Renzi se ne farà una ragione. E la sinistra Pd?

 

Di Daniela Preziosi,

«La discus­sione fini­sce qui», aveva sen­ten­ziato Renzi venerdì sera pro­vando a met­tere una pie­tra sul il pastic­ciac­cio ligure. E invece il caso non è chiuso, lo strappo di Cof­fe­rati lo dimo­stra ampia­mente. Anzi, il tono gua­scone e finale del segre­ta­rio ha con­tri­buito a con­vin­cere una per­so­na­lità auto­noma (da euro­par­la­men­tare non ha votato Jun­ker né il suo squat­tri­nato piano) ma disci­pli­nata come l’ex lea­der Cgil che non c’erano più spazi di media­zione con il Pd che ha con­tri­buito a fon­dare otto anni fa. Non è chiusa la vicenda delle irre­go­la­rità ai gazebo liguri — per meno sono state annul­late le pri­ma­rie a Napoli nel 2011 — ma soprat­tutto il Pd ren­ziano non può far finta di niente sulla scelta di un gruppo diri­gente regio­nale, pure vin­ci­tore nei gazebo, di cam­biare la natura dell’alleanza (in Ligu­ria esce la sini­stra ed entra l’Ndc, ma non è il solo caso) senza una discus­sione leale con mili­tanti ed elettori.

Il caso non è chiuso anzi per il Pd si spa­lanca un’enorme que­stione poli­tica pro­prio men­tre Renzi suo­nava il vio­lino della dispo­ni­bi­lità al con­fronto con le mino­ranze sul nome del futuro capo dello stato. E le mino­ranze si dispo­ne­vano, con poche ecce­zioni, al minuetto. Lo strappo di Cof­fe­rati, l’uomo della difesa dell’art.18, mette anche loro di fronte a una scelta.

Non si tratta (solo) di pren­dere atto che qual­cosa a sini­stra del Pd ren­ziano potrebbe nascere, e che la pro­ba­bile vit­to­ria di Ale­xis Tsi­pras alle pre­si­den­ziali gre­che del pros­simo 25 gen­naio, fra una set­ti­mana, sta acce­le­rando e per­sino ren­dendo neces­sa­rio il ’big bang’ che inte­res­serà in qual­che misura il fianco sini­stro del par­tito democratico.

Si tratta, per le mino­ranze Pd, di fare un bilan­cio dell’efficacia reale delle bat­ta­glie spesso ridotte a dichia­ra­zioni di soli­da­rietà come gesti di testi­mo­nianza. Ieri Gianni Cuperlo ha rivolto al segre­ta­rio un appello a suo modo dram­ma­tico: l’uscita di Cof­fe­rati, ha spie­gato, «è una ferita per chiun­que abbia cre­duto con pas­sione alla costru­zione di una grande forza della sini­stra. Lo è in sé, per la sto­ria e la bio­gra­fia di Ser­gio. Lo è dop­pia­mente per le ragioni che la moti­vano. È sba­gliato e offen­sivo liqui­dare la deci­sione di Cof­fe­rati come una rea­zione stiz­zita all’esito delle pri­ma­rie in Ligu­ria». Si può fin­gere, si chiede reto­ri­ca­mente, «che nulla sia acca­duto e vol­tare pagina magari con l’atteggiamento di chi pensa ’tutto som­mato, un pro­blema di meno’?». Ma è una domanda che Cuperlo dovrebbe rivol­gere prima degli altri a se stesso. Ste­fano Fas­sina, già duris­simo in dire­zione lo scorso venerdì, ha chie­sto a Renzi di chia­mare Cof­fe­rati — sem­bra che non l’abbia mai fatto in que­sti con­ci­tati giorni — e dedi­care una dire­zione del Pd alla vicenda ligure. Ma è rea­li­sta sull’esito delle sue richie­ste: «Credo che qual­cuno non sia par­ti­co­lar­mente dispia­ciuto dell’addio di Cof­fe­rati per­ché lo vede come un aiuto per ricol­lo­care il Pd in un’ottica di centrodestra».

Per tutto il giorno all’interno del par­tito si è com­bat­tuta la bat­ta­glia delle oppo­ste dichia­ra­zioni: da una parte ren­ziani che sfot­tono o sfi­dano il fuo­riu­scito a lasciare anche il seg­gio di Stra­sburgo; dall’altra gli acco­rati disar­mati della sini­stra che invo­cano, pre­gano, auspi­cano. Renzi, che pure i bene infor­mati davano per non ostile al can­di­dato ligure nella sfida delle pri­ma­rie, ormai non li ascolterà.

E si capi­sce che non può farlo, se non con un’operazione-verità che cam­bie­rebbe verso alla sua dire­zione del par­tito. Dopo averlo negato in ogni luogo, dai discorsi su Mafia Roma alla stessa Ligu­ria dove gli inda­gati in regione non man­cano, non può ammet­tere che il par­tito che sta per espri­mere il capo dello stato è impe­la­gato, ancora una volta, in vicende (per ora solo) irre­go­lari che minano in pro­fon­dità la cre­di­bi­lità e la costru­zione dei gruppi diri­genti.
Il vice­se­gre­ta­rio Lorenzo Gue­rini, che ha cer­cato fino alla fine di deru­bri­care a que­stione locale gli allarmi rossi che arri­va­vano da Genova, ieri ha chiuso le porte a Cof­fe­rati e a chi vorrà seguirlo: «Men­tre il Pd è chia­mato ad affron­tare sfide nazio­nali come la scelta del capo dello Stato e locali come le ele­zioni regio­nali, biso­gna mostrare il mas­simo attac­ca­mento alla comu­nità: è il momento della respon­sa­bi­lità. La scelta di Cof­fe­rati non va in que­sta dire­zione e rischia di dan­neg­giare il par­tito». L’accusa di irre­spon­sa­bi­lità potrebbe essere ribal­tata sul gruppo diri­gente del Naza­reno che ha scelto di non sapere e non vedere quello che era chiaro almeno dallo scorso dicem­bre, da quando gli espo­nenti della destra hanno comin­ciato a con­durre una cam­pa­gna for­sen­nata a favore della can­di­data Paita, lei consenziente.

Se Renzi, men­tre dirime la deli­cata que­stione della scelta del pros­simo pre­si­dente della repub­blica, voleva sgom­brarsi il campo dagli inter­ro­ga­tivi che gli pone il suo par­tito, la dire­zione in cui lo sta con­du­cendo, che è que­stione morale e poli­tica, ha sba­gliato parole e opere. Ma il suo atteg­gia­mento liqui­da­to­rio, che è una con­ferma del metodo Renzi, deve inter­ro­gare assai di più le varie­gate anime della sini­stra interna. Renzi si farà una ragione di per­dere Cof­fe­rati: è l’uomo della difesa dell’articolo 18, e la sua bio­gra­fia poli­tica comin­ciava a non avere più niente a che vedere con il Pd 2.0 del jobs act. Il punto è se a far­sene una ragione saranno anche gli uomini e le donne delle mino­ranze Pd. E fino a che punto sono dispo­ste a farsi una ragione della tra­sfor­ma­zione — ormai quasi com­piuta — del loro partito.

Fonte:IlManifesto