Processo per detenzione di esplosivo: chiesti 3 anni per Massimo Ciancimino

di Lorenzo Baldo
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Palermo. Partiamo dalla fine, dalle dichiarazioni di Massimo Ciancimino rilasciate a caldo, subito dopo che i pm Paolo Guido e Nino Di Matteo hanno chiesto per lui la condanna a 3 anni di reclusione (insieme ad una multa di 20.000 euro) e per il suo amico, Giuseppe Avara, 2 anni ed un’ammenda di 10.000 euro. Il processo che si sta celebrando con rito abbreviato davanti al Gup Daniela Cardamone è quello relativo alla questione del materiale esplosivo recapitato misteriosamente a Ciancimino jr nel 2011 (a Bologna, a casa dei suoceri) insieme a palesi minacce di morte per lui e per la sua famiglia. Come è noto all’epoca dei fatti lo stesso figlio di Don Vito, agendo di impulso sotto una fortissima pressione psicologica, non aveva avvisato l’autorità giudiziaria di quel pericolosissimo avvertimento e, in maniera del tutto autonoma (coinvolgendo successivamente a Palermo solo il suo amico Giuseppe Avara), aveva cercato di disfarsi di quei candelotti di dinamite, per poi confidare alla procura di Palermo la presenza di una parte di quell’esplosivo nel giardino di casa sua. Da quelle dichiarazioni è partito l’iter giudiziario che ha portato Massimo Ciancimino e Giuseppe Avara a finire sotto processo. “Sono pienamente cosciente della situazione prospettata dal dottor Di Matteo e dal dottor Guido”,  ha evidenziato Ciancimino jr commentando la requisitoria dei due pm. Riferendosi poi alle ultime minacce ricevute e “a fronte della conoscenza approfondita della potenza di ‘questi signori’ che sono riusciti a condizionare i miei arresti (prevedendoli in anticipo)”, Ciancimino ha ribadito che “non si tratta soltanto di un pericolo di aggressione fisica, ma anche di aggressione giudiziaria”. “Quando ho fatto questa scelta – ha sottolineato –  l’ho condivisa con mia moglie. Prima di fare ulteriori passi in avanti che pregiudicherebbero, così come è scritto nell’anonimo, l’incolumità dei miei familiari (quella mia non mi interessa), devo affrontare la questione in famiglia”. “Purtroppo quando si fanno queste scelte si coinvolgono inevitabilmente terze persone che oggi sono davvero tanto stanche. Queste terze persone oggi si sentono un po’ abbandonate dallo Stato dopo un arresto per calunnia, dopo un arresto per evasione fiscale e dopo un mio dimagrimento in carcere di 12 kg in un mese (che ovviamente non è stato segnalato al Dap da nessuno). Tutto questo fa scatenare all’interno del mio nucleo familiare quella voglia di dire: ‘basta, quello che potevi fare lo hai fatto’. Per non parlare degli stessi magistrati che vengono letteralmente massacrati”. “E’ sotto gli occhi di tutti l’inesistente vita sociale del dott. Di Matteo a causa di un ulteriore potenziamento della scorta dovuto alle ultime minacce che hanno riguardato anche me. Ecco perché sono consapevole che questo ulteriore salto, questo ‘passo del guado’ comporterebbe dei grandi rischi per me (che comunque non ho mai messo in conto), ma soprattutto per i miei familiari a cui devo tanto. E’ per loro che devo riflettere seriamente prima di esporli a rischio. E comunque confermo le parole del dottor Di Matteo: potrei fare quel nome, ma ne ho veramente tanta paura…”.  Il nome che tanto impaurisce Massimo Ciancimino riguarda quel personaggio dei Servizi legato ad ambienti istituzionali, inizialmente indicato con i nomi di “Rossetti” o “Rosselli”, in contatto con lui che, tra l’altro, gli avrebbe consegnato la documentazione all’interno della quale si trovava il famoso appunto su Gianni De Gennaro (risultato successivamente falso) che gli era costato il reato di calunnia e per il quale era stato arrestato. Sarebbe stato il sig. “Rosselli” a fargli recapitare quell’esplosivo con il fine di tappargli la bocca? Ma soprattutto: qual è la vera identità di questo ibrido personaggio? E’ esattamente su questo punto che il pm Nino Di Matteo ha focalizzato il suo intervento in aula. Ad ascoltare attentamente la requisitoria dei due pm erano presenti Salvatore Borsellino insieme ad alcuni rappresentanti delle “Agende rosse” venuti da diverse parti d’Italia, un esponente dell’associazione universitaria “ContrariaMente” e la giornalista tedesca Petra Reski. Una presenza importante quella del fratello del giudice assassinato in via D’Amelio, decisamente di avallo al contributo alla ricerca della verità di Ciancimino jr che lo stesso Di Matteo ha definito “utile e coraggioso”. Il pm ha volutamente rimarcato che senza le dichiarazioni del figlio di Don Vito questo processo non si sarebbe celebrato. “Massimo Ciancimino, però – ha ribadito successivamente –, con il suo atteggiamento processuale, è rimasto in mezzo al guado”. (…) “Così come quando ha riferito che tale signor ‘Rossetti’ o ‘Rosselli’ gli aveva preannunciato un attentato imminente nei suoi confronti, o un atto ritorsivo”. “Non riteniamo verosimile – ha proseguito – che Massimo Ciancimino non conosca l’identità di questa persona, proprio perché quest’ultimo sarebbe la stessa persona che ha consegnato dei documenti tra cui c’era anche quello falso su De Gennaro. Parliamo quindi di un soggetto con un ruolo fondamentale. E Massimo Ciancimino sa chi è!”.
Il terrore di Ciancimino jr di fare espressamente quel nome va a infrangersi contro uno Stato-mafia pronto a eliminare chiunque provi a rivelarne la reale identità. Il sostegno nei confronti del figlio di Don Vito da parte di uomini come Salvatore Borsellino, così come di una parte della società civile, si scontra quindi con una paura legittima. Del tutto paralizzante. Che può rimanere costante negli anni, come una sorta di spada di Damocle, o che invece può essere vinta una volta per tutte.
L’udienza è stata rinviata a martedì 19 novembre per la replica delle difese.

Foto © Giorgio Barbagallo

Fonte:Antimafiaduemila