Processo Mori, la difesa chiede di sentire il capitano “Ultimo”

di Aaron Pettinari
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Sarà la vicenda di Terme Vigliatore, quella della mancata cattura del boss Santapaola nell’aprile del 1993, la prima ad essere approfondita con la riapertura del dibattimento il prossimo 19 gennaio. La Corte d’appello presieduta da Salvatore Di Vitale ha accolto questa mattina le richieste della difesa di Mori ed Obinu, rappresentata dall’avvocato Basilio Milio, annunciando di voler iniziare con l’anno nuovo le udienze.

La mancata cattura del boss catanese
Quella del mancato arresto di Santapaola è una storia che presenta diversi elementi “oscuri”. Il 15 marzo del 1993, all’interno della pescheria di Domenico Orifici, grazie alle intercettazioni ambientali viene registrata la voce di un uomo che in un primo momento non viene identificato. Le registrazioni proseguono e pochi giorni dopo la stessa voce fa riferimento all’omicidio di Carlo Alberto dalla Chiesa. A svelare l’identità di “Zio Filippo” è Orefici che, parlando con il figlio, è diretto: “qua c’era Nitto Santapaola”. Ed ancora una volta la voce del boss catanese viene sentita il giorno successivo. Nella memoria dei pm viene evidenziato come la presenza del latitante venne riferita a Mori, tramite il maresciallo della sezione anticrimine di Messina Giuseppe Scibilia. E l’allora colonnello, che si trovava in quel momento a Roma, replicò che “avrebbe provveduto”. Ed infatti, così come risulta dall’agenda dello stesso Mori, il giorno successivo si recò a Catania. Tutto era pronto per il blitz ma il 6 aprile 1993 avvenne un fatto che fece saltare l’operazione. Il capitano Sergio De Caprio (al secolo “Ultimo”) “mentre si trovava ‘casualmente’ in transito nella zona dove era stato localizzato il giorno prima Santapaola” insieme al capitano Giuseppe De Donno e altri militari del Ros aveva individuato un uomo, scambiato per il latitante Pietro Aglieri. Così ebbe luogo un inseguimento, finito a colpi d’arma da fuoco, dell’incensurato Giacomo Fortunato Imbesi, scambiato per il boss Pietro Aglieri anche se, si legge nel documento di settembre, “non esisteva alcuna somiglianza fisica”. Altra questione riguarda poi l’irruzione armata effettuata nella villa degli Imbesi, collocata a 50 metri dal luogo dove venne individuato il nascondiglio di Santapaola, con l’impiego di militari provenienti anche da altre sedi fuori dalla Sicilia. Un’irruzione che non viene menzionata in alcun atto ufficiale salvo un verbale di perquisizione (che verrà acquisito) che non indica né il nome dei militari e in cui manca la sottoscrizione delle persone che subirono la perquisizione. Unica firma presente quella del carabiniere Pinuccio Calvi con quest’ultimo che, sentito dagli inquirenti, ha dichiarato che la propria firma è stata falsificata. Non solo. Quei militari del Ros che quel giorno risultavano presenti hanno affermato “di non avere partecipato all’irruzione armata e di non sapere chi fossero gli uomini che l’avevano eseguita”. Ovviamente, a seguito dell’irruzione nella villa, “Santapaola non si recò più nel luogo dove era stato intercettato”. Per chiarire tutto ciò a Procura generale aveva già chiesto di senti undici testi tra membri della famiglia Imbesi ed i militari del Ros (Giacomo Fortunato Imbesi, Salvatore Mario Imbesi, Sebastiana Pettineo, Carmelo Concetto Imbesi, Mauro Olivieri, Francesco Randazzo, Giuseppe Mangano, Roberto Longu, Pinuccio Calvi, Antonino Ragusa e Giuseppe Scibilia). L’avvocato Milio ha chiesto di sentire anche lo stesso Ultimo, anche se andrà chiarita la posizione in quanto già indagato per tentato omicidio a Giacomo Fortunato Imbesi (potrebbe essere sentito come testimone assistito), oltre al pentito Giovanni Brusca.

