L’ORO ITALIANO TORNI IN ITALIA!

di Gianni Lannes

L’Italia è il terzo paese al mondo per consistenza di riserve auree (dopo Stati Uniti d’America e Germania), infatti, secondo l’ultima relazione sul bilancio di Banca d’Italia le riserve d’oro dello Stato italiano ammontano a 2.452 tonnellate di oro, pari attualmente ad un valore di circa 110 miliardi di euro, che, pur con qualche oscillazione, cresce tendenzialmente di anno in anno.

I lingotti della riserva nazionale, però, non sono più custoditi nei sotterranei della Banca d’Italia a Roma, ma detenuti all’estero senza alcun titolo o diritto da Stati stranieri. In altri termini, non ne abbiamo più l’effettiva disponibilità e/o possesso.

Ora, pur mantenendo la natura giuridica pubblicistica della Banca d’Italia, la sostanziale privatizzazione dell’istituto operata a partire dal decreto del presidente della Repubblica numero 350 del 27 giugno 1985, a firma di Pertini, Craxi e Goria, in ossequio alla direttiva del Consiglio delle Comunita’ europee 77/780 del 12 dicembre 1977 – in palese violazione dell’articolo 47 della carta costituzionale che impone il controllo dello Stato sul credito e sul risparmio – solleva più di qualche perplessità in ordine al destino delle nostre riserve auree. In sostanza: Bankitalia è ormai proprietà di banche private.

Per la cronaca ignorata: all’epoca proprio il ministro Goria sostenne ufficialmente mentendo spudoratamente, che non c’erano fondi da stanziare per il recupero del Dc 9 Itavia nel fondo del Tirreno.

La riserva aurea appartiene senza ombra di dubbio giuridico allo Stato italiano, o meglio al popolo italiano, e questo principio va riaffermato mediante concreta chiarezza, e nel più breve tempo possibile.

Le riserve auree, inoltre, in seguito alla sospensione del regime di convertibilità dei biglietti di banca «in oro o, a scelta della banca medesima, in divise su paesi esteri nei quali sia vigente la convertibilità dei biglietti di banca in oro», prevista dal regio decreto-legge 21 dicembre 1927, numero2325, hanno svolto una funzione essenziale per il governo della bilancia dei pagamenti e, quindi, dell’esposizione dell’Italia verso l’estero e, pertanto, anche di garanzia dell’indipendenza e della sovranità del popolo italiano.
Sulla base degli studi di alcuni costituzionalisti «l’analisi della normativa sinora vigente induce a ritenere che si tratti di beni pubblici di natura quasi demaniale, destinati ad uso di utilità generale, che Bankitalia non avrebbe più titolo per detenere, essendo la sua funzione monetaria confluita in quella affidata ormai alla Banca Centrale Europea; l’oro, insomma, appartiene agli Italiani e deve pertanto essere restituito allo Stato».

Che fare? Obbligare il Governo tricolore ad adottare immediatamente un atto normativo che ribadisca, in maniera esplicita, che le riserve auree sono di proprietà dello Stato italiano e non della Banca d’Italia, a prescindere dall’assetto statutario di quest’ultima; ma soprattutto ad adottare le iniziative opportune affinché le riserve auree detenute all’estero (Stati Uniti d’America, Gran Bretagna, Svizzera) siano fatte rientrare nel territorio nazionale, entro il termine massimo di tre mesi. In caso contrario, il popolo sovrano può obbligare con uno sciopero generale ad oltranza ed un’obiezione fiscale motivata e su scala nazionale, l’esecutivo del non eletto Renzi a rassegnare le immediate dimissioni e a traslocare fulmineamente da Palazzo Chigi.

D’altronde, il fondo monetario europeo non dispone di riserve auree, stampano carta moneta senza riserva aurea, e poi vendono questa carta straccia alle ex nazioni europee, Italia inclusa, speculando con il classico sistema del signoraggio bancario.

Fonte:eastjournal