Giù la maschera!

di Lorenzo Baldo – 10 giugno 2015

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Eccolo qui il Csm che si costituirà in giudizio contro il pm Nino Di Matteo “reo” di aver presentato ricorso al Tar del Lazio con la richiesta di sospensione cautelare della delibera con cui il plenum lo ha escluso dalla corsa per la copertura di tre posti alla Direzione nazionale antimafia. La decisione è stata votata dal plenum con l’astensione dei consiglieri togati, Piergiorgio Morosini (Area) e Aldo Morgigni (Autonomia e Indipendenza). Leggendo le motivazioni dell’organo di autogoverno delle toghe ci si accorge che quella sua maschera di ipocrisia più volte riproposta in questi anni è venuta a cadere definitivamente. “I meriti e la notevole esperienza” nella lotta alla mafia del pm del processo sulla trattativa Stato-mafia “non sono stati sottovalutati o ignorati”, si legge nel documento; ciò nonostante, a detta dei consiglieri, i magistrati che gli sono stati preferiti nel concorso alla Pna (Eugenia Pontassuglia, Salvatore Dolce e Marco del Gaudio) avrebbero più titoli di lui.

Per svolgere il ruolo di consigliere alla Dna giocherebbe a sfavore di Nino Di Matteo l’aver svolto “esclusivamente” la funzione di pubblico ministero e mai di giudice. Né tanto meno la sua esperienza di 17 anni alla procura distrettuale antimafia di Palermo può valergli ulteriori meriti: “non gli attribuisce necessariamente, rispetto agli altri candidati, un surplus di significative competenze”. Gli estensori del documento definiscono “del tutto erroneo” il richiamo fatto da Di Matteo nel ricorso alle sue esigenze di sicurezza; esigenze di cui lo stesso Csm si sarebbe “comunque fatto carico tempestivamente, tanto da avviare d’ufficio” una procedura speciale per il suo trasferimento da Palermo. Resta il dubbio che una simile decisione sia addebitabile ad un atteggiamento “pilatesco” o, peggio, ad un modus operandi che richiama alla memoria quel “giuda” citato da Paolo Borsellino all’indomani della strage di Capaci. O forse a tutte e due le ipotesi? Se così fosse la definizione di “giuda” andrebbe estesa a più persone. Che – come minimo – si sono piegate a determinate logiche di potere. La risoluzione del Csm appare quindi per quello che è: del tutto funzionale all’isolamento e alla delegittimazione di un magistrato condannato a morte dal capo di Cosa nostra. Le motivazioni addotte nella scelta di costituirsi in giudizio contro Di Matteo qualificano lo stato di degrado (per usare un eufemismo) della gran parte della magistratura italiana, succube delle sue stesse correnti fuse nell’abbraccio mortale con il sistema politico. Così come hanno evidenziato i legali di Nino Di Matteo (Mario Serio e Giuseppe Naccarato) nel ricorso presentato al Tar del Lazio, il Csm è accusato di aver violato l’articolo 97 della Costituzione sul buon andamento della Pubblica amministrazione e di aver commesso “abuso di potere”, violando una circolare interna. “La principale ragione che ha indotto il ricorrente a insorgere – hanno scritto i due avvocati – è di natura congiunta, morale e professionale. Per via della umiliante pretermissione del valore degli anni di sacrifici, rischi, impegno in cui si è articolata la carriera del ricorrente al servizio della giustizia” ma anche della “sistematica, algebricamente calcolata e calibrata sottovalutazione dell’ineccepibile e solidissimo profilo professionale del ricorrente”. Una menzione particolare merita la replica dei legali del pm Di Matteo relativamente alla proposta di un suo trasferimento in qualsiasi parte d’Italia, per ragioni di sicurezza, giunta soltanto pochi giorni prima del pronunciamento dello stesso Csm in merito al concorso per la Dna, e molti giorni dopo la condanna a morte espressa da Riina e dalle rivelazioni del pentito Vito Galatolo che ha svelato il progetto di attentato nei suoi confronti. “Appare addirittura beffardo – hanno specificato gli avv. Serio e Naccarato – che, dopo lunghi mesi di notorietà delle spietate minacce rivolte dalla mafia, il Csm se ne sia ricordato promuovendo un procedimento ufficioso di trasferimento extra ordinem, esattamente alla vigilia della deliberazione sul concorso, con ciò rivelando platealmente il suo orientamento negativo all’accoglimento della domanda. Si tratta di una, non lusinghiera per chi l’ha effettuata, inammissibile proposta compensativa, la cui incompatibilità con il principio scolpito dall’art. 97 della Costituzione appare in egual misura clamorosa e insostenibile!”. Non si può dimenticare che nel ricorso di Nino Di Matteo sono stati affrontati anche i criteri di giudizio usati. A Di Matteo, arrivato undicesimo nella graduatoria, non è stato di fatto attribuito il punteggio secondo i parametri della circolare, ed è stato così disatteso l’essenziale parere del Consiglio giudiziario di Palermo, il Csm locale, del 18 ottobre 2012. Un parere che lo stesso Csm definisce tranquillamente “non vincolante”. I legali del magistrato hanno quindi evidenziato che le valutazioni dell’organo di autogoverno delle toghe sono “al limite della mortificazione umana e professionale” come la “mancata attribuzione dell’incremento di un punto dato che la circolare del Csm lo prevede ‘nei casi in cui risulti che il magistrato è stato impegnato per periodi di tempo prolungati e continuativi in compiti particolarmente complessi ed impegnativi’”. Nel ricorso di Di Matteo non è stata contestata solo l’ignorata anzianità del pm rispetto ai colleghi, ma anche l’assurda valutazione per cui ai “controinteressati si riconosce una loro profonda conoscenza della criminalità organizzata, di cui sorprendentemente non si fa cenno per il dott. Di Matteo”. Così come riportato dai legali del magistrato palermitano “l’auspicato trasferimento del ricorrente presso la Dna consentirebbe di superare l’attuale stato di pericolo per la vita del ricorrente e dei suoi familiari, come pure riconosce il Csm”. Che però è “incorso in una vera e propria omissione di elementi significativi” che di fatto rendono la stessa delibera del Csm “illegittima”. Una delibera sulla quale il Tar del Lazio si pronuncerà in prima battuta il prossimo 18 giugno per decidere se sospenderla o meno. Quel giorno sapremo se prevarranno i princìpi di uno Stato di diritto.

Fonte:Antimafiaduemila