Le richieste di Milio
Per quanto riguarda la vicenda di Mezzojuso il legale di Mori ed Obinu, oltre a chiedere l’esame del colonnello Michele Riccio, ha chiesto anche di citare come teste il colonnello Giovanni Paone in merito alle modalità di gestione del confidente Luigi Ilardo a Bagheria ed in merito al materiale tecnico utilizzato in tutta la vicenda. Un aspetto quest’ultimo che secondo la Procura generale, che si è opposta, apre di fatto un nuovo capitolato e che a questo punto, dopo l’ordinanza odierna della Corte, potrebbe portare alla citazione di ulteriori testimoni proprio in virtù della necessità di chiarire la tipologia delle strumentazioni in possesso degli investigatori in quegli anni in cui la caccia a Provenzano era aperta. Sempre il legale difensore dei due militari imputati si è riservato di produrre ulteriori documenti e di chiedere l’esame di un paio di possibili testimoni che, a suo dire, “possono dare un contributo per chiarire la vicenda della figura di Ilardo”.

Flamia, Servizi e Dap
Per quanto riguarda il collaboratore di giustizia Sergio Flamia l’avvocato Milio ha deciso di non citarlo come teste diretto ma di effettuare domande solo in sede di controesame. Contestualmente ha chiesto di sentire il membro dei servizi Andrea Cavacece, l’uomo che quando era effettivo alla Criminalpol ha messo le manette a Licio Gelli a Cannes l’11 settembre 1998. Il Venerabile venne fermato mentre si trovava a bordo di una Peugeot 106 in compagnia di sua nuora ed il marito di quest’ultima. “Monsieur Gelli, s’il vous pla it, vos papiers” disse un agente di polizia francese. Gelli istintivamente negò di essere la persona ricercata, ed è a quel punto che sarebbe intervenuto dicendo: “Signor Gelli, siamo della polizia italiana, non ci faccia perdere tempo”. E Gelli non poté far altro che ammettere la propria identità.
Ora Cavacece sarà interrogato dall’avvocato Milio per chiarire gli incarichi ricoperti dal colonnello Obinu negli anni della vicenda Flamia. E nel merito il legale ha anche chiesto di interrogare Michele Riccio. Inoltre l’avvocato dei due imputati ha anche chiesto di esaminare direttamente i collaboratori di giustizia Siino, Lo Verso e Malvagna in merito ai rapporti tra Provenzano ed i servizi segreti.
Infine Basilio Milio ha anche richiesto alla Corte di attivarsi verso il Dap per chiedere informazioni in merito agli incontri eventuali tra Flamia ed uomini dei Servizi. “Personalmente avevo già avanzato questa richiesta – ha detto in aula – Una richiesta finalizzata a sapere se appartenenti ai Servizi segreti avessero avuto contatti all’interno delle carceri con Flamia ed eventualmente chi fossero. Il Dap ha risposto in senso negativo anche per la questione di riservatezza dicendo che questo eventuale accesso agli atti è possibile fornirlo solo su specifica autorizzazione dell’autorità competente”. Una risposta che è stata acquisita dalla Corte e a cui si è opposta la Procura generale. “Riteniamo che la richiesta di assumere informazioni al Dap nei termini posti dalla difesa sia errata – ha fatto rilevare il Pg Roberto Scarpinato, presente in aula assieme al sostituto Luigi PatronaggioRicordiamo che la legge del 2007 sui Servizi vieta i colloqui con i detenuti senza autorizzazione. Se fossero avvenuti questi sarebbero avvenuti illegalmente, quindi si dovrebbe chiedere eventualmente al Dap se fosse a conoscenza ed abbia denunciato eventuali attività illegali”. La Corte si è quindi riservata di effettuare eventuali richieste al Dap soltanto dopo l’esame del collaboratore di giustizia di Bagheria.

fonte: antimafiaduemila.com