“Colpire i rapporti opachi e garantire l'indipendenza della magistratura”

di Aaron Pettinari – 8 agosto 2014

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Ancora il lavoro all’interno del nuovo Csm non è iniziato ma Piergiorgio Morosini, il giudice che ha rinviato a giudizio gli imputati del processo sulla trattativa stato-mafia, ha le idee chiare su quelle che sono le priorità che il nuovo Consiglio dovrà affrontare, a cominciare dal tema della riforma della giustizia di cui tanto si sta parlando in questa calda estate. Un dialogo che dovrebbe prodursi già ora ma che non viene reso possibile dalla mancata nomina, da parte del Parlamento, degli otto laici che dovranno affiancare i sedici togati già indicati dai magistrati.

Dottor Morosini, quali sono i rischi che possono nascondersi dietro a questa situazione di impasse?
Il rapporto che il Consiglio superiore della magistratura deve avere all’interno  del circuito istituzionale con le altre istituzioni riveste una notevole importanza soprattutto in riferimento a progetti di riforma della giustizia. E’ chiaro che un Csm già scaduto e in regime di ‘prorogatio’ può essere maggiormente refrattario ad esprimere pareri su disegni di legge o a partecipare alla discussione per l’elaborazione dei progetti di riforma. Si tratta di un Csm che ha già esaurito il suo mandato e che resta attivo esclusivamente per chiudere determinate vicende solo perché non c’è stata la nomina dei membri laici. In questa condizione l’attuale consiglio difficilmente esprimerà un parere anche se la discussione si sta facendo delicata.

In questo periodo uno dei temi maggiormente affrontati è quello della responsabilità civile dei magistrati.
Diciamo che resta abbastanza sorprendente come il percorso di “grande riforma della giustizia” nell’estate 2014 parta dalla responsabilità civile dei magistrati. In realtà abbiamo ben altri tipi di problematiche, ben più gravi ed urgenti da affrontare. Per esempio penso alla ragionevolezza dei tempi processuali oppure agli enormi problemi di incidenza della prescrizione su buona parte del lavoro giudiziario. Di fronte a temi così grandi cominciare dalla responsabilità civile dei magistrati è qualcosa che obiettivamente lascia un po’ interdetti. Detto questo è chiaro che si tratta di un tema che si può affrontare benché le prime indicazioni di questi giorni destino qualche perplessità. Ad esempio non è più previsto un filtro per l’azione di responsabilità nei confronti dello Stato e derivante dal cattivo uso del potere giudiziario. Eliminare il filtro rispetto alle domande di risarcimento danni potrebbe portare ad un intasamento ulteriore della giustizia, con migliaia di ricorsi meramente strumentali, magari frutto di reazione emotiva della parte che si è vista dare torto in un grado del giudizio. Per non parlare poi del rischio di incidere su un terreno scivoloso come la libertà di interpretazione delle norme. Si tratta di argomenti piuttosto delicati e questa fretta nell’affrontare una materia tanto complessa non può essere vista in maniera favorevole. Anche se si tratta di un embrione di riforma e come tale tutto da verificare.

Prescrizione, lentezza dei tempi processuali. Quali sarebbero altri aspetti urgenti da cui cominciare?
“Sul secondo punto credo che vi sia il dovere di incidere sul sistema delle risorse. C’è un dato che viene spesso trascurato quando si parla di processi lenti. La pianta organica dei magistrati italiani ordinari dovrebbe essere composta più o meno da novemila unità. La realtà è che in questi anni la pianta è stata sottodimensionata di oltre mille unità e questo nell’economia della giurisdizione del nostro Paese è una carenza molto forte. Di questo aspetto non si parla per niente in questi giorni.
Si parla piuttosto di estensione della responsabilità civile dei magistrati ai casi di violazione manifesta del diritto ma non si spende una parola sulla qualità del nostro sistema normativo”.

Come inciderebbe quest’ultimo aspetto?
“Posso fare un esempio. Noi abbiamo un sistema normativo dove talvolta il giudice deve scovare la norma decisiva per un processo magari in una legge finanziaria del 2007 che prevede articoli con  100 commi. E può verificarsi che il comma fondamentale per la decisione della causa non venga citato da alcuna delle parti. Ecco il giudice dovrebbe comunque conoscere la “norma chiave” all’interno di una palude enorme di norme. L’errore in questi casi non potrà certo definirsi inescusabile come richiede il principio della responsabilità professionale del magistrato. Inoltre, abbiamo dei codici che sono superati e spesso riformati con soluzioni che rendono ancora più lunghi i tempi. Questo dato mi preoccupa. Non si può ragionare della responsabilità civile senza tenere conto della qualità e quantità delle risorse a disposizione del giudice e della farraginosità delle norme con cui è chiamato a misurarsi. Oggi siamo in presenza di una proliferazione di leggi, spesso contraddittorie, che aumenta fisiologicamente il margine di errore di un magistrato quando deve decidere. E poi dobbiamo aggiungere anche il problema degli strumenti in mano ai magistrati. Spesso determinate decisioni sono condizionate anche dal carico di lavoro che il magistrato deve gestire e che può essere nettamente superiore alla fisiologia. Ecco, io credo che il prossimo Csm debba affrontare questi temi in maniera forte con nuove soluzioni. E per fare questo occorre un’interlocuzione serrata tra operatori della giustizia, magistrati e avvocati, nonché un atteggiamento della politica che segni una discontinuità con il passato, senza prove muscolari”.

