Le sanzioni come atto di violenza

di Midnight Rider.
L’8 settembre l’Unione Europea ha approvato ai danni di Mosca un nuovo pacchetto di sanzioni economiche, il terzo da marzo. Le sanzioni sono dettagliatamente illustrate nella Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea del 12 settembre, motivate «in considerazione di azioni della Russia che destabilizzano la situazione in Ucraina».
Le misure restrittive imposte da Bruxelles impediscono alle aziende europee di esportare i loro manufatti verso le più importanti imprese del settore petrolifero e della difesa. Anche le cinque principali banche russe sono colpite dalle sanzioni. Vietata ad esempio l’emissione da parte degli istituti di credito di obbligazioni e strumenti finanziari con scadenza superiore a 30 giorni. Inoltre, 24 persone, tra cui gli esponenti politici della Crimea e di Novorossija, sono state inserite nell’elenco dei soggetti al divieto di viaggio e al congelamento degli asset.
Poche ore dopo la pubblicazione dei provvedimenti, gli USA hanno approvato misure che ricalcano quelle europee nei confronti delle stesse entità interessate dall’embargo di Bruxelles.
Secondo la percezione generale, le sanzioni sarebbero uno strumento “pacifico”, infinitamente preferibile ad azioni di tipo bellico, con il quale esercitare la dovuta pressione per ristabilire la legalità a seguito di un illecito commesso da parte di un cosiddetto “soggetto responsabile”, nel caso specifico la Federazione Russa.
Vediamo quindi a quali illeciti fanno riferimento i tre pacchetti di misure restrittive varati da marzo ad oggi:
– Marzo 2014: il 18 marzo il presidente russo ed il primo ministro della Crimea hanno firmato un accordo che prevede l’annessione della penisola alla Federazione Russa in qualità di stato federato. L’accordo è scaturito sulla base dell’esito del referendum tenutosi la settimana precedente, in cui gli abitanti della regione hanno votato a favore dell’annessione alla Russia. Sia il referendum che il risultato elettorale sono stati dichiarati illegittimi sia da parte del parlamento ucraino, sia dalla UE e dagli USA, secondo i quali le autorità della Crimea non hanno la competenza in questi temi. L’annessione è considerata come un atto di aggressione alla sovranità dell’Ucraina.
Luglio 2014 : il secondo pacchetto di misure restrittive viene varato sull’onda emotiva dell’abbattimento del Boeing malaysiano in cui viaggiavano 298 persone tra passeggeri e membri dell’equipaggio. Prima ancora che una commissione d’inchiesta ufficiale abbia esposto un rapporto informativo sulle cause che hanno provocato tale abbattimento, USA ed UE, coadiuvate da un’ampia campagna mediatica, individuano Mosca quale responsabile della catastrofe. L’accusa sostiene che i ribelli separatisti del Donbass avrebbero erroneamente sparato un missile terra-aria da un sistema Buk-1, che sarebbe stato loro fornito dalla difesa russa, così come le armi che l’esercito di Novorossija ha utilizzato nella guerra civile di questi ultimi mesi.
A parte un filmato sgranato caricato su YouTube in cui si vede un camion che trasporta un missile, non esistono altre prove che dimostrino la responsabilità di Mosca nella tragedia. È stato facilissimo dimostrare l’inattendibilità del video: in un cartellone pubblicitario che si scorge nello sfondo è indicata una città sotto il controllo di Kiev. Il rapporto preliminare uscito nei giorni scorsi indica solo che l’aereo è precipitato per cause esterne, in particolare a causa di una moltitudine di corpi esterni che avrebbero colpito il Boeing. Il risultato definitivo dell’inchiesta è previsto soltanto per metà 2015. Ma i sanzionatori non aspettano né rettificano.
– Settembre 2014: nella serata del 5 Settembre, dopo che gli esponenti politici di Novorossija ed il presidente ucraino Poroshenko hanno siglato un accordo per il cessate il fuoco a Minsk, voci insistenti danno per imminente un’altra tranche di sanzioni. Queste erano state fortemente invocate come strumento di pressione nei confronti della Russia che, secondo un report della NATO, aveva invaso l’Ucraina per mezzo di truppe militari che combattevano al fianco dei separatisti.
