”. “Questo documento – dice Ciancimino jr rispondendo alle domande del pm Nino Di Matteo (in aula con Francesco Del Bene) – lo vedo per la prima volta tra il ’99 ed il 2002. Mio padre era stato chiamato al processo stragi. La sua testimonianza era stata ammessa su richiesta dei legali di alcuni imputati. E lui scrive proprio ‘la difesa degli imputati, informati da loro clienti, volevano che io deponessi per sbugiardare i carabinieri’. Chi erano? Sicuramente Riina (l’altro imputato era Graviano, ndr) ma mi pare anche Provenzano. Quel che è certo è che la difesa di Riina chiese quella citazione. Mio padre, anche se si sentiva tradito dai carabinieri per la vicenda del passaporto che portò all’arresto, si avvalse della facoltà dei non rispondere per l’accordo che c’era con i carabinieri. Un accordo che rispettò fino all’ultimo.
In cosa mio padre avrebbe potuto sbugiardare i carabinieri? Sulla vicenda della trattativa, sulla versione che era stata raccontata. Mio padre già la definiva ridicola perché parlavano del fatto che lo Stato era in ginocchio e che non si capiva perché si era arrivati al muro contro muro. Poi però quello Stato in ginocchio aveva fatto quella prima proposta ridicola sul fatto che Riina e Provenzano si sarebbero dovuti consegnare e in cambio non sarebbe stata toccata la famiglia”.

Stato-mafia, Ciancimino jr: “Mi fu garantito che sugli incontri tra mio padre ed i carabinieri c’era segreto di Stato”
di Aaron Pettinari e Miriam Cuccu
“De Donno mi disse che su quella vicenda, su quegli incontri tra mio padre ed i carabinieri, c’era la copertura del segreto di Stato. Ciò significa che il mio ruolo in questa vicenda non sarebbe mai emerso”. A dirlo oggi in aula è Massimo Ciancimino, tornato a deporre al processo trattativa Stato-mafia in corso all’aula bunker a Palermo. “Ricordo che una volta anche Brusca disse qualcosa in merito, io chiamai preoccupato De Donno ma ancora una volta mi disse di stare sereno, che l’accordo rimaneva tale e che c’era il segreto di Stato. E’ un dato di fatto che io non sono mai stato chiamato da nessuno a testimoniare, fino al gennaio 2008, dopo l’intervista a Panorama, quando mi chiamarono prima il dottor Di Natale e poi Ingroia e Di Matteo”.

Stato-mafia, Ciancimino jr: “Con i carabinieri c’era un accordo affinché non vi fosse nostro coinvolgimento nei processi”
di Aaron Pettinari e Miriam Cuccu
“Con i carabinieri avevamo un accordo affinché il nostro nome non venisse coinvolto in merito a quanto era avvenuto nel 1992. Per questo continuai ad incontrarmi e sentirmi con De Donno dopo l’arresto di mio padre, fino al 2005”. Così Massimo Ciancimino spiega il motivo per cui negli anni successivi alla fine del 1992, quando il padre fu arrestato e disse di essersi “sentito venduto”. “C’era questo accordo. A volte uscivano anche notizie dei rapporti tra mio padre ed i carabinieri, io mi preoccupavo ma ogni volta venivo rassicurato”. Ciancimino jr ricorda poi che sia Mori che De Donno si recavano di frequente in carcere proprio per incontrare il padre, anche fuori dagli interrogatori o gli incontri con i magistrati.
Ciancimino ricorda anche la preoccupazione che emerse quando Salvatore Riina intervenne al processo di Firenze chiedendosi il perché non fosse mai stato sentito lo stesso Ciancimino jr. “Venni subito rassicurato che non sarebbe accaduto niente. De Donno mi assicurò che mai nessuno, magistrato o investigatore, mi avrebbe chiamato a testimoniare su quei fatti che avevo vissuto come protagonista. Questo me lo disse anche il ‘signor Franco’”.

