Ebola, la tempesta perfetta

Da quando è tor­nato a infe­stare l’Africa, con dina­mi­che di con­ta­gio e para­bole epi­de­mio­lo­gi­che che non si erano mai viste prima, ne ha fatta di strada il virus dell’Ebola. Dal primo pas­sag­gio del virus, forse dovuto al con­tatto fra un con­ta­dino di uno sper­duto vil­lag­gio della Gui­nea Cona­kry e una volpe volante (o pipi­strello della frutta), tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014.

Da quando è stata final­mente iden­ti­fi­cata, nel marzo 2014, l’epidemia ha mol­ti­pli­cato le sue rotte. Oltre i remoti vil­laggi senza nome, lungo le camio­nali dirette alle bru­li­canti città afri­cane. Fuori dai con­fini sociali della povertà, a lam­bire la classe media del con­ti­nente, anch’essa aero­mo­bile ormai. Gli ultimi dati dell’Organizzazione mon­diale della sanità (Oms) regi­strano 7470 casi in Gui­nea, Libe­ria e Sierra Leone, con 3431 decessi.

Ma l’Ebola è uscita ormai anche dal con­ti­nente afri­cano. È arri­vata negli Stati Uniti, con il «caso zero» di virus del 28 set­tem­bre in Texas – quello di Tho­mas Eric Dun­can, in lotta tra la vita e la morte men­tre scri­viamo – il panico nella comu­nità libe­riana di Dal­las e nove per­sone ad altis­simo rischio di con­ta­gio, secondo le ultime noti­zie. Di qual­che ora fa è anche l’annuncio di un gior­na­li­sta free­lance della Nbc News, Ashoka Mukpo che, infet­tato la scorsa set­ti­mana, è appro­dato lunedì scorso all’ospedale del Nebraska.

E da ultimo, Ebola è arri­vata anche in Europa, con una infer­miera spa­gnola infet­tata dal virus dopo essere entrata in con­tatto con il mis­sio­na­rio Manuel Gar­cia Viejo, infet­tato in Africa, rim­pa­triato e poi dece­duto nell’ospedale La Paz Carlo III di Madrid. Segnerà una svolta nella gestione della pato­lo­gia, quest’approdo oltreoceano?

Geo­po­li­tica della salute

Il fatto che l’epidemia sia fuori con­trollo, come aveva anti­ci­pato qual­che set­ti­mana fa la pre­si­dente di Medici Senza Fron­tiere Joanne Liu, e come ormai rico­no­scono anche nei cor­ri­doi dell’Oms, la dice lunga sui dispo­si­tivi che muo­vono la geo­po­li­tica della salute, nei tempi inter­con­nessi della glo­ba­liz­za­zione. I feno­meni di urba­niz­za­zione e l’espansione delle città, non­ché la mag­giore mobi­lità delle per­sone, creano ogget­ti­va­mente i pre­sup­po­sti di quella che Mark Woo­lhouse, epi­de­mio­logo delle malat­tie infet­tive dell’Università di Edin­burgo ha defi­nito «la tem­pe­sta per­fetta per l’emersione dei virus».

La sepoltura a Freetown  di una vittima del virus
La sepol­tura a Free­town di una vit­tima del virus

Eppure non tutti i virus atti­rano la comu­nità inter­na­zio­nale con lo stesso potere di mobi­li­ta­zione. «In un certo senso si tratta di una morte annun­ciata — com­menta Janis Laz­dins, già respon­sa­bile della ricerca presso la Tro­pi­cal Disease Research Unit (TDR) dell’Organizzazione mon­diale della sanità (Oms) -, per diversi anni si è cer­cato di con­vin­cere l’Oms a pro­muo­vere la ricerca con­tro l’Ebola, magari inse­ren­dola nel paniere di pato­lo­gie cui poteva dedi­carsi Tdr, ma è sem­pre stato rispo­sto che si trat­tava di una malat­tia focale, di foco­lai viru­lenti, capaci di estin­guersi da soli. Oggi è cam­biato tutto. Ma il rischio è che l’Oms abbia un know-how molto limi­tato sulla malat­tia, sicu­ra­mente in ambito di ricerca e svi­luppo di nuovi far­maci per combatterla».

