Stato-mafia: minacce a Nino Di Matteo, chi c’è dietro Totò Riina? La società civile si mobilita

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di Lorenzo Baldo
Palermo. “Noi non solo vogliamo che sia fatta piena luce sullo stragismo mafioso con le sue convergenze d’interesse tra pezzi dello Stato e criminalità organizzata, e ciò in nome della verità storica che dovrebbe essere patrimonio di ogni democrazia matura e degna di tal nome, ma non vogliamo altri accordi scellerati sull’altare dei quali sacrificare vite umane o per concludere qualsiasi tipo di scambio. Chiediamo al Presidente della Repubblica, di cui ancora non abbiamo sentito la voce, al Governo della nazione, al Parlamento, di garantire trasparenza nella lotta alla mafia, lotta che deve essere incessante fino alla completa sconfitta di Cosa Nostra, risultato assolutamente possibile solo che lo si voglia perseguire con determinazione. Chiediamo che lo Stato non dia mai segni di debolezza di fronte alla mafia e che si approntino, senza indugio, tutti i mezzi messi a disposizione dalla tecnologia per tutelare al meglio la vita dei magistrati che indagano sulla trattativa”. E’ esattamente il cuore del documento (sottoscritto da alcune sigle, locali e nazionali, dell’associazionismo e non solo) quello che viene citato da Pippo Russo, dell’ass. “Io mi arruolo”, durante la conferenza stampa di presentazione della manifestazione per Nino Di Matteo e per il pool che indaga sulla trattativa.

L’appuntamento è per venerdì 20 dicembre alle 16:30, “Mai più accordi fra Stato-mafia, noi sempre con i magistrati della trattativa” si legge sul volantino, concentramento in piazza Politeama da dove si snoderà un corteo che arriverà fino al palazzo di giustizia. Contemporaneamente a Milano, Torino e Cagliari (l’elenco è in costante aggiornamento sulla relativa pagina facebook) si svolgeranno simili iniziative. Ma è da Palermo che è fondamentale che parta un segnale di resistenza e di continuità. Un segnale che di fatto è partito attraverso la grande manifestazione organizzata il 18 novembre scorso, all’indomani della pubblicazione della condanna a morte di Totò Riina nei confronti del pm Di Matteo, che ha visto una vastissima partecipazione popolare. Oggi, però, il livello di guardia si è ulteriormente innalzato. Quelle che con una semplificazione mediatica vengono definite “le minacce di Riina” nascondono invece insidie molto più allarmanti. Che rispecchiano il potere criminale di uno Stato-mafia pronto a eliminare chiunque cerchi di fare luce su segreti inconfessabili di patti e trattative tra i vertici delle istituzioni e Cosa Nostra. Ed è sempre quello stesso Stato-mafia che non garantisce la dovuta sicurezza a Di Matteo per consentirgli di poter effettuare la trasferta a Milano così da seguire le tre udienze del processo sulla trattativa nelle quali è stato sentito Giovanni Brusca. Allo stesso modo è sempre questo pseudo Stato che attraverso un ministro dell’Interno fa sapere in pompa magna di avere “reso disponibile” il dispositivo bomb-jammer per Di Matteo. Per poi scoprire, invece, che lo stesso ministro ha fatto sapere di dover ancora ultimare i test relativi alla pericolosità dello stesso congegno, ritardando quindi l’installazione sull’auto del magistrato. Menzogne su menzogne. Sulla pelle di uomini giusti. E’ la stessa Linda Grasso di Azione Civile a ricordare che il famoso dispositivo capace di neutralizzare gli impulsi radio che innescano le bombe è stato già utilizzato da presidenti del Consiglio, presidenti della Repubblica e dal Papa. Per altro è cosa nota che all’arrivo di Berlusconi al tribunale di Milano (quando si recava a seguire i suoi processi) si interrompevano tutte le comunicazioni dei telefoni cellulari, per alcuni si trattava di una casualità, per altri la dimostrazione dell’utilizzo di determinate apparecchiature. E in questo clima pesantissimo che si respira a Palermo c’è sempre l’ombra di quella magistratura che a suo tempo aveva ostacolato, isolato e mandato a morire Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Sono cambiate le facce, ma la strisciante metodologia è rimasta la stessa, dentro e fuori il palazzo di giustizia. Il procedimento disciplinare del Csm che tuttora pende su Nino Di Matteo, basato su un’accusa del tutto falsa, è la dimostrazione plastica della più becera delle caste. Nei confronti della quale bisogna mantenere alta l’attenzione. Perché il “fuoco amico” è peggio di quello proveniente dal nemico conclamato. “Tutta la società civile deve essere vigile”, afferma con convinzione Simone Cappellani del movimento delle Agende Rosse di Salvatore Borsellino, per poi ricordare le minacce nei confronti dei magistrati di Caltanissetta come Nico Gozzo, così come quelle verso Marcello Viola e alcuni magistrati della procura di Trapani da lui diretta.  Ed è anche nei confronti di Massimo Ciancimino, teste principale del processo sulla trattativa, che Cappellani auspica una protezione che ora non c’è. Allo stesso modo Marco Pomara del Centro Biotos ribadisce l’assoluta “necessità” per la società civile di “mobilitarsi”. Non c’è più tempo da perdere. E’ questo l’imperativo. Ognuno di noi ha il dovere morale di trasmettere a chi ha più vicino il rischio che stiamo correndo di possibili nuove stragi. Che devono essere evitate ad ogni costo attraverso una presa di coscienza, scevra da impennate di emotività, capace di trasformarsi in concreta presa di posizione. La manifestazione del 20 dicembre rappresenta a tutti gli effetti una sorta di protezione per Nino Di Matteo, per i suoi colleghi del pool e per tutti noi. Che rischiamo altrimenti di vedere crollare la nostra fragile democrazia sotto nuove bombe.

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Fonte:antimafiaduemila