L’azzardo di Renzi che piace alla Ue

 

Di Andrea Colombo

Manovra. La legge di stabilità all’esame di Bruxelles: «Clima di ottimismo», ma non mancherebbero rilievi. Scontro con 5 Stelle e minoranza Pd sul diluvio di nuove bische e sull’eliminazione del tetto ai contanti

Ven­ti­due­mila nuove licenze per case da gioco e slot machi­nes: Mat­teo Renzi a modo suo è un crea­tivo. Quin­di­ci­mila nuove agen­zie, set­te­mila cor­ners, punti scom­messa piaz­zati per le strade, e in cam­bio, una tan­tum, il governo incas­serà un miliardo, tra pre­lievi e bandi, che lo aiu­te­ranno a coprire una mano­vra che di coper­ture ne ha pochis­sime.
Gli ope­ra­tori del set­tore pro­te­stano, le oppo­si­zioni pure, un po’ tutte, con l’M5S, per bocca di Di Maio, più rumo­roso di tutti: «Invece di bloc­care slot machi­nes e cen­tri scom­messe, il governo li usa per finan­ziare le sue becere mano­vre elet­to­rali». L’allusione è al taglio della Tasi, che non solo Di Maio ma dav­vero tutti sospet­tano fina­liz­zato più a rim­pin­guare i for­zieri elet­to­rali di Mat­teo Renzi che a sup­por­tare l’esile ripresa.

Però l’invasione di bische non basta certo a finan­ziare una mano­vra che sul fronte coper­ture è tra le più spe­ri­co­late e non è detto che basti. Il testo non è ancora stato tra­smesso al Par­la­mento, e il ritardo di tre giorni potrebbe pre­lu­dere a qual­che sor­presa. Ludo­pa­tia a parte, il grosso della mano­vra, come stre­pita Bru­netta, è in realtà a defi­cit. Dovrebbe essere una di quelle mosse che l’Europa solo a sen­tirne par­lare spara a zero. Invece le voci, infor­mali ma auto­re­voli, in arrivo da Bru­xel­les dicono il con­tra­rio esatto. «C’è un buon clima», fanno fil­trare i guar­diani del rigore. «L’Italia – spie­gano – è più solida che nel 2014, dun­que non dovrebbe esserci rin­vio al mit­tente della manovra».

Qual­che zona d’ombra per la verità c’è. L’Italia chiede di alzare il defi­cit di 0,2 punti, pari a tre miliardi tondi, impu­gnando a giu­sti­fi­ca­zione l’emergenza migranti. L’Europa nic­chia, e alla fine con­ce­derà meno del richie­sto: «Aspet­tiamo di vedere quali saranno dav­vero le spese per i migranti», fanno sapere le solite «voci». L’accordo si tro­verà nel mezzo. L’Europa con­ce­derà un minore aumento del defi­cit, l’Italia si accon­ten­terà e recu­pe­rerà il miliardo e passa man­cante (se tutto va bene) tagliando qua e là la spesa sociale.

Ma l’accordo si tro­verà, e in realtà Renzi e Padoan non sono mai rima­sti col fiato sospeso. La spa­rata in stile Varou­fa­kis del pre­mier era a scopo pura­mente pro­pa­gan­di­stico. Quando ha minac­ciato di ripre­sen­tare la legge iden­tica in caso di rin­vio da parte dell’Europa, Renzi alzava la voce sapendo benis­simo che quel rin­vio, lo stesso che ha col­pito nei giorni scorso la Spa­gna, era in realtà estre­ma­mente impro­ba­bile per non dire impossibile.

Le sicu­rezze del ram­pante pre­mier e del suo mini­stro dell’Economia non pote­vano essere basate sulla strut­tura della legge, che anzi in sé sarebbe quanto mai espo­sta agli strali dei rigo­ri­sti. Erano piut­to­sto dovute all’accordo poli­tico stretto da Mat­teo Renzi prima di tutti con Angela Merkel.

L’Italia ha fatto il suo com­pito a casa: una riforma isti­tu­zio­nale det­tata dall’Europa in nome della neces­sità di limi­tare gli spazi di demo­cra­zia par­la­men­tare a favore di un raf­for­za­mento secco dell’esecutivo. È il segreto di Pul­ci­nella. In Par­la­mento, nei giorni dell’approvazione a marce for­zate della riforma, tutti sape­vano per­fet­ta­mente che la fretta di palazzo Chigi era appunto dovuta alla neces­sità di por­tare a casa lo scalpo del Senato in tempo per otte­nere in cam­bio il sema­foro verde sulla mano­vra in defi­cit. Oltre­tutto, per il fio­ren­tino è il momento di incas­sare anche la pre­benda per il pre­zioso aiuto pre­stato a Frau Angela e allo stato mag­giore dell’Unione euro­pea al momento di stri­to­lare Tsi­pras e il suo referendum.

Dun­que l’Europa userà un occhio di riguardo, e Padoan com­pren­si­bil­mente tri­pu­dia: «Abbiamo qua­drato di nuovo il cer­chio. Dimi­nuiamo il debito, ridu­ciamo il defi­cit e allo stesso tempo for­niamo soste­gno espan­sivo alle fami­glie. Resti­tui­remo ai Comuni gli introiti della Tasi e pro­se­gui­remo con i tagli ai mini­steri». I quali per la verità, come tutta la Spen­ding Review, per ora non hanno pro­dotto i risul­tati spe­rati. Ma sono par­ti­co­lari che non tur­bano il gau­dio di palazzo Chigi.

Più fasti­diose alcune voci cri­ti­che che par­tono da vicino. Da Raf­faele Can­tone, per esem­pio, che boc­cia senza appello l’aumento del tetto del con­tante a tre­mila euro. O dalla solita mino­ranza Pd, che insi­ste nel denu­ciare un taglio della tassa sulla casa ini­quo, che avvan­tag­gerà soprat­tutto i già avvan­tag­giati. «Basta con le cari­ca­ture, il con­fronto è sul merito», sbotta Cuperlo, e segui­ranno di certo ade­guati emen­da­menti dell’opposizione interna. «Mi auguro che non saranno ascol­tate le richie­ste di arre­tra­mento della mino­ranza Pd», mette le mani avanti Sac­coni, ex mini­stro con Ber­lu­sconi e ora pre­si­dente della com­mis­sione Lavoro della Camera.

Sarà anche vero che il taglio delle tasse non è né di destra né di sini­stra, come afferma Renzi. Però se la mano­vra piace tanto a uno come Sac­coni qual­che sirena d’allarme dovrebbe suo­nare. A distesa.

Fonte:IlManifesto.it