Solo ad ago­sto l’Oms ha rico­no­sciuto Ebola come un’emergenza inter­na­zio­nale, segno che non pro­prio tutti i con­tagi pesano in ugual misura. Di tutt’altro dina­mi­smo fu la rispo­sta che l’Oms seppe sol­le­ci­tare nel 2003 al virus della sin­drome acuta respi­ra­to­ria (Sars). Il virus colpì paesi eco­no­mi­ca­mente forti e ful­minò in poche set­ti­mane pochi busi­ness­men glo­bali appro­dati in Canada dalle aree dell’Asia ripor­tate come foco­lai della malat­tia. A recu­pe­rare la reti­cenza ini­ziale, se non il vero e pro­prio occul­ta­mento della malat­tia da parte dei governi, l’Oms riu­scì ad atti­vare un net­work di rispo­sta glo­bale, costrin­gendo la comu­nità scien­ti­fica inter­na­zio­nale ad uno sforzo di col­la­bo­ra­zione che viene ancora oggi addi­tato a modello, e che in pochi mesi pro­dusse i primi stru­menti medici.

Eppure i motivi di pre­oc­cu­pa­zione per la dif­fu­sione dell’Ebola non man­cano. Le pro­ie­zioni pub­bli­cate a metà set­tem­bre dall’US Cen­tre for Disease Con­trol and Pre­ven­tion (CDC) di Atlanta non lasciano scampo. In Sierra Leone e in Libe­ria sol­tanto, più di 20 mila nuovi casi potreb­bero emer­gere nelle pros­sime set­ti­mane e qual­cosa come 1,4 milioni entro gen­naio 2015 se il con­ta­gio con­ti­nuasse a pro­pa­garsi ai ritmi attuali.

Il virus ha potuto dif­fon­dersi con sor­pren­dente rapi­dità finora per­ché il com­pito di iden­ti­fi­carlo e gestirlo è stato lasciato in buona sostanza ai sistemi sani­tari del tutto ina­de­guati di paesi molto poveri, e asso­lu­ta­mente impre­pa­rati ad affron­tarne la viru­lenza. Gli ospe­dali e i pre­sidi sani­tari erano, e restano ancora oggi, del tutto sguar­niti degli stru­menti fon­da­men­tali per con­te­nere l’infezione: i guanti, l’acqua cor­rente, gli sca­fan­dri pro­tet­tivi. Il per­so­nale sani­ta­rio afri­cano, che già si conta al lumi­cino, ha pagato un prezzo altis­simo in ter­mini di con­ta­gio e di vite. Un tri­ste cata­logo di disfun­zioni poli­ti­che, medi­che e logi­sti­che, peral­tro non nuove. Un elenco fitto di lezioni che Ebola inse­gna alla comu­nità sani­ta­ria glo­bale, foca­liz­zata da troppi anni su poche, spe­ci­fi­che, malat­tie in voga presso la comu­nità dei dona­tori, a disca­pito dell’attenzione rivolta alla salute pri­ma­ria, alle prio­rità che per gli afri­cani con­tano dav­vero. La pre­ven­zione e la pro­mo­zione della salute.

Un operatore dell'Oms mostra a un'infermiera di Freetown come indossare la tuta protettiva
Un ope­ra­tore dell’Oms mostra a un’infermiera di Free­town come indos­sare la tuta protettiva

L’Ebola però parla anche dell’Oms di que­sti anni. Rac­conta le con­se­guenze della sua debo­lezza finan­zia­ria e soprat­tutto poli­tica, un’autentica minac­cia alla salute del pia­neta. In quanto auto­rità pub­blica con il com­pito di diri­gere e coor­di­nare le ope­ra­zioni di salute inter­na­zio­nale, l’Oms dovrebbe essere ade­gua­ta­mente care­nata ad inter­cet­tare e affron­tare tutte le emer­genze sani­ta­rie. A que­sto scopo l’agenzia, pro­prio all’indomani della Sars, si è dotata di health regu­la­tions vin­co­lanti per tutti i suoi 194 mem­bri. Eppure, a par­lare con i fun­zio­nari di Gine­vra in que­ste set­ti­mane, si deve pren­dere atto che l’agenzia sta grat­tando il barile dei pochi fondi di cui dispone e sta facendo i conti con la ridu­zione dra­stica del suo per­so­nale, soprat­tutto quello della vec­chia scuola, che è stato dismesso o ha tra­smi­grato altrove.

