NEI GIRONI TOSSICI DI ROGHI E AMIANTO / DA CASALE A POSILLIPO

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Andrea Cinquegrani

Storie di vite spezzata, di morti annunciate, di massacri scientifici. Di territori stuprati, di regole calpestate, di giustizia negata, e le poche volte che ne arriva qualche brandello sono passate generazioni. Non solo Terra dei Fuochi, roghi supertossici, traffici miliardari che ingrassano mafie, colletti bianchi e aziende killer.

Ma anche amianto, con un fiume di cadaveri che scorre sotto i nostri occhi e nessuno muove un dito. Anzi il business procede “legalmente” a vele spiegate. Una delle solite leggi scritte nel Belpaese solo sulla carta, ma regolarmente inapplicate, la numero 257 del ’92, prevede esplicitamente l’ufficiale messa al bando dell’amianto. Ma pochi sanno – o molti sanno, nel Palazzo, ma fanno finta di ignorare – che l’Italia, oggi, è il più forte importatore di “asbesto” dall’India. Paginate e paginate sulla vicenda dei nostri marò prigionieri della giustizia indiana, neanche una sillaba sull’immondo commercio di asbesto, cioè amianto. E’ proprio un organismo governativo, l’Agenzia delle Dogane, a confermarlo. Un altro dato, stavolta elaborato dall’Osservatorio Nazionale Amianto, dovrebbe far riflettere: l’amianto è ancora presente in ben 40 mila siti, una vero e proprio killer vicino alla porta di casa nostra; eppure appena il 2 per cento di tali siti è stato bonificato. L’ONA ha inviato un dossier alla magistratura: silenzio. La stessa documentazione è partita anche in direzione della Commissione Lavoro al Senato. Silenzio. Comunque, “state sereni”, i Renzy boys lavorano notte e giorno per voi. Così come possono dormire sonni tranquilli a Bagnoli, per una bonifica fantasma mai cominciata da quasi vent’anni, nonostante le centinaia di miliardi spesi a vuoto, per foraggiare parenti, amici & clienti (il buco per il fallimento della partecipata pubblica Bagnolifutura è di oltre 200 milioni di euro).

Una visione dall'alto dell'area di Trentaremi, colpita dagli versamenti di amianto

Una visione dall’alto dell’area di Trentaremi, colpita dagli versamenti di amianto

E proprio a un tiro di schioppo da Bagnoli raccogliamo una storia di vita vissuta. E spezzata. Incontriamo Pasquale – piccolo commerciante di abbigliamento a Cardito, popoloso comune dell’hinterland partenopeo – in uno dei luoghi più incantati di Napoli. Siamo sulla collina di Posillipo, parco della Rimembranza, che domina su tutta l’area che va da Nisida, corre lungo Bagnoli e quel che resta della fu Italsider, e approda a Pozzuoli. Racconta Pasquale: “Le acque che circondano questo promontorio e affacciano sulla baia di Trentaremi, quarant’anni fa erano tra le più belle e incontaminate. Venivo qui con mio padre e mio fratello a nuotare e pescare, \la mia passione. Ma oggi qui c’è l’inferno. Proprio lì sotto (e indica una vasta zona di color rossiccio, ndr) i camion dell’Eternit hanno portato tonnellate e tonnellate di amianto, in mondo del tutto illegale e distruggendo letteralmente l’ambiente. Immaginate con le piogge cosa scende dalla collina al mare. Eppure d’estate nella spiaggia libera a cento metri ci fanno il bagno a migliaia”. La magistratura ha mai aperto lo straccio di un’inchiesta? Il Comune ha mai adottato un qualche provvedimento, sotto i vari reami di Bassolino, Iervolino e De Magistris, per bonificare quel pezzo di litorale pubblico? Niente, solo un divieto di balneazione regolarmente disatteso sotto gli occhi delle forze dell’ordine: non per inquinamento, ma per “pericolo caduta massi” dal sovrastante costone…