Per quanto si possa discutere circa “l’invasione” russa, inizialmente annunciata a causa di un errore di traduzione da parte dell’agenzia Reuters, risulta quantomeno incomprensibile la tempistica con cui l’Unione Europea avvia la discussione tra i suoi membri circa l’adozione di nuove misure restrittive nei confronti della Russia. Infatti durante la conferenza di Minsk, lo stesso premier della Repubblica Popolare di Donetsk, Aleksandr Zakharchenko, ha pubblicamente riconosciuto il ruolo di Putin per l’impegno profuso nel tentativo di trovare un accordo per il cessate il fuoco.
Il presidente ucraino Poroshenko ha dichiarato recentemente che le (fantomatiche) truppe russe stanno abbandonando il territorio ucraino, salvo essere poi smentito dalla NATO.
Nei giorni scorsi sono stati rispettati gli accordi siglati a Minsk con lo scambio di prigionieri tra le parti. In altre parole, al momento tutto sta filando per il verso giusto. Risultano quindi incomprensibili le motivazioni che hanno spinto Bruxelles ad adottare ulteriori misure punitive nei confronti di Mosca. Si minacciano ritorsioni di tipo economico qualora la Russia non contribuisca al raggiungimento di una tregua nel conflitto. Una volta decretato il cessate il fuoco vengono varate le nuove sanzioni.
Alla luce di questi eventi, è particolarmente difficile obiettare alle affermazioni del portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov, secondo il quale l’Europa dimostra di non essere interessata al raggiungimento di una soluzione pacifica del conflitto in Ucraina.
Ed è altresì difficile considerare queste sanzioni come la risposta ad un atto di illegalità, mancando i presupposti per aver commesso quest’ultimo.
Se infatti si potrebbe a lungo dibattere riguardo alla legittimità dell’autodeterminazione dei crimeani, le responsabilità sull’abbattimento del Boeing sono tutt’altro che dimostrate e i progressi nel processo di pace sono stati effettivamente registrati.
Mosca ha dichiarato di ritenere illegali le sanzioni e farà appello al WTO, ma ha confermato di volere rispondere all’embargo di USA-UE – membri effettivi della Società Delle Sanzioni – con misure analoghe.
Al momento non è ancora chiaro quali settori saranno colpiti dalle contro-sanzioni di Mosca. Si parla del comparto dell’automobile e di quello della moda. Nei giorni scorsi Medvedev aveva anche minacciato la chiusura dello spazio aereo russo per i vettori stranieri.
Il Cremlino sta attualmente valutando l’impatto che le contromisure potrebbero avere sull’economia interna.
Si teme il deficit di offerta ed il conseguente innalzamento dei prezzi. Situazione già riscontrata nel settore agro-alimentare dopo l’introduzione dell’embargo russo.
Ad agosto Mosca aveva infatti ratificato una serie di misure volte ad impedire l’importazione di prodotti agro-alimentari provenienti dai paesi che avevano approvato le sanzioni contro Mosca. Il costo totale del mancato export per la sola UE ammonta a circa 12 miliardi di Euro nel corso di un anno. Pochi giorni dopo le restrizioni sono state estese anche all’import di abbigliamento e calzature dedicati alle strutture federali. Per l’Italia la perdita – solo per quanto concerne l’agro-alimentare – è stimata intorno al miliardo di euro in un anno, circa seicento milioni solo per il 2014. Una cifra immensa, tenuto conto del fatto che il dato è riferito al solo export, non tiene cioè in considerazione il fatturato generato dall’indotto e dai servizi accessori, come ad esempio la logistica ed i trasporti.
I fondi stanziati da Bruxelles per aiutare i coltivatori in difficoltà a causa dei mancati introiti derivanti dal mercato russo sono assolutamente insufficienti e coprono soltanto una limitatissima parte della richiesta.
