Elettori impresentabili

di Giorgio Bongiovanni – 3 giugno 2015
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di Giorgio Bongiovanni

La vita di una società civile si basa sul valore della democrazia. Rispetto massimo, dunque, per tutti gli elettori che in Italia sono andati a votare alle Regionali senza una baionetta puntata alla tempia, senza paura di essere diventati finti elettori, com’è accaduto nelle dittature africane o negli ex paesi comunisti e fascisti del secolo scorso. Anche se, ad essere sinceri, solo il 52,2% degli italiani si è infatti presentato alle urne. E ad aver stravinto, in realtà, è stato il partito dell’astensione.

Ma le ultime elezioni sono state accompagnate anche da una serie di polemiche. Nel mirino, questa volta, l’onorevole Rosy Bindi, membro Pd e presidente della Commissione parlamentare antimafia che alla vigilia del voto ha diffuso la lista dei candidati che non potevano presentarsi alle elezioni. Impresentabili anche tra le fila dello stesso Pd, per non parlare di Forza Italia, nata dalla mente di Marcello Dell’Utri, condannato definitivamente per mafia. Un’azione, quella della Bindi, trasversale a tutti i partiti politici, alla quale ha fatto seguito un vero e proprio linciaggio, anche all’interno del suo partito.

Per questo potremmo dire che il Partito democratico di oggi sembra essere diventato la fotocopia, magari imperfetta e un po’ sbiadita, di una corrente della Democrazia cristiana facente capo a Giulio Andreotti, condannato (anche se il reato cadde in prescrizione) per aver avuto contatti con Cosa nostra fino al 1980. Una notoria corrente mafiosa, quella del sette volte Presidente del consiglio, soprattutto in Sicilia, rappresentata da personaggi come l’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino e l’onorevole Salvo Lima, ucciso dalla mafia per non aver rispettato i patti alla vigilia del biennio stragista.

Oggi la copia della Dc di allora ha un segretario di partito, il nostro premier, ben consapevole che anche all’interno della sua corrente politica ci sono personaggi corrotti o corruttibili, anche dalle mafie, (oltre, ovviamente, ad altri esponenti di valore: due su tutti Felice Casson e Giuseppe Lumia). Il premier Renzi, nonostante tutto, deve però sottostare alle regole del gioco e del compromesso, proprio come faceva Andreotti a suo tempo per mantenere al potere quella classe dirigente di stampo democristiano. Oggi il Pd ricalca quella linea politica, sottovaluta (come minimo) il fenomeno mafioso, presenta candidati indagati e condannati (vedi Vincenzo De Luca) disprezza esponenti politici come la Bindi, che ha preso una netta posizione nei confronti del contrasto alla mafia e alla corruzione. Ricordiamo tra tutti, a questo proposito, Pio La Torre, ucciso dalla mafia (e da altri poteri ancora sconosciuti) che incontrò gravissimi ostacoli all’interno del partito comunista in Sicilia, mentre pochi furono ad appoggiarlo, uno su tutti, anche se solo in forma personale, il segretario del Pci Enrico Berlinguer.

Ma oltre ai politici, parrebbe che anche il nostro elettorato sia composto da impresentabili: non possiamo che provare disappunto, infatti, nei confronti di chi, pur conoscendo nomi e curriculum dei politici presentati dalla Commissione antimafia, abbia dato loro comunque il voto. Prendiamo il caso De Luca in Campania, eletto governatore con il 41,15% delle preferenze e già condannato in primo grado per abuso d’ufficio. Ora, con tutta probabilità, dovrà essere sospeso in quanto pende un giudizio a suo carico, nel procedimento per il reato di concussione continuata commesso dal maggio 1998, con “condotta in corso”. Allora perché i cittadini campani, pur esigendo (giustamente) che la regione cambi volto, che non ci siano più terre dei fuochi, morti ammazzati di Camorra, disoccupazione e discariche radioattive, scelgono consapevolmente chi ha la fedina penale sporca? Anche Sandra Mastella, candidata con Forza Italia in Campania nella circoscrizione elettorale di Benevento, ha ricevuto una valanga di preferenze (10.213), non eletta solo per colpa di un meccanismo elettorale. È andata meglio, invece, a Luciano Passariello (5573 voti a Napoli) e Alberico Gambino (10.568 voti a Salerno). Il primo è stato rinviato a giudizio per “impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita”, mentre Gambino ha una condanna per concussione e violenza privata a due anni e dieci mesi. Il suo nome non era nella black list e, contrariamente alle sue aspettative, alle comunali di Enna non ha riportato una vittoria schiacciante, ma anche Mirello Crisafulli (ex senatore Pd, un processo per abuso d’ufficio prescritto e un’indagine archiviata per mafia) ha ricevuto voti in abbondanza, pur non essendo riuscito a risparmiarsi il ballottaggio che deciderà le sue prossime sorti politiche.

La mossa della Bindi (che da alcuni impresentabili, tra cui lo stesso De Luca, è stata addirittura querelata) è stata commentata anche dalla magistratura. Raffaele Cantone, magistrato e presidente dell’Anticorruzione, ha definito la vicenda degli impresentabili “un grave passo falso, un errore istituzionale”. Una stoccata che ci lascia attoniti: perché, se la magistratura più volte ha chiesto trasparenza alla politica, il presidente della Commissione antimafia (la carica più opportuna per prendere provvedimenti in tal senso) viene criticata a più riprese? Lo stesso Paolo Borsellino diceva, poco prima di morire, parlando di “sospetti anche gravi” di contatti tra mafia e politica privi di “certezza giuridica”: “Siccome dalle indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri organi, altri poteri, cioè i politici, le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, i consigli comunali o quello che sia, dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi che non costituivano reato ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica”. E ancora, della necessità di “indurre soprattutto i partiti politici a fare grossa pulizia, non soltanto essere onesti, ma apparire onesti, facendo pulizia al loro interno di tutti coloro che sono raggiunti comunque da episodi o da fatti inquietanti, anche se non costituenti reati”. Ci viene quindi da dire: ben venga la lista dei politici impresentabili, ma anche nella magistratura ci sono componenti politicizzati che ostacolano il lavoro dei colleghi indipendenti (soprattutto coloro che rischiano la vita perché condannati a morte dalla mafia, uno su tutti il pm Nino Di Matteo). A quando, dunque, l’elenco dei magistrati “impresentabili”?

Fonte:Antimafiaduemila