Tiro mancino

di Giorgio Bongiovanni –

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Dopo il ricorso del pm Di Matteo al Tar, ora la costituzione in giudizio del Csm, che di fronte al Tribunale amministrativo difenderà le sue motivazioni sulla bocciatura del magistrato palermitano alla Procura nazionale antimafia. Di Matteo, nel ricorso presentato dai legali Mario Serio e Giuseppe Naccarato, spiega nel merito ciò che lo ha spinto a rispondere al “no” del Consiglio superiore della magistratura, quando è stata rispedita al mittente la nomina alla Pna. Il Tar emetterà il suo verdetto, ma è fuor di dubbio che il Csm, escludendo Di Matteo, sia clamorosamente caduto in contraddizione nelle sue stesse regole sulla nomina dei magistrati, che devono rispondere a diversi requisiti: una lunga carriera nel contrasto alla mafia, l’anzianità, l’esperienza. Titoli che Di Matteo ha dimostrato di avere, ma che nonostante tutto non gli hanno consentito di varcare la porta della Pna, superato da altri candidati che, pur con un ineccepibile profilo professionale, quanto a inchieste su mafia e stragi non hanno la stessa esperienza.

Al di là del tecnicismo, però, il Csm ancora una volta non ha imparato dagli errori commessi nella storia. Uno tra tutti, quello ai danni di Giovanni Falcone, bocciato prima come consigliere istruttore di Palermo, poi come procuratore nazionale antimafia. Come non ricordare le parole di Paolo Borsellino, durante la sua ultima conferenza prima di morire, quando parlò della gravità dell’errore commesso dal Consiglio superiore della magistratura, colpevole di aver isolato Falcone e addirittura di averlo ostacolato nello svolgimento del suo lavoro. Oggi la storia si ripete con Di Matteo, e il Csm, ancora una volta, nella sua maggioranza sembra manifestare scelte autoritarie che esulano dal merito e dalla professionalità dei magistrati, bocciando il pm simbolo del processo trattativa Stato-mafia, palesemente, perchè non iscritto ad alcuna corrente, “reo” di essere nient’altro che un magistrato indipendente. Nel tempo, al contrario, sembra che l’appartenenza a quella o a quell’altra corrente sia l’unico requisito indispensabile per accedere a qualsiasi nomina. Questo è il grave errore che ancora oggi il Csm compie. E per salvarsi in calcio d’angolo fa la sua controproposta: Di Matteo si scelga una qualsiasi procura d’Italia, perchè a Palermo la sua vita corre un rischio troppo alto. Ma proprio il pericolo di un attentato è la conferma, se mai ce ne fosse bisogno, della professionalità di Di Matteo, così temuta dalla mafia e dai “soggetti esterni” favorevoli alla sua morte, come di recente ci ha raccontato il pentito Vito Galatolo. Perchè allora questa ipocrisia? Ci sovviene il dubbio legittimo che mai come oggi siamo di fronte ad un Csm fortemente politicizzato, sottomesso al potere esecutivo e alle correnti politiche, che ne esegue gli ordini: il pm Di Matteo, con il “suo” processo trattativa Stato-mafia, è un “disturbatore”. E il Csm, massima espressione del potere giudiziario, lo boccia.

Fonte:Antimafiaduemila