Trattativa, è l’ora della verità

Lo Stato e la mafia
di Antonio Ingroia – 26 settembre 2013
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Da anni si ripete la litania della “giustizia a orologeria”. Sarebbe la magistratura a scegliere i tempi per i suoi provvedimenti rispetto alle scadenze politiche per avere il massimo impatto mediatico possibile. Ora, è vero che in Italia si vota anche troppo, e invano, visto l’assoluto disinteresse della politica verso le scelte dei suoi elettori. Ma ciò che si vede sotto la superficie è l’esatto contrario. Una politica che si muove in modo sincronico rispetto all’approssimarsi di moNapolitano

menti cruciali dell’azione della magistratura che, percepita come una minaccia, suscita reazioni autodifensive. Come definire altrimenti gli interventi di tutela ad personam di Silvio Berlusconi pronto ad ammannire la sua immagine di perseguitato politico, per cancellare lo stigma del perseguito, e oggi pregiudicato perché condannato per uno fra i più odiosi delitti attribuibile a un uomo dello Stato, come certamente dovrebbe essere un Presidente del Consiglio per ben quattro volte, e cioè la frode fiscale nei confronti di quello stesso Stato? E certamente non può non disorientare che perfino un uomo politico come Giorgio Napolitano, che da Capo dello Stato dovrebbe essere presidio costituzionale di equilibrio e garanzia per tutti, sia entrato a piedi uniti nella polemica politica sulla giustizia proprio alla vigilia di un processo assai contestato dalla politica come il processo di Palermo sulla “trattativa Stato-mafia”. E che lo abbia fattoprendendo parte contro la magistratura, e riproducendo la deleteria distinzione, più volte usata da Berlusconi, fra magistrati politicizzati e magistrati che hanno invece il senso del limite e della misura. Mentre ciò che occorre oggi è difendere l’autonomia e l’indipendenza della magistratura ancora sotto attacco a Milano come a Roma, come a Palermo.

È venuto il tempo di lasciare i giudici tranquilli e sereni a valutare le prove che saranno esaminate nel contraddittorio delle parti, nel giusto rispetto dei diritti di tutti. Della Procura di Palermo che rappresenta l’interesse dello Stato che si accerti la verità su quella stagione e che siano accertate le responsabilità penali dei colpevoli dell’ignobile, scellerata trattativa Stato-mafia. Trattativa accertata, tutt’altro che “presunta”, come qualche solone, che riempie pagine e pagine di giornali, sostiene. Degli imputati che hanno diritto a un processo giusto e garantito. Delle parti civili che hanno diritto ad avere giustizia in senso pieno e integrale. Del popolo italiano, in nome del quale vengono pronunciate le sentenze,chehadirittoallaverità. A ogni costo e in applicazione del principio costituzionale che vuole tutti i cittadini eguali davanti alla legge.

È quindi venuto il momento che tacciano i tanti tromboni abituati a strepitare senza conoscere. Che, a volte, ignorando del tutto atti e risultanze giudiziarie, in nome del più bieco opportunismo carrierista e conformismo politico, si sono iscritti al partito del fraintendimento interessato e omologati al pressappochismo imperante.

ADDIRITTURA convincendosi e cercando di convincere di ben conoscere un’indagine soltanto per aver letto la memoria introduttiva di una delle tante udienze del processo o qualche libro-intervista dedicato al tema, quello sì terribile sul piano politico e culturale, della trattativa Stato-mafia. E cioè se sia accettabile politicamente e moralmente, che autorevoli esponenti dello Stato tratti no con gli assassini nel pieno di una strategia stragista, mentre ancora giacciono per terra le vittime della furia omicida, e se sia concepibile giustificare politicamente quella stessa trattativa che ha poi determinato non il termine, ma l’inasprirsi della strategia stragista.

È venuto il momento di mettere da parte gli esercizi stilistici dei militanti della realpolitik per affrontare la questione cruciale del rapporto fra Verità e Democrazia. Può esistere un’autentica democrazia senza la verità sui suoi fatti fondanti, come certamente la stagione stragista del ‘92/93 e la conseguente trattativa è stata per la nostra “seconda repubblica”? Impensabile. Ed è altrettanto impensabile che il Presidente di quella stessa Repubblica, il Capo di quello stesso Stato che ha trattato con la mafia, possa sottrarsi all’accertamento della verità. Anzi, sarebbe suo dovere offrire spontaneamente la sua testimonianza allo Stato, rappresentato dalla Procura di Palermo in quell’aula, che l’ha chiesto. Dimostrando così in modo tangibile di stare al fianco dell’impegno dei magistrati e dei tanti cittadini che si battono perché quella verità emerga e così sgombrando il campo da dubbi e polemiche. Per accertare la verità serve coesione istituzionale, non conflitti fra istituzioni. E giustizia sia fatta.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano