Foglioinfame

di Giorgio Bongiovanni

Luca Tescaroli è il pm che insieme al collega Francesco Paolo Giordano rappresentò l’accusa (in primo e in secondo grado) nel processo per la strage di Capaci, ottenendo la condanna all’ergastolo per 24 mafiosi. Aprì le indagini sui buchi neri dell’attentatuni a Falcone, che sempre di più facevano pensare alla partecipazione di ambienti di potere esterni a Cosa nostra. Seguì, sempre in primo e in secondo grado, il processo sul fallito attentato all’Addaura (già nell’89, per Cosa nostra, Falcone doveva morire). Processo che si concluse con le condanne dei boss Totò Riina, Salvatore Biondino, Antonino Madonia, Vincenzo e Angelo Galatolo. Ha seguito il processo per l’omicidio del banchiere Roberto Calvi, impiccato il 18 giugno dell’82 a Londra sotto il ponte dei Frati neri, per il quale vennero assolti tutti gli imputati (Pippo Calò, Ernesto Diotallevi, Silvano Vittor e Flavio Carboni). Ma con i processi su Capaci e l’Addaura, Tescaroli ha aperto uno squarcio sulle infamità e i depistaggi del nostro Paese, nonostante fosse entrato in rotta di collisione a Caltanissetta (prima di approdare a Roma) con il procuratore capo Giovanni Tinebra. Proprio quel Tinebra che, quando era direttore del Dap, avrebbe firmato un patto con l’allora direttore del Sisde Mario Mori per ottenere una serie di colloqui top secret con alcuni boss detenuti. E che per questa ragione è stato sentito poche settimane fa dal Copasir nell’ambito dell’indagine sulle operazioni Farfalla e Rientro.

Grazie alle dichiarazioni del pentito Salvatore Cancemi, Tescaroli si occupò delle indagini sui legami tra la mafia, Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri. L’ex padrino di Porta Nuova, deceduto nel 2011, fu il primo a parlare dei contatti diretti tra i due politici di Forza Italia e i vertici di Cosa nostra. Tescaroli, insieme al collega Nino Di Matteo, aprì le indagini sui collegamenti tra Cosa nostra e Dell’Utri, poi effettivamente condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. E nonostante rimane il dubbio che Cancemi fosse a conoscenza di ulteriori elementi, è un dato di fatto che con le sue dichiarazioni ha dato un notevole contributo a decine di indagini. Tra LE più eclatanti, quello per la primissima inchiesta sulla strage di via d’Amelio, quando ancora le deposizioni del falso pentito Vincenzo Scarantino dettavano legge e Cancemi, durante un acceso confronto, contestò la sua attendibilità.
Non ci possiamo meravigliare se giornali come il Foglio attaccano ripetutamente i magistrati che hanno ereditato la professionalità di Falcone e Borsellino, e ne denigrano il lavoro. Ma perché, oggi, puntare su Tescaroli? C’è da dire che il magistrato è tra i pubblici ministeri che si occupano dell’indagine “Mafia capitale”,  dove l’organizzazione criminale capeggiata da Massimo Carminati entrava e usciva come fosse a casa propria. Un groviglio di alleanze e di denaro sporco che punta dritto a politici e imprenditori, direttamente a libro paga della cosca. Un’indagine, questa, che non è altro che la prosecuzione di ciò che Tescaroli, da quando porta la toga, ha sempre combattuto: i sistemi criminali e le sue più diverse e occulte ramificazioni.
L’attacco privo di senso del Foglio contro uno dei pm dell’inchiesta romana è l’evidente impossibilità di appellarsi ad argomenti validi e concreti, quando ormai anche le barzellette non funzionano più e non fanno più ridere. Il problema, ahinoi, è che il nostro Paese è nelle mani di un sistema criminale (dove Roma, anche in questo caso, non è la capitale, ma la provincia di Palermo e Reggio Calabria, non bisogna mai dimenticarlo a scanso di equivoci) pienamente integrato al suo interno. Fino a quando non sarà smascherato e processato, fino a quando i cittadini non prenderanno coscienza e daranno il loro voto a chi veramente vuole cambiare le cose per il bene di tutti, per la giustizia e la verità, la nostra è una storia destinata a ripetersi. E magistrati come Tescaroli continueranno ad essere attaccati dai giornali infami.

Fonte:Antimafiaduemila

Foto © Giorgio Barbagallo