Il pentito Schiavone: "Scorie da Milano e Genova, così inquinammo le falde acquifere"

ROMA – L’Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati, preso atto della nota con la quale il Procuratore Nazionale Antimafia ha rappresentato che non esistono motivi ostativi, ha autorizzato la desecretazione dei verbali delle dichiarazioni del pentito Carmine Schiavone di fronte alla Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti, svolta il 7 ottobre 1997. Saranno resi pubblici sia il resoconto stenografico della audizione del collaboratore di giustizia presso la Commissione, sia gli atti depositati in quella occasione. I documenti sono quindi liberamente consultabili presso l’Archivio storico della Camera e sarà altresì possibile accedere ad essi direttamente dalla sezione del sito internet della Camera relativa ai lavori della Commissione parlamentare d`inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse operante nella XIII legislatura unitamente a tutti gli altri resoconti della medesima Commissione già pubblicati.

IL NORD – Rifiuti tossici da Massa Carrara, Genova, La Spezia e Milano. Tanto per citare alcuni luoghi di provenienza dei fusti. Spiegò Schiavone, nella sua audizione di fronte alla Commissione parlamentare, che il traffico di scorie fu “iniziato da mio cugino Sandokan Schiavone e Francesco Bidognetti” negli anni ’80, avvalendosi di Gaetano Cerci, nipote di Bidognetti ed iscritto alla Pd di Gelli, titolare dell’azienda “Ecologia ’89”. Cerci faceva da tramite con “alcuni signori di Arezzo, Firenze, Milano e Genova”. I procacciatori del traffico di veleni per conto di aziende del Nord. Ma il vero dominus del business era l’avvocato Cipriano Chianese, imprenditore di Parete (Ce). Alcuni pentiti lo hanno definito il vero “inventore del traffico di rifiuti”. Chianese, anch’egli massone, candidato alla Camera nel ’94 per Forza Italia ha anche gestito la discarica Resit, bomba ecologica dell’area di Giugliano.  Assieme a Bidognetti e Cerci è sotto oggi sotto processo, tra le altre cose, per disastro ambientale. Sugli effetti del seppellire i rifiuti tossici, Carmine Schiavone non usò giri di parole, nell’audizione del ’97: “Mi fu detto che avremmo inquinato le falde acquifere”

IL LAGO –  Rifuti tossici sversati anche nel lago di Lucrino, che si trova nell’area flegrea,e in tutto il litorale domitio. La dichiarazione compare nei verbali dell’audizione del pentito. Nel business del traffico dei rifiuti, secondo il pentito, erano coinvolte diverse organizzazioni criminali – come mafia, ‘ndrangheta e Sacra Corona Unita, al punto di poter ipotizzare che in diverse zone di Sicilia, Calabria e Puglia, le cosche abbiano agito come il clan dei Casalesi. Il collaboratore di giustizia spiegò le modalità di smaltimento. “Avevamo creato un sistema di tipo militare, con ragazzi incensurati muniti di regolare porto d’armi che giravano in macchina. Avevamo divise e palette dei carabinieri, della finanza e della polizia. Ognuno aveva un suo reparto prestabilito”.
LA PROFEZIA –  Una macabra profezia di Schiavone: entro venti anni gli abitanti di numerosi comuni del Casertano “rischiano di morire tutti di cancro” a causa dei rifiuti interrati in quel territorio. E nominò gli abitanti di paesi come Casapesenna, Casal di Principe, Castel Volturno, tra gli altri. Ma la camorra quando decise di avvelenare la gente di quelle terre? Il business criminale fu “autorizzato” per il clan dei Casalesi nel 1990. “Tuttavia – riferì Schiavone – quel traffico veniva già attuato in precedenza”.

DITTATURA DI CAMORRA – Una dittatura strisciante in tempi di democrazia, quella dei Casalesi, si direbbe. Stando alle parole di Schiavone “in tutti e 106 comuni della provincia di Caserta noi facevamo i sindaci, di qualunque colore fossero. C’e’ la prova. Io – raccontò il collaboratore di giustizia – ad esempio avevo la zona di Villa Literno e sono stato io a far eleggere il sindaco. Prima era socialista e noi eravamo democristiani. A Frignano avevamo i comunisti. A noi non importava il colore ma solo i soldi, perché cerano uscite di due miliardi e mezzo al mese”.  Il potere del clan aveva svuotato le strutture dello stato di diritto. “A Villa Literno, che era di mia competenza – spiegò Schiavone – ho fatto io stesso l’amministratore comunale. Abbiamo candidato determinate persone al di fuori di ogni sospetto, persone con parvenze pulite e abbiamo fatto eleggere dieci consiglieri, mentre prima ne prendevamo tre o quattro. Un seggio lo hanno preso i repubblicani, otto i socialisti e uno i comunisti. Io li ho riuniti tutti e ho detto loro ‘Tu fai il sindaco, tu l’assessore’ e via di questo passo”. Il dominio della camorra, ispirato alla legge del profitto, non conosce ostacoli ideologici. “Mi dissero  – affermò i pentito – che mancava un consigliere per avere la maggioranza”. All’epoca c’era Zorro che come boss dipendeva da me e gli ho detto: ‘Andate a prendere Enrico Fabozzo e lo facciamo diventare democristiano’. Infatti lo facemmo assessore al Personale. La sera era comunista e la mattina dopo democristiano”.

fonte: iLdesk quotidiano indipendente