Ne deriva quindi che “lo strumento di pressione” presentato come efficace ed indolore, in realtà qualche piccolo fastidio lo provoca, e non solo a Mosca, anzi.
In primo luogo, come abbiamo già visto, c’è un danno a livello economico per i coltivatori europei. È però importante sottolineare che non si tratta soltanto della perdita del fatturato, dei mancati introiti in sé e per sé. L’embargo voluto da Mosca è stato inizialmente fissato per la durata di un anno.
Durante questo periodo gli importatori russi del settore agro-alimentare dovranno inevitabilmente sostituire gli attuali fornitori europei con altri esportatori. Nel caso specifico delle pesche italiane bloccate in agosto alla frontiera e successivamente rispedite in Italia, una buona fetta del mercato è stata assorbita dai coltivatori turchi.
Ma non è affatto certo, anzi, che ad agosto del 2015 i produttori italiani di frutta e verdura potranno tornare a ricoprire le posizioni perse nei precedenti dodici mesi.
Se la concorrenza straniera avrà lavorato bene offrendo prezzi di acquisto interessanti, difficilmente l’importatore cambierà nuovamente fornitore.
L’effetto teorico dell’embargo dura quindi un anno, ma il danno economico conseguente può rivelarsi permanente. Anche per altri motivi. In primis, le aziende agricole, come tutte le imprese, ricorrono ai prestiti bancari. Si tratta di fidi concessi sulla base di futuri fatturati, in questo caso derivanti dal mercato russo. Solo che quest’anno questi fatturati non ci saranno, o saranno, nella migliore delle ipotesi, dimezzati.
I mancati incassi, a fronte di ingenti spese già sostenute, si traducono spesso in due situazioni: insolvenza presso i fornitori per mancanza di liquidità (i quali a loro volta si troveranno in difficoltà per i mancati pagamenti) e licenziamenti del personale in surplus.
Si potrebbe obiettare che i coltivatori europei potrebbero trovare mercati alternativi, pronti ad accogliere parte dell’offerta inizialmente destinata alla Russia. Come no. In primo luogo, si parla di beni deperibili che non possono restare fermi per più di qualche giorno. In secondo luogo, provate a domandare ai produttori polacchi che cosa ha risposto il governo americano alle lororichieste di assorbire i prodotti destinati al mercato russo ed ora rimasti senza acquirenti e fondamentalmente senza mercato.
Si può ben dire che Putin abbia agito secondo il detto russo “Colpirò forte ma in maniera accurata” (“Бить буду сильно, но аккуратно”). Non a caso è stato scelto per primo il settore agro-alimentare, uno dei pochi che mostrava segni di ripresa all’interno dell’euro-zona.
Come già anticipato, non sono ancora note le nuove contro-misure che saranno adottate da Mosca, ma possiamo essere sicuri che si riveleranno non meno dolorose di quelle già approvate ad agosto.
Vediamo quindi che le sanzioni, perlomeno quelle volute dalla Società Delle Sanzioni, producono delle conseguenze devastanti a livello economico per i cittadini e si riversano poi sull’intera società italiana ed europea. Il miliardo di euro di mancati fatturati nel nostro paese produrrà una considerevole perdita per l’agenzia delle entrate. Tutto ciò ha conseguenze sulle risorse necessarie per l’erogazione di servizi quali l’assistenza medica, l’istruzione, gli investimenti per la realizzazione di nuove infrastrutture.
A queste perdite vanno aggiunti i mancati introiti delle aziende europee che forniscono apparecchiature militari e le tecnologie per l’estrazione del petrolio (perdite per cui pochi, al di fuori degli addetti ai lavori, proveranno profonda compassione).
Un altro aspetto non meno importante di quello economico è rappresentato dal fatto che tali misure punitive sanciscono sostanzialmente la fine di rapporti che sono sì commerciali ma sono anche rapporti di natura umana, preziose relazioni sociali.