Continua Pasquale nel suo racconto. “Ho perso mia moglie un mese fa per un carcinoma all’utero. Lo abbiamo scoperto a luglio, poi il tumore me l’ha mangiata sotto gli occhi, alcuni mesi di calvario perchè la vedevo finire e nessuno riusciva a fare niente. Ci hanno negato anche l’accompagnamento quando si poteva muovere, poi non serviva più, è rimasta inchiodata al letto. Ho perso mio fratello cinque anni fa, un’anemia fulminante, il suo sangue era come impazzito e si vedeva morire: ha preferito decidere lui il momento e l’ha fatta finita da solo. A mia sorella hanno appena trovato un tumore ai polmoni. Abbiamo vissuto nel triangolo della morte, e solo chi vive di persona queste tragedie può capire. Intanto lo Stato non fa niente, solo finzioni e sceneggiate, e chi ha ammazzato e ammazza non passa niente”.

don Maurizio Patriciello

don Maurizio Patriciello

Continuano a dar battaglia i comitati di familiari che hanno perso, nel giro di pochi anni come Pasquale, amici e parenti. Portavoce e anime don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano, e Antonio Marfella, oncologo e promotore di “Medici per l’ambiente”. Una delle battaglie che da anni portano avanti nel deserto è quella di dar “vita” (sic) ad un vero registro tumori, mai avviato dalla Regione Campania. “Forse bisogna fare come indica il giudice Guariniello – propongono a Caivano – creare il registro dei tumori presso le procure, altrimenti affidare il compito alla Regione è come dare a Dracula il controllo dell’Avis”. Anni di promesse mai mantenute, in Regione, omertà, silenzi & complicità. E ora a Santa Lucia vorrebbero anche “controllare” le bonifiche in quella Terra dei Fuochi: con il concreto pericolo – denunciato da non poche associazione – di assistere allo scempio bis, aggiungendo al danno anche la beffa, ossia l’affidamento delle opere di bonifica proprio a quelle imprese di camorra che hanno massacrato il territorio con gli sversamenti super tossici.

Torniamo all’amianto killer. Poco prima di Natale uno spiraglio nel buio. Arriva dal tribunale di Vercelli, dove il giudice penale Marco Dovesi ha stabilito che il decesso di Maria Casulli, un’operaia morta a 54 anni, ad ottobre 2010, è stata causata da un mesotelioma per gli effetti dell’amianto con il quale era costretta a convivere nella fabbrica “Fratelli Magnolia Antonio & Figli spa” di Santhià, in Piemonte. Non solo, dunque, l’amianto killer di Casale Monferrato e nelle altre unità di morte targate Eternit.

 

MAGNOLIE & VELENI

E’ fresca di fallimento, la Fratelli Magnolia, ma nei periodi d’oro – e di amianto – ad inizio anni ’80, arruolava oltre 400 operai, parecchi dei quali morti nel corso degli anni lavorando alle carrozze ferroviarie, montando e smontando vagoni e “arredi” interni, sempre a contatto con quelle polveri d’amianto. Oggi la sentenza che può finalmente aprire la strada per i risarcimenti ai familiari di tante altre vittime che non hanno avuto giustizia, proprio perchè c’è prova della responsabilità dei titolari dell’azienda che non avevano informato le maestranze circa i reali rischi che correvano con quelle lavorazioni. Un’inchiesta partita dopo quella morte, il rinvio a giudizio dei titolari nel 2011 e quattro anni dopo la sentenza. “Una boccata di ossigeno dopo tanto veleno ingoiato non solo dai nostri morti, ma anche per via dei sei precedenti procedimenti giudiziari regolarmente andati a vuoto”, commentano a Santhià. Gli ultimi due, anzi, si era chiusi a tarallucci e vino per i padroni del vapore, assolti dalle accuse.

