Lettera di morte a Di Matteo

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di Giorgio Bongiovanni

“C’è un progetto di morte nei suoi confronti, ancora valido. L’esplosivo è nascosto in un bidone. I mandanti per lei sono gli stessi di quelli di Borsellino. E sono interessate anche entità esterne a Cosa nostra”. Sono più o meno queste le parole che l’ultimo pentito dell’Acquasanta, secondo gli investigatori ritenuto attendibile, Vito Galatolo, ha riferito al sostituto procuratore Nino Di Matteo. Il collaboratore di giustizia agli inquirenti ha anche parlato di una lettera, indirizzata ai capimandamento di Cosa nostra, alla fine del 2012, in cui il superlatitante Matteo Messina Denaro ordina di preparare l’attentato nei confronti del magistrato palermitano poiché, secondo quanto riferito nella missiva, “Mi hanno detto che si è spinto troppo oltre”. Se l’esistenza della lettera venisse confermata Matteo Messina Denaro, già condannato all’ergastolo per le bombe di Firenze, Roma e Milano del 1993, entra completamente, ancora una volta, nel “gioco grande” dello stragismo.
La domanda è sempre la stessa. Chi ha ordinato a Messina Denaro l’eliminazione del magistrato palermitano? Chi sono i mandanti esterni a cui si riferisce l’ex boss de l’Acquasanta?

Fermo restando che il ruolo di “capo dei capi” di Cosa nostra è ancora nelle mani di Riina, che non a caso l’anno scorso, dal carcere Opera di Milano, durante l’ora d’aria ha emesso la sentenza di condanna a morte nei confronti dello stesso Di Matteo, le indagini più recenti hanno dimostrato come Matteo Messina Denaro sia comunque il punto di riferimento dell’intera organizzazione criminale siciliana. Per quale motivo il boss di Castelvetrano dovrebbe sposare una nuova linea stragista? Due sono le possibilità. O Messina Denaro è un “galoppino-marionetta” di quei mandanti esterni (gli stessi delle stragi del ’92-’93) che vogliono mettere in atto una nuova propaganda di destabilizzazione dello Stato, oppure è semplicemente un “folle sanguinario e delirante” che, con una mafia allo sbaraglio, vuole compiere un ultimo “botto” con conseguenze irreversibili per Cosa nostra che si troverebbe nuovamente al centro del mirino dell’opinione pubblica e che chiederebbe allo Stato un intervento definitivo. Scartando la seconda ipotesi, che potrebbe essere letta come un “suicidio” dell’intera struttura criminale, non resta che la prima.
Coloro che vogliono Di Matteo morto fanno sapere che il magistrato va fermato perché “si è spinto troppo in là”. Un concetto che riporta alla memoria anche la lettera intimidatoria lasciata sulla scrivania del Procuratore generale Roberto Scarpinato in cui si “suggerisce” al magistrato di “rientrare” nei ranghi e non invadere spazi non suoi. Un riferimento chiaro alle investigazioni condotte che hanno portato la Procura generale a richiedere la riapertura del dibattimento al Processo d’appello Mori-Obinu.
Anche Nino Di Matteo sta conducendo importanti indagini assieme agli altri membri del pool trattativa Stato-mafia. Non c’è solo il processo che vede come imputati accanto ai boss anche ex ufficiali dell’arma, quei politici che si erano mossi per salvare la propria vita dalla vendetta di Cosa nostra, e quei politici che si sono mossi per far sorgere un nuovo movimento politico (Forza Italia) per tramite di Marcello Dell’Utri. A fare paura è forse l’inchiesta bis, quella che sta scavando sui servizi segreti, sull’eversione nera legata alle stragi, sulla massoneria deviata e che potrebbe scoprire ulteriori altarini legati a personaggi della politica di ieri e di oggi, sia a livello nazionale che locale siciliano. Personaggi legati all’economia e all’alta finanza che, in qualche modo, potrebbero aver avuto un ruolo nella nascita della seconda Repubblica fondata anche sul sangue di Falcone e Borsellino. Personaggi che non vogliono essere smascherati ora che l’indagine sta salendo di livello.
Di fronte a questa esigenza Matteo Messina Denaro, nonostante la lunga serie di segreti che porta con sé come la verità sulle stragi, i rapporti tra Cosa nostra ed il terrorismo, i rapporti tra Cosa nostra siciliana ed americana, il possesso (così come raccontato da diversi pentiti) dell’archivio di Riina (papello compreso), potrebbe “piegarsi” ai “desiderata”. Il motivo? Proseguire la propria latitanza pluriennale. Le indagini più recenti condotte dalle Procure di Palermo e Trapani hanno messo all’angolo il capomafia di Castelvetrano fino a tal punto che sul piatto, da parte dello Stato-mafia (rappresentato appunto dai poteri forti deviati), venga servita una nuova trattativa. In passato a goderne gli effetti non fu Totò Riina, finito in galera nel gennaio ’93, né i suoi fedelissimi (da Bagarella, ai Graviano che pure recitarono un ruolo rilevante in quegli anni di terrore), ma Bernardo Provenzano che fu artefice della seconda trattativa. Oggi, forse, siamo di fronte ad una “rivisitazione” di quelle strategie. Un’evoluzione del passaggio successivo avvenuto tra il ’93 ed il ’94 e che ebbe proprio in Marcello Dell’Utri il garante per la tenuta dell’accordo trovato. Ora che Dell’Utri è in carcere ed il quadro politico appare differente c’è bisogno di un nuovo “patto di sangue”, come Riina stesso ha più volte ribadito con il suo “bisogna fare la guerra per fare la pace”. Con il rimescolamento delle carte che è stato effettuato in questi anni il gioco, stavolta, potrebbe essere diverso. Il pentimento di un membro della famiglia Galatolo che fa il paio con l’anonimo appartenente alla famiglia di Alcamo che scrisse una lettera a Nino Di Matteo nel marzo del 2013 rappresenta l’imprevisto. “Amici romani di Matteo (Messina Denaro, ndr) hanno deciso di eliminare il pm Nino Di Matteo in questo momento di confusione istituzionale, per fermare questa deriva di ingovernabilità” era scritto nella missiva. E’ il segno, forse, che all’interno di Cosa nostra c’è chi non vuole più essere marionetta per garantire la sopravvivenza dello Stato deviato? Quel che è certo è che in quelle parole sono presenti punti di contatto con quanto detto di recente dal neo pentito Vito Galatolo. L’ex boss dell’Acquasanta ha detto che il progetto di morte nei confronti di Di Matteo è ancora in programma e lo Stato-Stato non può restare a guardare. La sensibilità dimostrata nei giorni scorsi con la convocazione del Comitato di sicurezza nazionale, con la partecipazione dei pm palermitani e nisseni e dei ministri degli Interni e della Giustizia, che ha visto l’impegno all’acquisizione di un bomb jammer per la scorta del giudice, rappresenta un primo passo. La speranza è che si arrivi in tempi brevissimi all’arresto di Matteo Messina Denaro e che si permetta a Di Matteo ed al pool trattativa di scoperchiare quelle verità scottanti che possono liberare definitivamente questo Paese dallo Stato-mafia.