“Non dimenticate il sacrificio di Nino e Ida. Insieme nessuno ci può piegare”

Intervista a Vincenzo Agostino
di Miriam Cuccu – 5 agosto 2013
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Ventiquattro anni fa a Villagrazia di Carini un gruppo di sicari in motocicletta sparò contro l’agente di Polizia Antonino Agostino e sua moglie Ida Castelluccio, incinta di pochi mesi. Nino, così conosciuto da tutti, era all’apparenza un semplice poliziotto della Questura di Palermo. In realtà insieme all’agente Emanuele Piazza lavorava sotto copertura in alcune operazioni dei servizi di sicurezza. Il collaboratore di giustizia Vito Lo Forte raccontò che entrambi avrebbero ricoperto un ruolo chiave nell’impedire l’attentato all’Addaura contro Giovanni Falcone (avvenuto il 21 giugno 1989) nonostante tale circostanza al momento non sia stata confermata da altri riscontri. Piazza fu poi ucciso da Cosa nostra il 16 marzo 1990, il suo cadavere non venne mai ritrovato.
In una occasione Nino aveva confidato a un collega di pattuglia di essere impegnato in indagini delicate per la cattura dei latitanti Riina e Provenzano. Subito dopo la morte, il poliziotto lo fece presente ad Arnaldo La Barbera, all’epoca capo della Squadra Mobile di Palermo (quest’ultimo sarà poi coinvolto nel depistaggio della strage di via D’Amelio) che ignorò palesemente l’indicazione seguendo invece la pista del delitto passionale, architettata allo scopo di depistare le investigazioni.

Oggi, nonostante le indagini siano state aperte e più volte chiuse (al momento sono aperti alcuni tronconi alle procure di Palermo e Caltanissetta), ancora esecutori e mandanti dell’omicidio restano senza volto né nome. Con l’eccezione del prefetto in pensione Antonio Daloiso, indagato insieme all’ex agente Aiello con l’accusa di aver avuto contatti con il boss Gaetano Scotto (condannato per la strage di via D’Amelio e indagato per il fallito attentato all’Addaura) e dell’ex agente Guido Paolilli, già iscritto nel registro degli indagati e intercettato mentre ammetteva di aver “distrutto una freca di carte”. Quelle carte altro non erano che il memoriale di Nino, il quale in un biglietto raccomandava di cercarle “nell’armadio di casa” qualora gli fosse successo qualcosa.
Il pentito Oreste Pagano disse che “Agostino aveva scoperto le complicità fra alcuni componenti della questura e Cosa nostra”: evidentemente questo a qualcuno non andava giù.
Cosa si prova dopo oltre vent’anni a chiedere, finora inutilmente, la verità sull’uccisione del proprio figlio ce lo racconta Vincenzo Agostino, che insieme a sua moglie Augusta da ventiquattro anni bussano alla porta di uno Stato che tace ostinatamente sui suoi scheletri nell’armadio. A loro va tutto il nostro sostegno, augurandoci che presto trovino la serenità che potranno avere solo quando quei tanti ‘perché’ avranno finalmente una risposta.

Sono passati ormai ventiquattro anni dall’uccisione di suo figlio Antonino. Nel giorno dell’anniversario che bilancio può tracciare del tempo trascorso nel continuare a chiedere a gran voce verità e giustizia?
Io e mia moglie ci siamo battuti per quasi un quarto di secolo visitando molte località della nostra Italia per far conoscere la storia di nostro figlio. Noi chiederemo sempre verità e giustizia fino a quando avremo un alito di voce, ormai non siamo più giovani, ma grazie alla stampa e alla televisione oggi Nino è ricordato in quasi tutto il territorio. Proprio due giorni fa io e la mia famiglia siamo tornati a Palermo da una tre giorni in Vallecamonica al presidio in ricordo di mio figlio (la “Fiaccolata per Ida e Agostino” organizzata da Libera, ndr). Nei due paesi dove siamo stati ospiti persone mai conosciute – migliaia di partecipanti – ci hanno accolto e onorato con grande calore.
È stata la società civile a darci sempre la forza di andare avanti dopo la morte di Nino, di continuare a lottare. Ci sono state anche persone che mi hanno detto: “ma chi te lo fa fare?”. Come, chi te lo fa fare? Io spero sempre che la luce che vedo in fondo al tunnel che sto percorrendo diventi un giorno un grande faro, che illumini tutti i misteri rimasti e dia finalmente risposta ai tanti perché che ci sono dietro all’uccisione di Nino e Ida: per arrivare a questo non mi piegherò davanti a nessuno.

