Lo Stato Stato perdente e lo stato mafia vincente (per ora)

di Giorgio Bongiovanni
alfano-viminale

Questa mattina, alle ore 9.30, nell’aula bunker di Milano in via Ucelli di Nemi si è tenuta una nuova udienza del processo per la trattativa Stato mafia. In aula è prevista la testimonianza di Giovanni Brusca, collaboratore di giustizia, ex capomandamento di San Giuseppe, ex membro della Cupola, ex delfino e figlioccio personale di Salvatore Riina. Col passare dei minuti arrivano tutti. Dal Presidente della corte, Alfredo Montalto, al Giudice a Latere, Stefania Brambille, quindi i giudici popolari, gli avvocati difensori, gli avvocati delle parti civili, i giornalisti, il Procuratore capo di Palermo Francesco Messineo, il procuratore aggiunto Vittorio Teresi, i sostituti, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia. Manca un pm. Si tratta del sostituto procuratore Antonino Di Matteo.

E’ lui, il pm che per primo ha condotto l’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia assieme all’ex magistrato Antonio Ingroia e che ancora oggi è titolare di un’inchiesta segretissima (chiamiamola trattativa Stato-mafia bis ndr), l’unico assente al dibattimento.
Ma perché non c’è Nino Di Matteo? Si dice che la decisione è stata presa nei giorni scorsi dal Viminale dopo una riunione che ha visto la partecipazione del ministro degli Interni Angelino Alfano, del Procuratore capo di Palermo, Francesco Messineo, ed il Procuratore Capo di Caltanissetta Sergio Lari. Un “vertice”che si è riunito dopo la condanna a morte emessa dal capo di Cosa nostra, Salvatore Riina che in pochi giorni, direttamente dal carcere Opera di Milano dove è detenuto al 41 bis, ha esternato frasi del tipo: “Di Matteo deve morire. E con lui tutti i pm della trattativa, mi stanno facendo impazzire”, “A questo ci devo far fare la stessa fine degli altri”, “Questo Di Matteo non ce lo possiamo dimenticare. Corleone non dimentica”. “Per Di Matteo è tutto pronto, lo faremo in modo eclatante”.
Non è dato sapere e non sapremo mai se a questo incontro ha partecipato anche lo stesso Di Matteo, fatto sta che l’8 dicembre i vertici dello Stato italiano, rappresentati da Angelino Alfano, hanno deciso quelle che erano le misure di sicurezza necessarie per lo stesso giudice palermitano. Si era parlato nelle scorse settimane di dotare di un bomb jammer l’auto di Di Matteo e addirittura è stato proposto allo stesso di muoversi per Palermo a bordo di un blindato Lince. Fatto sta che il giudice titolare di una delle inchieste più importanti d’Italia oggi a Milano non c’era.
Quindi mi chiedo: Che Stato è diventato il nostro? Quanto sono ridicoli il ministro Alfano e tutto l’apparato dei servizi del ministero degli Interni che non è in grado di garantire la sicurezza del magistrato che sta indagando sui rapporti Stato-mafia nonché su altre inchieste di mafia?
Possibile che, nonostante la presenza di sei forze armate come l’Esercito, i Carabinieri, la Polizia, la Guardia di Finanza, l’Aeronautica e la Marina non si sia riusciti a permettere al pm Di Matteo di essere presente e compiere il proprio lavoro?
Che serietà ha uno Stato che non è in grado di fare ciò ed anzi si inginocchia di fronte ad un boss feroce come Salvatore Riina, che dal carcere lancia proclami di morte contro i giudici, fermando Di Matteo lasciandolo a Palermo?
La verità è ben più grave. La verità è che ci sono uomini di Stato dietro a Riina, uomini potenti che ancora una volta lo usano e lo manovrano, prendendolo per la manina (come mi disse il collaboratore di giustizia Salvatore Cancemi ndr). E l’intento è chiaro ed evidente, ovvero quello di fermare il processo e l’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, che potrebbe scoperchiare verità indicibili e che vedrebbe il coinvolgimento non solo di ex ministri e uomini in pensione, ma anche di personaggi oggi ai vertici delle istituzioni, dalla politica alle forze dell’ordine, passando per la grande finanza italiana, le massonerie deviate e i servizi segreti, ecc…ecc…, smascherandoli di fronte all’opinione pubblica. E’ la vittoria, per ora, dello stato-mafia sullo Stato-Stato. E a noi non resta che gridare il nostro sdegno ed essere presenti il più possibile a scudo di questi giudici a cui viene promessa una sicurezza solo di facciata.

Fonte:Antimafiaduemila