Il commercio, anche nel 2014, viene promosso da persone che viaggiano, si spostano per il mondo contaminandosi con culture e modi di pensare diversi. Impollinano costantemente l’ambiente che li circonda con le proprie esperienze, i contatti, le emozioni, i ricordi, persino i manufatti che riportano a casa in qualità di souvenir. Questo tipo di relazioni permette a culture lontane e apparentemente estranee l’una all’altra di ritrovarsi in un luogo che è necessariamente a metà strada, perché la base di ogni relazione economica è sempre la mediazione, l’incontro, la negoziazione, il compromesso.
Tradizioni millenarie sono segnate da questo tipo di rapporti. Basti pensare alla figura di Marco Polo, mercante veneziano che è stato fondamentale per far conoscere all’Europa la Cina e l’Asia centrale per mezzo dei suoi resoconti registrati nel Milione. Questi rapporti costituiscono le fondamenta per la costruzione di imprese, aziende che strutturano il nostro tessuto industriale dando lavoro a centinaia di migliaia di persone.
Pensate a un’importante azienda del settore della moda, con sede nel trevigiano, che possiede un centinaio di negozi in Russia.
Quante sono le persone che lavorano per queste attività commerciali, quante figure professionali servono per pianificare e gestire il flusso di merci dai siti di produzione al confezionamento, curare la spedizione, l’assicurazione del carico, lo sdoganamento, organizzare la consegna, la ricezione, lo smistamento e la disposizione definitiva della merce?
Quanti rapporti interpersonali genera questo tipo di scambio commerciale? Quante persone vengono in Italia o si spostano lungo la Russia per adempiere ai propri compiti di tipo professionale?
Inevitabilmente questo tipo di attività e di spostamenti favorisce la creazione di rapporti personali, facilita la conoscenza dell’altro come uomo e come donna, non solo come entità lavorativa.
Tutto questo viene annullato dalle sanzioni. Cancellato. Proibito.
I rapporti culturali vengono rescissi assieme ai contratti. Ma la vera ricchezza sta nei primi. Siamo di fatto obbligati a ritornare indietro di oltre trent’anni, quando la cortina di ferro divideva due mondi che diffidavano l’uno dell’altro poiché non si conoscevano.
Abbiamo quindi visto che le misure volute dalla Società Delle Sanzioni non uccidono. Eppure soffocano lo sviluppo economico, perché pregiudicano l’esistenza di numerosissime attività commerciali e compromettono in tal modo la qualità ed il livello di vita di milioni di cittadini europei, costretti loro malgrado a subire quel che di fatto è un atto di violenza, ossia “un’azione compiuta mediante l’abuso della forza da una o più persone che operano con lo scopo di costringere altri ad agire o a piegarsi contro la propria volontà”.
Non si tratta di un’esagerazione. Nessuna delle aziende penalizzate da queste misure ha scelto liberamente di rimetterci dei soldi. Al momento l’opinione pubblica, coltivatori a parte, sembra sostanzialmente distratta al riguardo. Sarà interessante riaggiornarsi tra qualche mese e calcolare quali effetti devastanti avranno prodotto queste sanzioni.
Quale sarà allora la cura all’ennesima malattia dell’economia europea? Un ulteriore inasprimento delle politiche di rigore fiscale tanto care alla Merkel?
Cureremo quindi la denutrizione con il digiuno totale?
Un ultimo aspetto, non meno vergognoso ed inquietante dei precedenti, derivante da queste misure che ormai possiamo tranquillamente denominare atti di violenza (nei confronti di milioni di cittadini europei), è di tipo politico.
Il primo nome presente nella lista delle persone fisiche colpite dall’embargo di Bruxelles è quello di Aleksandr Zakharchenko, il premier della Repubblica Popolare di Donetsk. Essendo un tipo sempre spiritoso, Zakharchenko ha dichiarato in proposito: «non ho conti in quei paesi e le ferie le posso fare anche qua». Per ovvi motivi di opportunità (leggi gli imprenditori che esportano in Russia e che adesso temono cali vertiginosi per il loro business, già massacrato da anni di crisi, politiche industriali inesistenti e management dilettantesco), l’unico giornale ad aver notato l’anomalia è stato Il Sole 24 Ore.
