Il Paese è cambiato, caro Nino non sei solo

di Luigi Ciotti
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CARO Nino Di Matteo, devi sapere che non sei solo, che tutti voi a Palermo, e in ogni angolo d’Italia, non sarete mai più soli. Dalla stagione delle stragi è cresciuta nel nostro paese la consapevolezza che la questione delle mafie non è solo di natura criminale. È un problema più profondo, anche culturale e sociale. Una questione che non sarebbe ancora così grave se a contrastare le mafie ci fossero stati, oltre alla magistratura e alle forze di polizia, la coscienza pulita e l’impegno della maggior parte degli italiani.
Questa coscienza e questo impegno, lentamente e faticosamente si sono negli anni moltiplicati. Devi dunque sapere caro Nino, anche se qualcuno — mafiosi o complici dei mafiosi — continua a minacciare e lanciare messaggi inquietanti, che oggi tu e tutti gli altri magistrati siete meno soli. Che minacciare voi vuol dire minacciare tanti di noi, tanti italiani, che nei più vari ambiti si sono messi in gioco. Cittadini che non si limitano a scendere in piazza, a indignarsi o commuoversi, ma che hanno scelto di muoversi, di trasformare il loro “no” alle mafie in un impegno quotidiano per la democrazia, per la libertà e la dignità di tutti.

Le luci non nascondono però le molte ombre. In tanti ambiti prevale ancora l’indifferenza o una semplice e facile risposta emotiva. Anche la politica non sempre ha saputo affrontare la questione con la pulizia morale e il respiro necessario: pensiamo solo ai troppi compromessi che hanno impedito un’adeguata riforma della legge sulla corruzione e ai patti sottobanco. Lo Stato, tutto lo Stato, deve proteggere se stesso e i suoi cittadini. Ma negli ultimi tempi, come molti segnali lasciano intendere, le mafie — indisturbate nei suoi livelli più alti: economia, finanza, appalti, affari — hanno approfittato per organizzarsi in silenzio.
Quelle minacce dall’interno di un carcere dicono perciò una verità imbarazzante: se nell’ambito repressivo e giudiziario importanti risultati sono stati ottenuti, sul versante del contrasto politico e sociale c’è ancora molta strada da fare. Perché di una cosa dobbiamo essere certi: sconfiggeremo le mafie solo quando sapremo colmare le disuguaglianze sociali che permettono il loro proliferare. Le mafie non vanno solo inseguite: vanno prevenute. Prevenzione vuol dire anche realizzare la condizione di dignità e di libertà responsabile prevista dalla Costituzione, il primo e più formidabile dei testi antimafia. Altrimenti, nello scarto fra le parole e i fatti, continuerà a insinuarsi la più pericolosa e subdola delle mafie: quella della corruzione, del privilegio e dell’abuso di potere.
A te un forte abbraccio da parte mia e dalle oltre 1600 realtà associate a Libera.

Tratto da: La Repubblica