Tra i progetti della riforma della giustizia c’è anche quella del Csm.
Partendo sempre dal presupposto che non siamo ancora nella fase del disegno di legge ma del dialogo su un prossimo disegno di legge credo comunque che anche su questo tema il Consiglio superiore della magistratura debba avere un’interlocuzione con gli altri organi istituzionali quantomeno per sottolineare i rischi di una modifica degli assetti e degli equilibri dell’attuale Csm nel rapporto tra laici e togati. Una modifica di questo attuale equilibrio, previsto dalla Costituzione, può tradursi in un’eliminazione o in un forte ridimensionamento dell’autonomia e dell’indipendenza dei magistrati. Se io nell’organo di autogoverno potenzio la componente laica e depotenzio la togata, dando una maggiore rappresentanza ai laici nominati dal parlamento, è ovvio che vado incontro a questo rischio perché di fatto chi controllerebbe i magistrati sarebbe una maggioranza di uomini indicati dal Parlamento. Di fronte ad uno scenario di questo tipo mi chiedo il futuro che potrebbero avere tanti processi che riguardano esponenti del mondo politico e finanziario. Cerco di immaginare come certe situazioni potrebbero essere trattate da un Csm a maggioranza di membri indicati dal Parlamento. Attualmente ci sono molti fronti aperti che riguardano il controllo di legalità dei poteri forti (caso Scajola, caso Galan, lo stesso processo Trattativa Stato-mafia ndr) e di fronte all’importanza di certe inchieste credo che un organo di autogoverno della magistratura debba essere credibile, ed anche questo sarà un impegno che dovrà portare avanti il prossimo Csm, garantendo l’autonomia e l’indipendenza dei magistrati.

Quali sono le priorità che il futuro Csm dovrà affrontare a suo modo di vedere?
Noi come Area abbiamo portato avanti un certo programma nella nostra campagna elettorale individuando una serie di aspetti chiave e che riguardano proprio la difesa della giurisdizione e l’utilità dei contributi che arrivano dalla giurisdizione. Noi ci rendiamo conto che attualmente la maggior parte del nostro lavoro di magistrati finisce al macero. Magari perché arriva un termine di prescrizione che a un certo punto fulmina tutta l’attività fatta precedentemente. E questo aspetto dipende moltissimo dalla normativa vigente ma anche da questioni organizzative degli uffici, da un’inefficienza organizzativa che si riscontra in varie realtà e che incide pesantemente sui diritti cittadini e vorremmo portare avanti una linea che tutela l’utilità del servizio che quotidianamente rendiamo. Dopodiché c’è una battaglia molto grande da fare sulle condotte interne della magistratura. Per esempio ci siamo resti conto che lo strumento disciplinare è assolutamente rigoroso e forte nei confronti dei magistrati che depositano in ritardo i provvedimenti, benché producano tantissimo, e sostanzialmente diventa una tigre di carta nei confronti dei magistrati che hanno avuto condotte opache, di intese con ambienti esterni alla magistratura, con rapporti impropri con la politica o con il mondo dell’economia. Su questi temi c’è molto da lavorare.

Nei giorni scorsi è uscito il rapporto semestrale della Dia dove in riferimento a Cosa nostra si parla di “segnali che sembrano propendere verso derive di scontro ancora da decifrare”. Cosa pensa in merito?
Non c’è dubbio che questi dati debbano essere esaminati con grande attenzione. Partiamo da un presupposto. Le cronache giudiziarie hanno dimostrato come rispetto al passato la forza di Cosa nostra si sia affievolita mentre sono in fortissima crescita le attività illecite di gruppi criminali come la ‘Ndrangheta e la Camorra su tutto il territorio nazionale. Il rischio potrebbe essere proprio quello di una prova di forza di Cosa Nostra per evitare una crisi  profonda. Quel che è certo è che vi è una stagione di riassestamento in Cosa nostra. La storia insegna che queste fasi possono portare a gravi fatti di sangue con obiettivi più disparati che possono coinvolgere persone esterne alla galassia mafiosa, compresi uomini delle istituzioni. Io credo che questo sia il tempo, da parte della magistratura, di dar fondo a tutte le proprie forze per aggiornare le chiavi di lettura del fenomeno mafioso e approfondire quelli che sono i nuovi rapporti di forza all’interno dell’organizzazione stessa, sul territorio siciliano, ma anche rispetto alle altre organizzazioni storiche criminali. Non solo. Va approfondito il tema delle complicità con il mondo dell’economia sia a livello nazionale che internazionale, quindi i rapporti con le istituzioni perché sono queste le risorse che permettono a Cosa nostra di mantenere da 150 anni la propria forza nel territorio. Una sorta di chek-up che ci consenta di comprendere il tipo di coperture e collaborazioni che Cosa nostra possa mettere in campo anche per compiere azioni di un certo tipo finanche un attentato.

Fonte:Antimafiaduemila