Il quotidiano di Confindustria ha infatti rilevato il paradosso per cui il primo nome in calce all’accordo di pace siglato a Minsk sia lo stesso che compare nella lista dei sanzionati UE. Risultano in questo caso condivisibili le accuse di Putin, secondo cui l’inclusione nella lista delle persone fisiche colpite dalle sanzioni europee rappresenta un tentativo di sabotaggio del delicatissimo processo di pace in corso.
La Società delle Sanzioni colpisce i rappresentanti politici di Novorossija e della Crimea, che vengono quindi dichiarate entità politiche illegittime. Prima ancora che sia l’Ucraina stessa a decidere, l’autoproclamata Comunità Internazionale – appunto la Società delle Sanzioni – li condanna come stati canaglia. Che tipo di conseguenze può avere questo atteggiamento sull’attuale processo di pace, quando un soggetto che dovrebbe essere “terzo” condanna aprioristicamente una delle parti coinvolte prima nel conflitto e successivamente nell’attuale delicatissimo processo di pace?
Difficile immaginare risvolti positivi derivanti da queste posizioni.
Abbiamo sin qui osservato la situazione europea. Ma proviamo a dare un’occhiata a cosa succede in Russia.
Le sanzioni sicuramente creeranno grossi problemi all’economia, che dipende fortemente dall’export di gas e di petrolio. Come già accennato sopra, l’embargo di mosca sui prodotti ortofrutticoli ha causato l’aumento dei prezzi in conseguenza del calo dell’offerta. Anche le banche stanno vivendo un momento negativo date le crescenti difficoltà a rifinanziarsi sui mercati globali.
Russia e Cina hanno recentemente sottoscritto nuovi accordi commerciali che verranno regolati sulla base delle valute locali, ossia il rublo e lo yuan, con l’effetto di scavalcare il dollaro. Nuovi progetti per la costruzione di importanti infrastrutture nel territorio russo saranno finanziati da Pechino.
Diversi analisti sostengono che il vero obiettivo delle sanzioni sia quello di indebolire internamente la leadership di Putin favorendo in tal modo l’ascesa al Cremlino di un presidente più malleabile da parte dell’occidente (Medvedev?).
Come spesso accade, le misure volute dagli abilissimi strateghi di Washington (cui docilmente obbediscono i tirapiedi di Bruxelles) hanno sortito l’effetto opposto.
Se Putin riuscirà a mantenere alto l’indice di gradimento ancora per un po’ di tempo, questo gli permetterà di introdurre misure protezionistiche per il mercato interno che in altri tempi gli avrebbero procurato critiche pesantissime e le accuse di volere far tornare il paese ai tempi dell’Unione Sovietica, quando la merce di importazione era reperibile solo tramite contrabbando.
Questa è forse la vera scommessa. Salvo poche eccellenze, l’industria manifatturiera russa è poco concorrenziale a causa di tecnologie obsolete, logistica scarsa, produttività più bassa, cui va aggiunto un livello diffuso di corruzione che penalizza inevitabilmente l’acquirente.
Ogni giorno Putin segnala all’opinione pubblica le scorrettezze, i nervosismi e le contraddizioni da parte dell’Occidente (quello di Ezio Mauro). A giudicare dai commenti sui social media russi, una parte della popolazione è adesso disposta a rinunciare a quei beni di importazione che fino a pochi mesi fa erano un tratto distintivo per il ceto medio.
Questa situazione potrebbe fornire lo stimolo per ampliare, strutturare e modernizzare l’industria manifatturiera interna.
Non è una minaccia sul breve e medio periodo, ma se la spirale negativa delle sanzioni dovesse peggiorare, il rischio concreto è che sarà l’Europa a restare con il proverbiale cerino in mano. Senza gas da accendere, però.