Attenti al «filantropo»

Inol­tre l’Oms è stata con­di­zio­nata negli ultimi anni da un nugolo sem­pre più ristretto di paesi dona­tori e di finan­zia­tori pri­vati che hanno lasciato ben poco spa­zio di mano­vra all’agenzia in ter­mini di prio­rità sani­ta­rie. Il filan­tropo Bill Gates la fa da padrone: dal 2013 è il primo ero­ga­tore di fondi dell’Oms, e non era mai avve­nuto nella sto­ria dell’agenzia che un pri­vato supe­rasse il finan­zia­mento dei governi. I quali dal canto loro, per­met­tono che tutto que­sto avvenga, al mas­simo con qual­che mal di pan­cia. Nep­pure i potenti Brics fanno ecce­zione.
Ebola ci costringe dun­que a misu­rare il col­lasso del governo mon­diale della salute. Ora che l’epidemia priva di medi­ci­nali essen­ziali ha inne­scato la com­pe­ti­zione fra case far­ma­ceu­ti­che, aziende bio­tech e cen­tri di ricerca, si tratta di capire se l’Oms possa accom­pa­gnare la corsa al vac­cino che si è sca­te­nata, e con quali pro­cessi di tra­spa­renza, di com­pe­tenza tec­nica, di arruo­la­mento degli esperti. Già con l’influenza avia­ria, l’agenzia è stata fago­ci­tata dal con­flitto di inte­ressi, con gravi effetti reputazionali.

Controlli sanitari alla frontiera  tra Mali e Guinea Conakry
Con­trolli sani­tari alla fron­tiera tra Mali e Gui­nea Conakry

Le ricer­che con­tro il virus dell’Ebola, avviate tra­mite l’uso dei sieri delle per­sone infette come rac­co­man­dato dall’Oms, sono ancora a una fase molto inci­piente, nel senso che nes­suna spe­ri­men­ta­zione è andata oltre il livello ani­male. Inol­tre tutto il discorso della ricerca sem­bra essere sfug­gito, in senso stretto, alle auto­rità dei paesi col­piti, le quali hanno detto in tutte le lin­gue di non essere in grado di valu­tare la qua­lità dei far­maci con­tro Ebola. All’Oms non resta che affi­darsi alla Food and Drug Admi­ni­stra­tion (Fda), sem­pre più coin­volta dato l’attivismo delle aziende bio­tech ame­ri­cane, o all’Euro­pean Medi­ci­nes Agency (Ema).

Lo sce­na­rio pre­senta alcuni pro­blemi. Il primo rischio è che i cri­teri strin­genti e com­pe­ti­tivi di Fda e Ema ral­len­tino la messa in campo di nuovi vac­cini, e pro­du­cano un impatto inde­si­de­rato sul prezzo del pro­dotto finale, come del resto avviene in maniera sem­pre più siste­ma­tica con i vac­cini di ultima gene­ra­zione. Che ruolo saprà o potrà svol­gere l’Oms per nego­ziare il prezzo dei dispo­si­tivi medi­cali così urgenti? Sarebbe una beffa odiosa se, a fronte dell’emergenza, i far­maci essen­ziali non fos­sero acces­si­bili. L’altro pro­blema riguarda il volume di pro­du­zione dei nuovi pro­dotti. Dif­fi­cile capire che cosa abbia fatto finora l’Oms per spin­gere quelli che hanno la tec­no­lo­gia a impe­gnarsi sui grossi volumi di far­maci, nego­ziando un accordo fra inven­tori e pro­dut­tori del vac­cino. Dif­fi­cile capire se abbia la volontà poli­tica, la lea­der­ship neces­sa­ria per eser­ci­tare que­sta media­zione sull’accesso di larga scala. Infine, si chiede Janis Laz­dins, «una volta pronto il vac­cino, chi ne con­trol­lerà l’accessibilità: il paese col­pito, l’azienda pro­dut­trice o il finan­zia­tore del pro­getto di ricerca?».

C’è un ruolo per l’Organizzazione mon­diale della sanità in que­sto sce­na­rio, ci chie­diamo noi?

Fonte:Ilmanifesto.it