Stato-mafia, Ciancimino jr in aula prosegue l’analisi dei documenti
di Aaron Pettinari e Miriam Cuccu
Prosegue l’analisi dei pizzini che Bernardo Provenzano inviava a Vito Ciancimino. Il pm Nino Di Matteo mostra a Ciancimino jr un documento che, secondo la ricostruzione del teste, sarebbe datato 11 settembre 2001. “Quando lo prendo in consegna – ricorda – c’era l’attentato delle Torri Gemelle a New York e commentammo anche con mio padre quel fatto”. Nel documento si legge: “Carissimo Ingegnere, ho letto quello che mi ha dato M. ma a scanso di equivoci ho riferito che ne parlerò quando ci sarà possibile vederci. Mi è stato detto dal nostro Sen. e dal nuovo Pres. che spingeranno la nuova soluzione per la sua sofferenza. Appena ho notizie ve li farò avere, so che l’av. è benintenzionato. Il nostro amico Z. ha chiesto di incontrare il Sen. Ho letto che lei non ha piacere e bisogna prendere tempo. Si tratta di nomine nel Gas. Mi ha detto che vi trovate in ospedale. Che la salute vi ritorni presto e che il buon Dio ci assista”. Secondo Ciancimino jr, il “Sen.” a cui si fa riferimento è sempre Marcello Dell’Utri. Il “nuovo Pres.” invece sarebbe Salvatore Cuffaro mentre “l’av” è l’avvocato Nino Mormino, difensore di tutto il ghota di Cosa Nostra, legale di fiducia di Dell’Utri e, in quel momento vice-presidente della commissione giustizia della Camera. Il “il nostro amico Z” invece, sarebbe suo cugino, Enzo Zanghi. Anche in questo documento l’argomento di discussione era arrivare ad un alleggerimento nei confronti dei detenuti.

Stato-mafia, Ciancimino jr: “Mio padre mi disse di incontri tra Provenzano e Dell’Utri”
di Aaron Pettinari e Miriam Cuccu
“Mio padre mi disse di incontri diretti tra Provenzano e Marcello Dell’Utri”. A dirlo in aula al processo trattativa Stato-mafia è Massimo Ciancimino, che nel dibattimento ha la doppia veste di teste ed imputato. “Mio padre – dice il figlio di don Vito – mi disse che la sua figura era stata sostituita con quella di Dell’Utri. Mio padre sa di questi incontri direttamente da Provenzano. Si era preso a cuore la situazione di mio padre e così si spingeva per questa cosa dell’amnistia-indulto. C’era anche un disegno di legge all’esame della commissione giustizia.

Stato-mafia, Ciancimino jr: “‘L’amico Sen’ nei pizzini di Provenzano? Era Dell’Utri”
di Aaron Pettinari e Miriam Cuccu
“Carissimo ingegnere, con l’augurio che vi troviate in uno stato di salute migliore di quando vi ho visto il mese scorso, ho riferito i suoi pensieri al nostro amico Sen. Ho spiegato che loro non possono fare provvedimenti come questi dell’amnistia quando governano loro e che è cosa giusta spingere per fare approvare la legge. L’amico mi ha detto che è stata fatta una riunione e sarebbero tutti in accordo. Ho visto che anche il buon Dio con il Cardinale ha chiesto la stessa cosa”. Prosegue l’esame dei pizzini nviati da Bernardo Provenzano a don Vito Ciancimino. Il pm Nino Di Matteo chiede al figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo di collocare nel tempo la consegna di questo documento. “Per la collocazione siamo tra il 1999 ed il 2002. In quel periodo Provenzano sarà venuto a trovarlo di persona, con me presente, un tre-quattro volte – dichiara il teste-imputato – quel documento lo commentiamo nell’immediato. Mio padre mi dice che “l’amico Sen” era Marcello Dell’Utri, anche se all’epoca non era ancora senatore. Ricordo che fece pure una battuta in quanto Provenzano aveva l’abitudine di scrivere sempre un senatore che però era ben più importante perché faceva riferimento ad Andreotti. Però in quel momento si parla di Dell’Utri. In quel documenti si fa riferimento ad un altra missiva dove mio padre chiedeva intervento diretto su Marcello Dell’Utri. Me lo disse mio padre. Ed io lo portai a Provenzano”.
Quando Di Matteo chiede il perché di quella pressione sull’ex politico di Forza Italia Ciancimino jr spiega che il pensiero era spingere il Parlamento a varare l’amnistia: “Mio padre era interessato perché così avrebbe potuto abbandonare lo stato di detenzione. In quel momento al governo c’era il centro sinistra. La convinzione di mio padre è che certi provvedimenti il centro destra non avrebbe potuto presentarli ma si poteva arrivare ad un appoggio per un eventuale amnistia-indulto”.

