Marcello Dell'Utri, da mafioso a mariuolo di passo

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di Saverio Lodato
Da mafioso di rango, che in quanto tale per anni e anni poté scorazzare nei talk show più à la page, a mariuolo di passo, a furfantello da strapazzo: si è completata così, con un piccolo capovolgimento di clessidra, la volgare parabola di uno dei due cofondatori di Forza Italia, quello che Vittorio Mangano per lui era un “eroe”, quello che da autentico bibliofilo saccheggiava le biblioteche pubbliche, quello che pubblicò i finti diari veri di Mussolini, quello che giurava di avere visto il capitolo segreto del libro “Petrolio” di Pasolini, quello che è stato per anni un Senatore della Repubblica Italiana, quello che andava a Londra per incontrare i mafiosi ma, diceva lui, ci andava per visitare la mostra sui Vichinghi, quello che trapiantò Cosa Nostra in Lombardia mentre il ministro degli interni Maroni con la vista appannata dall’elmo del “barbaro sognante” non se ne accorgeva, quello che con i suoi “cavalli” che voleva fare arrivare in albergo dava un sacco di pensieri al povero Paolo Borsellino, eccetera, eccetera, eccetera.

Diciamo le cose come stanno: Marcello Dell’Utri, ché e di lui che stiamo parlando, è sempre stato un imbroglione. Imbroglione nel senso tecnico: di colui che ha sempre vissuto imbrogliando le carte, dando a intendere cose non vere, ingannando gli altri per trarne personale vantaggio.
Ora che il cerchio – apparentemente – si è stretto, con questa sentenza definitiva della Cassazione che lo condanna a sette anni per concorso esterno in mafia , ma ritardata quel pizzico che gli serviva per trasferirsi in Libano, il mariuolo si è fatto malato immaginario, non rinunciando all’auto qualifica di prigioniero politico, di vittima di sentenza ingiusta, sentenza deviata, aberrante, persecutoria, ché infatti ricorrerà a Strasburgo, come fanno sapere i suoi spettacolari avvocati che ogni tanto, anche loro, son costretti ad ammalarsi per via di immaginazione psicosomatica. Continua, cioè, a imbrogliare le carte, a dare a intendere per vere cose fasulle, perché in Italia non vige solo la presunzione di innocenza, ma anche la libertà di farsi innocenti motu proprio. E gli imbroglioni di Stato, naturalmente, in Italia godono di quello che i giornali, in maniera misteriosofica, definiscono il “passaporto di servizio”. Che sarà mai il “passaporto di servizio”, chi lo rilascia e perché? E in nome di quale “servizio”?
Dell’ Utri tornerà in Italia? Carlo Rossella – e verrebbe da dire: il signore sì che se ne intende,  conoscendo il suo ambientino a meraviglia -, giura che no, che di Dell’ Utri, nelle carceri italiane, si potrà vedere, bene che vada, qualche foto segnaletica affissa in una bacheca. Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, che ha presentato il compitino scritto bene per l’estradizione, sembra sussurrare a bassa voce che invece tutto sarà a lieto fine, che i libanesi, “rapidamente”, restituiranno il furfantello al mittente italiano. Dovessimo scommettere, punteremmo su Rossella. Si vedrà come andrà a finire.
Eppure, tutto ciò premesso, non riusciamo a provare alcuna istintiva avversione, spinta dalla molla della passione civile, per il mafioso di rango che si fece furfantello da passo. Dell’ Utri ha infatti cavalcato alla grande le onde di un’ Italia che sembrava fatta su misura per lui, di un mondo dei media che sembrava fatto apposta per lui, per il suo movimento Forza Italia, per suo compare, quel Silvio Berlusconi che, giusto per rendere ancora più ridicole nel mondo le istituzioni italiane, è stato condannato, dopo una sentenza definitiva a quattro anni per frode fiscale, a far da badante in una casa di riposo per anziani.
E’ squisitamente italiano – è questo che intendiamo dire – il furfantello momentaneamente parcheggiato in Libano, in ossequio allo Stato- Mafia, in ossequio alla Mafia- Stato. E’ sino in fondo Cosa Nostra.
Che altro c’è da dire? Che altro c’è da capire?

saverio.lodato@virgilio.it