Mafia e corruzione, una denuncia senza mezze misure

di Miriam Cuccu
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“La corruzione è il cancro di un popolo” ammonisce Papa Francesco. Non da piazza San Pietro ma dal parco di No Guasu ad Asunciòn, tappa conclusiva del viaggio del pontefice in Sudamerica, iniziato in Ecuador e Bolivia e concluso in Paraguay. Un viaggio tra la folla, anche quella delle baraccopoli, costellato di incontri nei quali il pontefice ha rievocato le guerre e le dittature superate dalla gente comune.

Bisogna ricordare, però, che anche in terra latina corruzione e dittature sono state spesso accompagnate dal fenomeno mafioso, che in questi paesi trova, oltre alla facile connivenza di esponenti politici, anche un’importante base per la produzione di marijuana e cocaina, che da qui viene distribuita nelle piazze di spaccio di tutto il mondo occidentale. Una questione che ugualmente opprime il popolo latinoamericano: lo sapeva bene Pablo Medina, giornalista paraguayano per Abc Color, assassinato lo scorso ottobre insieme all’assistente Antonia Almada per certe inchieste scottanti sui legami tra narcos e politica. Ne erano consapevoli anche i familiari, già prostrati dal dolore per aver perso un fratello di Pablo, Salvador, ucciso il 5 gennaio 2001, crivellato dei proiettili di un killer della mafia locale. Il boss Vilmar “Neneco” Acosta, ex sindaco di Ypejhù e accusato di essere il mandante del duplice omicidio Medina-Almada, dopo essere fuggito in Brasile attende di essere estradato in terra paraguayana, ma sono molte le circostanze che potrebbero celarsi dietro la morte, dai contorni sempre più politici, del giornalista. Primo fra tutti il caso di Víctor Núñez, Ministro della Corte Suprema di Giustizia costretto a dimettersi in quanto sospettato di avere contatti con il mondo del narcotraffico. O quello della deputata del Partito Colorado Cristina Villalba, ritenuta madrina di Acosta e sospettata di aver favorito la sua latitanza (benedetta dal Papa durante il suo viaggio per la perdita del figlio in un incidente stradale).
Parallelamente, ancora oggi in Sudamerica occupano cariche e poltrone personaggi che invece di rappresentare le istituzioni locali sono prima di tutto ambasciatori di interessi particolari. È il caso dello stesso Horacio Cartes, presidente del Paraguay (accompagnatore del Papa durante il viaggio nelle varie località del paese) fondatore di una delle più grandi multinazionali di tabacco di Asunciòn e sospettato di avere legami con i narcos del Paraguay. Ed è qualcosa che il Papa non può sottovalutare, i legami tra mafia e politica, quando in America latina incontra funzionari e capi di Stato, dai presidenti Morales e Correr, rispettivamente in Bolivia e Ecuador, alla presidente argentina Kirchner in Paraguay. Perché se è vero che l’Italia è il paese “esportatore” delle mafie, è altrettanto reale il fatto che queste hanno attecchito senza difficoltà nei cinque continenti, diventando sempre più globali, infiltrandosi in tutti i livelli e ambienti.
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La questione del contrasto alla mafia diventa sempre più urgente: proprio ieri Joaquin Guzman Loera, detto “el Chapo”, boss del Cartello della droga di Sinaloa, è evaso per la seconda volta dal carcere di massima sicurezza di Altiplano, nella città di Almoloya de Juárez, circa 90 km a ovest di Città del Messico. Una fuga definita “da film”, dopo il ritrovamento di un tunnel con ventilazione e luce che portava ad un condotto verticale di 10 metri di profondità, e poi ad un altro tunnel lungo 1.500 metri. D’altronde, per “el Chapo” non si trattava della prima evasione: già nel 2001 era riuscito a fuggire dalla prigione di massima sicurezza di Puente Grande dalla porta principale, nascosto in un furgone della biancheria sporca. Poi era stato arrestato il 22 febbraio 2014 in un hotel di Mazatlan, a circa 200 km da Culiacan, capitale dello stato di Sinaloa, nel corso di una festa in compagnia della moglie e delle figlie.
Alla luce di tutto ciò, l’attenzione che Papa Francesco ha dato alla lotta alla mafia durante il suo pontificato, pronunciando dure parole contro i mafiosi in più occasioni, è ancora più apprezzabile. Dall’appello “Convertitevi!” gridato insieme a don Ciotti all’edizione 2013 della Giornata in ricordo delle vittime di mafia (e ripetuto quest’anno a Napoli) alla scomunica proclamata nella Piana di Sibari, in Calabria, i richiami del pontefice argentino sono stati numerosi, più che in ogni altro periodo storico. È quindi auspicabile, per restare sul solco della coerenza, che la condanna di Papa Francesco contro la criminalità organizzata continui ad estendersi anche oltreoceano, dando sollievo a tutte le vittime e alle loro famiglie. Che a dover essere scomunicati non sono solo i mafiosi, ma soprattutto tutti i rappresentanti della politica, dell’imprenditoria, della Chiesa stessa, che aprono le porte ai boss per fare affari e carriere.

Foto in alto: Papa Francesco e Cristina Villalba

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fonte:antimafiaduemila.com