PEDOFILIA, il Vaticano rimpatria il vescovo indagato

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La storia dell’arcivescovo polacco Josef Wesolowski, che rappresentava la Chiesa nella Repubblica dominicana, ma anche a Porto Rico e Haiti rischia di suscitare nuove polemiche sull’atteggiamento con  cui il Vaticano affronta gli scandali sessuali. Da una parte la mano forte, dall’altra una sorta di protezione.

Una vicenda lunga, complessa. L’ultimo capitolo arriva quando le telecamere di una televisione domenicana hanno ripreso il prelato a passeggio in un quartiere dove si esercita la prostituzione maschile e allora, oltre un appunto inviato in Segreteria di Stato e i racconti insistenti su un’esistenza non esattamente casta e sobria (a volte eccederebbe con gli alcolici), Wesolowski è stato richiamato d’urgenza a Roma. E papa Francesco gli ha tolto, subito, i gradi di nunzio apostolico per poi ordinare un processo canonico e un’inchiesta per abusi sessuali e danni ai minori. La Santa Sede ha confermato la punizione papale decretata mercoledì sera, anche se – spiega il sito Vatican Insider che ha diffuso la notizia in Italia – il prelato si trovava a Roma già da qualche giorno.

In parallelo, con estrema cautela, la magistratura domenicana ha avviato un’indagine per accertare le accuse rivolte al polacco che, la rete contro la pedofilia di Francesco Zanardi, quantifica in decine di episodi. La conseguenza di quest’intervento papale, però, evita il giudizio della magistratura domenicana all’ex nunzio perché fra i due Stati non ci sono accordi o trattati internazionali e ormai la magistratura vaticana s’è messa al lavoro: in caso fosse giudicato colpevole ai Caraibi, non verrebbe mai estradato per scontare la pena in carcere.

9bf73c1b1de56d63fd3d97b5da652ad9_300x226Tra Repubblica domenicana, Porto Rico e Haiti, lo scandalo ha raggiunto proporzioni enormi e la Chiesa, ancora una volta, ha avuto un crollo di popolarità e credibilità. Ma c’è un retroscena che va illustrato per evidenziare la lentezza burocratica che impedisce al Pontefice, non per sua volontà, di sanzionare questi comportamenti deprecabili. Già tre mesi fa, a luglio, l’arcivescovo di Santo Domingo (nonché cardinale), Nicolas de Jesùs Lòpez Rodrìguez, aveva spedito in Curia una raccolta di documenti, molto dettagliati, che secondo indiscrezioni avrebbero messo nei guai il polacco. La Segreteria di Stato, esaminate le carte, si è rivolta direttamente a Jorge Bergoglio. La risposta vaticana non è stata immediata e neppure la rimozione è stata diffusa oltre il colonnato di San Pietro. Fin quando le immagini televisive non hanno dato finalmente una scossa alla procedura e si è saputo della punizione di Francesco all’arcivescovo. Il “licenziamento” dai Caraibi era stato anticipato ai vescovi il 21 agosto con una breve lettera ufficiale; s’annunciava il trasferimento, ma non le motivazioni. Per qualche settimana, i monsignori locali hanno creduto che il problema fosse il pessimo rapporto fra Wesolowski e l’arcivescovo di San Juan di Porto Rico, Roberto Gonzàles Nieves. Si ignorava che il polacco sarebbe stato accusato di pedofilia. Una piaga che papa Francesco, sin dai primi discorsi pubblici, ha promesso di curare, sanare e magari rimuovere definitivamente. Le associazioni contro i sacerdoti pedofili, come quella di Francesco Zanardi, che da anni smaschera chi si nasconde con la tonaca, chiedono che la giustizia (terrena) sia compiuta e le eventuali condanne siano applicate. Ma c’è il timore che un rapida convocazione in Vaticano serva a coprire ed evitare le conseguenze giudiziarie. Ora il prossimo compito spetta a Francesco che, senza proclami, ha cancellato Wesolowski dal gruppo di diplomatici vaticani e l’ha “consegnato” agli organismi interni.

Ferruccio Sansa

Carlo Tecce

fonte: ilfattoquotidiano

Il Fatto Quotidiano