Tra silenzi istituzionali e attacchi mirati Di Matteo pm sempre più solo

di Aaron Pettinari

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”Io non so cosa accadrà: ho solo una speranza nel cuore, la speranza che conserverete sempre questa passione civile”. Nino Di Matteo, il magistrato più scortato d’Italia, si rivolge così agli studenti e ai cittadini delle associazioni giunti ieri mattina davanti al palazzo di giustizia per far sentire la propria vicinanza, dopo l’ennesimo allarme attentato.

Dei duemila palermitani scesi in piazza per manifestargli la propria solidarietà, gran parte sono giovani, pochi i rappresentanti di quella società civile impegnata nell’antimafia: sono presenti il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, il deputato regionale Fabrizio Ferrandelli, “che spiegano di essere presenti soprattutto come cittadini”, qualche rappresentante dei cinque stelle, i familiari delle vittime di mafia (Franca De Mauro e Vincenzo Agostino) e l’imprenditrice antiracket Valeria Grasso. ”Siamo tutti Nino Di Matteo” urlano i cartelli.

Una “boccata d’ossigeno” per il pm che appare sempre più isolato tra silenzi istituzionali e attacchi mirati al pool della trattativa. Perché non sono solo le intimidazioni di Cosa nostra (ma anche delle”entità esterne” citate dal neopentito Vito Galatolo) a minare la tranquillità di Di Matteo. C’e’ anche il cosiddetto ”fuoco amico”: poco tempo fa, il procuratore aggiunto Vittorio Teresi commentava: “Quello che fa più male non è tanto quello che viene dall’informazione, quanto quello che viene dai saggi, dai commentatori esterni, magari ex magistrati perché certe opinioni ci isolano”. E poi ancora, riferendosi alla necessità che venga al più presto nominato un capo della procura di Palermo (assente dal primo agosto, quando Francesco Messineo è andato in pensione) che possa sostenere l’inchiesta sulla trattativa, Teresi parlava di “preoccupazione” per “il clima interno”. “Sarebbe un segnale forte – sosteneva il coordinatore del pool – che ci darebbe più serenità e farebbe diventare più solida la fascia di protezione di cui abbiamo bisogno e che non è solo fisica ma anche professionale”.

Un “identikit” che potrebbe corrispondere alla figura di Guido Lo Forte, candidato fino allo scorso luglio in vantaggio, ma che, in base ai rumors che provengono dal Csm, potrebbe essere sorpassato dal duo in ascesa, Franco Lo Voi e Sergio Lari, candidati più istituzionali, ma soprattutto graditi al Quirinale e all’asse Renzi-Berlusconi, benedetto da Napolitano, che avrebbe in progetto di rivoluzionare entro il 2015 la geografia degli uffici giudiziari del Paese, contenendo le procure più calde, come quella di Palermo e di Milano, che nell’ultimo periodo avrebbero manifestato orientamenti giudicati ”politici”.

Isolamento costante
Secondo l’ex pm Antonio Ingroia, proprio l’ufficio giudiziario di Palermo è lasciato “nell’occhio del ciclone da troppo tempo”. Oltre all’innalzamento del livello di attenzione, il leader di Azione civile sottolinea come “a Di Matteo e alla Procura sarebbe utile una condanna unanime delle minacce e una condivisione del lavoro che la stessa procura sta svolgendo nel difficile e complicato processo sulla trattativa”. Ingroia, invece, rileva che ”troppe istituzioni, anche di fronte a notizie così gravi, restano come sempre in silenzio”. Su tutti pesa più di altri l’assordante silenzio del premier Matteo Renzi che da quando guida il Paese non ha speso una parola di solidarietà al magistrato, neanche dopo le minacce, né sul processo trattativa, salvo un aperto sostegno al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, alla vigilia della testimonianza dello scorso 28 ottobre. ”Tutti le persone perbene devono mostrare affetto al Presidente”. Di Matteo, insomma, è sempre più solo.Il fuoco amico
Tra i corridoi del “palazzo dei veleni”, e al secondo piano dove si rincorrono gli stanzoni della procura, il clima di tensione è alle stelle. A pochi giorni dall’udienza quirinalizia, in una riunione di Dda, si è persino arrivati allo scontro. Secondo quanto riferito dall’Ansa, alcuni pm hanno accusato i colleghi della trattativa di avere spettacolarizzato il coinvolgimento di Napolitano “per amplificare l’attenzione dei media” sul processo. Altre accuse sarebbero state rivolte al pool Stato-mafia per essersi costituiti nel conflitto di attribuzione sollevato da Napolitano con l’obiettivo di determinare la distruzione delle telefonate con l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino. Sarebbero emerse, nel corso di quella riunione,  anche vecchie acredini risalenti ai tempi in cui  Ingroia era ancora magistrato e coordinatore dell’indagine sulla trattativa. Il procuratore facente funzioni, Leonardo Agueci, in più di un’occasione, ha vestito i panni del “pompiere” ribadendo l’unità dell’ufficio e la necessità di restare compatti sia “sul fronte trattativa” che sulle altre inchieste. E se non fosse stato per il suo intervento, e per quello del Presidente della Commissione antimafia Rosy Bindi, al convegno “Lotta alla criminalità organizzata. Il punto a 20 anni dalle Stragi” organizzato dai deputati del Pd, forse, non si sarebbe neppure parlato all’Hotel delle Palme delle minacce a Di Matteo, durante la parata di vip antimafia nella quale nessuno ha sentito il bisogno di spendere una parola sulla trattativa Stato-mafia e sulla strategia della tensione che accompagna l’indagine.Tratto da: loraquotidiano.it