Una manifestazione del comitato vittime Casale Monferrato

Una manifestazione del comitato vittime Casale Monferrato

Meglio tardi che mai. Come nel caso della Olivetti, la storica azienda di Ivrea del super ingegner Carlo De Benedetti, dove l’amianto era di casa, ma solo un paio di mesi fa – dopo anni e anni di impunità – si è registrato il rinvio a giudizio per lo stesso padrone di Espresso e Repubblica e per alcuni top manager dell’epoca. “I vertici non potevano non sapere”, è stato finalmente appurato dal pm del tribunale di Ivrea Laura Longo, dopo decenni di cortine fumogene. Finirà tutto in gloria, sempre tramite la taumaturgica e miracolosa prescrizione SalvaPotenti? Probabilissimo: come sempre in questi casi, ad esempio l’inchiesta sulla strage per sangue infetto alle battute “iniziali” (prima udienza il 15 febbraio) a Napoli dopo vent’anni di indagini. Ma la speranza – almeno quella – non è ancora morta.

E sempre in Campania il 12 gennaio terza udienza al tribunale di Avellino per l’amianto killer dell’Isochimica. Dopo anni e anni, anche stavolta un barlume di speranza: al processo sono stati ammessi come parti civili tutti gli ex operai della fabbrica, oltre ai 231 già previsti in un primo elenco di danneggiati diretti e familiari. Altro elemento, è stato cambiato il capo di imputazione (proprio come è successo per il sangue infetto), da “lesioni colpose” a “omicidio colposo”. “E speriamo caso mai in un passo in più – osservano alcuni avvocati irpini – perchè se i titolari erano come succede in questi casi ben consapevoli dei pericoli corsi dalle maestranze, a questo punto non c’è solo colpa, e per il dolo poco ci manca. Sarebbe il caso, quanto meno, di tornare alla vecchia formula dell’omicidio preterintenzionale”. E quando si tratta di salute la cosa non è da poco.

Fiore all’occhiello della famiglia Graziano, l’Isochimica. Come l’altra sigla storica Idaff. Entrambe impegnate sul miliardario fronte (negli anni ’80 e ’90) degli appalti targati Fs, non solo per scoibentare (dall’amianto killer) i vagoni ferroviari, ma anche per fornire le “lenzuoline d’oro”, uno degli affari più riusciti per il patròn delle aziende, Elio Graziano: oltre che presidente per svariati anni dell’Avellino Calcio nel dopo Sibilia, Graziano era infatti grande amico dell’ex presidente Fs Ludovico Ligato, calabrese e ucciso sotto i colpi di lupara. A fine anni ’80 la Voce scrisse diversi reportage sulla Graziano dinasty e sugli affari ferroviari & d’amianto: autore Enrico Fierro, per anni inviato dell’Unità e oggi del Fatto quotidiano.

Amianto in prima fila anche nelle sale cinematografiche: ma solo per gli intenditori, gli aficionados, un tempo, dei cinema d’essai. Non resta che riportare le parole di uno dei critici migliori, Maurizio Porro del Corsera. Titolo: “Morti d’amianto – Un documento da ricordare”. Ecco cosa scrive Porro a proposito del film ‘Un posto sicuro’: “Debutto di Francesco Ghiaccio, che con Marco D’Amore ha anche scritto un libro (Sperling & Kupfer) sul confronto generazionale vissuto disperatamente tra i 200 morti per amianto nell’area maledetta di Casale: il posto sicuro di Eduardo, papà di Luca, è all’Eternit. Giustizia non è fatta, nessuno paga il conto. Ci pensa il cinema con un documento, non documentario, gonfio di vergogna, mescolato alla gente ‘vera’ con intelligente uso metaforico del teatro come cura omeopatica di rivalse private e civili, da quando gli attori di Amleto fecero cadere la coscienza del re. Dramma ancora in fieri, dove la parola posto, celebre dal 60 di Olmi, diventa maledizione: l’ottimo, appassionato, commovente risultato è merito anche di quel bravissimo villain di Marco D’Amore, che viene dai miasmi di ‘Gomorra’”.

Ma ai botteghini – strabattendo Star Wars con il suo “posto-Quo Vado” – sbanca Checco Zalone…

 

Fonte:Lavocedellevoci