Trattativa, Ciancimino: i pizzini tra mio padre e Provenzano
di Aaron Pettinari e Miriam Cuccu
L’analisi di alcuni “pizzini” scambiati tra Bernardo Provenzano e Vito Ciancimino nel ‘92 è al centro dell’udienza odierna del processo trattativa Stato-mafia, con il figlio di don Vito, Massimo, a fare da testimone (oltre che tra gli imputati). Nel consegnare le missive al boss corleonese, ha spiegato Ciancimino, “passavano sempre due o tre ore poi ci rivedevamo nello stesso punto e mi riconsegnava la busta da portare a mio padre, sempre personalmente”.
In uno dei biglietti, datato giugno ’92, si parla delle condizioni di salute di Provenzano, per il quale Vito Cianicimino aveva fatto mandare le analisi al dottore Pagliaro: “Carissimo ingegnere, – scrive il capomafia – ho saputo che ha fatto avere le mie analisi al professore. Se ritiene che ci posso andare a trovarlo, me lo faccia sapere e anche come. M. mi ha detto che potremmo vederci il 16 o il 17. Sarebbe più prudente il mercoledì”. Don Vito, nonostante la sua nota scaramanzia, accettò di incontrare Provenzano quel giorno, perché al mercoledì, in zona, c’era sempre un mercato rionale molto affollato che permetteva di passare inosservati.
Nel pizzino, ha raccontato ancora Ciancimino junior, anche alcuni riferimenti ad una serie di dialoghi e negoziazioni: “Se lei pensa che parlare con questa gente ci porti qualcosa di buono, a lei non manca”.
Pochi giorni dopo la strage di via D’Amelio, invece, Provenzano risponde ancora a don Vito: “Carissimo ingegnere, M. mi ha detto che visti i fatti accaduti non è prudente incontrarci giovedì 23 come ci eravamo detto l’ultima volta che ci siamo visti. Ho parlato con amici comuni e mi hanno detto che M. quando viene a Palermo non è solo. So che il ragazzo si guarda. Secondo me c’è qualcosa che non funziona e se lei continua a parlarci con questa gente mi faccia sapere. Che il buon Dio ci protegga”.

Tra le carte di don Vito quelle sul covo di Riina: “Con questo mi vendico della trappola”
Massimo Ciancimino al processo trattativa Stato-mafia
di Aaron Pettinari e Miriam Cuccu
Vito Ciancimino, oltre alla mappatura delle celle dei cellulari in via d’Amelio, conservava anche dei documenti sui 19 giorni in cui non fu perquisito il covo di Totò Riina a seguito del suo arresto. A dirlo Massimo Ciancimino al processo trattativa Stato-mafia: “Quei documenti sono stati spediti a mio padre nel periodo in cui venne poi a mancare. Li teneva nel letto, erano gli ultimi plichi che stavamo prendendo in esame, siamo a settembre/ottobre 2002. Mio padre – ha continuato – diceva ‘con questo mi vendico della trappola’, aveva contezza di essere stato venduto. Nella busta c’era pure un dischetto, c’era un foglio dove descriveva la ricostruzione delle cellule telefoniche fatta nel periodo dell’assenza di perquisizione del covo. Non so chi sia riuscito a ricavare la mappatura dei soggetti che si trovavano in quei 19 giorni. Dopo la morte di mio padre non li presi in esame, e accettai il consiglio del dottor Lapis di disfarmene”. “Mio padre – ha aggiunto il teste – diceva che non c’era stata la giusta osservazione sulla questione, ma lui voleva capire realmente chi avesse avuto accesso a questo covo. Già si meravigliava del fatto che la ricostruzione non fosse stata fatta d’ufficio, se persino lui ne era venuto in possesso”.

L’udienza è rinviata al 10 marzo.

Fonte:Antimafiaduemila