La mafia più potente del mondo

di Giorgio Bongiovanni

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Nuovo sequestro al porto di Gioia Tauro di 85 kg di cocaina purissima, intercettata dalla Guardia di Finanza di Reggio Calabria, per l’equivalente guadagno di 17 milioni di euro. Dall’inizio dell’anno, in Calabria sono 945 i kg di droga sui quali lo Stato è riuscito a mettere le mani. Ma questi dati rappresentano solo la punta di un iceberg.
Giuseppe Lombardo, pubblico ministero di Reggio Calabria, insieme al procuratore Cafiero de Raho e all’aggiunto Nicola Gratteri ci hanno descritto la devastante potenza della ‘Ndrangheta, che monopolizza il traffico di cocaina. Le famiglie calabresi sono prime in Occidente, e in Oriente seconde solo alla mafia turca, russa, thailandese, alla Yakuza giapponese e alle Triadi cinesi. Dall’Europa fino all’ultimo avamposto in Sud America è la ‘Ndrangheta a dettare legge: fa conto sul sostegno di locali e uomini fidatissimi affiliati all’organizzazione in tutto il mondo, fino all’Australia. Trafficano in droga con colombiani, messicani, equadoregni, boliviani, la loro parola è sinonimo di garanzia.

Un giro d’affari di 100 miliardi di euro l’anno (a fronte dei totali 150 fatturati dalle mafie italiane) con il quale la ‘Ndrangheta si conferma come la prima tra le organizzazioni criminali dello stivale. Definita dal pm Lombardo – intervistato da Antimafia Duemila per il nuovo numero cartaceo – il “fratello timido” di Cosa nostra, notoriamente più spavalda, la ‘Ndrangheta con astuzia è sempre rimasta all’ombra della Cupola siciliana, la quale negli anni ’80 e ’90 poteva contare sulle alleanze giuste e offrire il suo sostegno alle locali calabresi. Oggi però questo rapporto di forza e protezione si è rovesciato. Dopo le stragi del ’92 e ’93 la forza militare di Cosa nostra è stata indebolita dall’attacco frontale dello Stato, nonostante da oltre vent’anni Matteo Messina Denaro trascorra indisturbato la latitanza nella sua Castelvetrano, è un dato di fatto che la mafia siciliana non sia più quella di una volta. Ne ha preso il posto la ‘Ndrangheta, che ha sviluppato una potenza economica tale da raggiungere (e forse superare) quella che contraddistingueva Cosa nostra negli anni ’80 e ’90, quando deteneva il monopolio del traffico dell’eroina e della cocaina e i boss calabresi investivano una minima percentuale di denaro. Vent’anni dopo i ruoli si invertono. E il porto di Gioia Tauro, controllato palmo a palmo dalle famiglie calabresi, ricorda quello di New York negli anni ’30 e ’40, quando Lucky Luciano ne sorvegliava ogni centimetro quadrato e Cosa nostra americana neutralizzò, di concerto con i servizi segreti, i sommergibili tedeschi u-boot.

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Oggi sono le famiglie calabresi, oltre a quelle di Cosa nostra, a poter ipoteticamente raccogliere l’appello che Totò Riina ha lanciato dal carcere parlando di organizzare un attentato mortale contro il pm Nino Di Matteo. Perché il processo sulla trattativa Mafia-Stato, di cui Di Matteo è il titolare insieme ai magistrati Tartaglia, Del Bene e Teresi, potrebbe scoperchiare il coinvolgimento di uomini delle istituzioni, nuocendo alle attività che la ‘Ndrangheta sta portando avanti con alleanze vecchie e nuove ereditate dai boss di Cosa nostra.

L’impressione evidenziata dal procuratore de Raho, ed avallata da diversi indizi probatori, è che le ingenti quantità di droga sequestrate siano solo il contentino che la ‘Ndrangheta regala allo Stato, a fronte delle tonnellate che riesce impunemente ad immettere sul mercato ed a smistare, partendo dal Sud e Centro America, in tutta Europa e negli Stati Uniti. La droga che da Gioia Tauro raggiunge il continente europeo produce centinaia di miliardi di euro, sistematicamente riciclati nei paesi off-shore del mondo e investiti ben più a nord della Calabria, terra bruciata dal sole che resta nell’assoluta povertà e miseria. La ‘Ndrangheta si è fatta banca, ne è convinto il pm Lombardo, ed è parte di un livello di molto superiore a quello rappresentato dalle sole famiglie Tegano, Condello, De Stefano, che a Reggio Calabria fanno il bello e il cattivo tempo, in molti casi anche dal carcere. I contatti di cui possono vantare devono rimanere occulti. Per questo, nel momento in cui la magistratura sembra essere più vicina a smascherarli, nuove minacce colpiscono i giudici che nelle aule giudiziarie combattono in prima linea. Non sono più i mandanti esterni il nemico da combattere – in realtà non ci sono mai stati – ma quel livello superiore interno al sistema criminale nel quale anche la ‘Ndrangheta, insieme a Cosa nostra e alle altre mafie, siede al tavolo.

Foto a destra: il pm Giuseppe Lombardo (© Federico Bitti)

Fonte:Antimafiaduemila