agostino-dipinto-porcasiSulle indagini, più volte aperte grazie alla determinazione e al coraggio suo e di sua moglie, pesa una vera e propria “omertà di Stato” con uomini delle istituzioni che si ostinano a non dire tutto quello che sanno. Che idea si è fatto nel tempo del nostro Stato e quale ruolo ricopre secondo lei nelle oscure dinamiche che ruotano attorno alla morte di suo figlio?
Ci sono persone ancora viventi che continuano a coprire la sua morte, uomini corrotti dentro lo Stato e dentro le forze dell’ordine. Sono tante le persone che devono pagare. Mio figlio si è sacrificato perché non si è voluto piegare davanti a nessuno, onorando fino alla fine quel giuramento fatto come servitore dello Stato, così come molti altri poliziotti che hanno pagato con la vita.
Noi continueremo a cercare giustizia, e chissà che non ci sia qualcuno che, vedendoci, voglia dare un po’ di serenità e di speranza a questa mamma e a questo papà che chiedono solo di sapere perché è morto il loro figlio, o che almeno ci infonda una rinnovata fiducia nella giustizia, a dispetto del malgoverno che abbiamo in Italia.

Quali sono i misteri che andrebbero approfonditi su quel 5 agosto 1989?
Se solo si potesse scoprire quello che mio figlio ha scritto sul suo memoriale, gli appunti che aveva lasciato nell’armadio e che non sono stati più ritrovati… (distrutti per depistare le investigazioni, ndr).
La magistratura dovrebbe interessarsi di più alle indagini su questi episodi, non solo sulla morte di Nino ma anche su altre avvenute a Palermo, quel “contenitore di voti” che quando ha iniziato a sbandare (con la conferma delle condanne del Maxiprocesso si è definitivamente rotta la storica alleanza esistente tra Cosa nostra e Democrazia Cristiana, ndr) ha dato inizio ai meccanismi che hanno portato alla trattativa Stato-mafia.

A questo proposito, come potrebbe essere collegato secondo lei l’omicidio di Nino e Ida alle indagini sulla trattativa Stato-mafia?
A mio parere i due fatti sono collegati dal fallito attentato all’Addaura contro Giovanni Falcone. Io penso che Nino, insieme all’agente Emanuele Piazza e a un vigile del fuoco (Gaetano Genova, ucciso dieci giorni dopo Piazza, di cui era amico, col metodo della lupara bianca, ndr) all’Addaura abbiano visto qualcosa, e che siano morti per questo. E’ lì che si deve cercare la chiave per risolvere il mistero di questi omicidi ordinati da chi spingeva per trattare. Chi voleva questa trattativa? Chi erano allora i politici di fiducia della mafia a Palermo? Chi erano i referenti di Andreotti?
Falcone stesso, presentatosi alla camera ardente prima dei funerali di mio figlio, disse, confidandolo in seguito al commissario Saverio Montalbano: “Io devo la vita a queste bare” (di Nino e Ida, ndr) proprio in riferimento al fallito attentato all’Addaura. Io e mia moglie abbiamo in seguito conosciuto la madre di Falcone, e anche lei ci confermò quanto suo figlio ci disse a ridosso dei funerali, del debito che aveva con Nino e con mia nuora, che portava una bimba in grembo.

A molte delle manifestazioni organizzate in memoria di suo figlio hanno partecipato numerosissimi giovani, una risposta positiva che fa sperare in un futuro forse non così buio.
Più che il futuro i ragazzi sono il nostro presente, oggi capiscono e comprendono meglio ciò che vogliono. Molti sono dalla nostra parte, ma altri no: io chiedo che queste “pecorelle smarrite” tornino all’ovile, in modo che insieme possiamo costruire un’Italia e un’Europa sana e forte.
Mi auguro che un giorno le nuove leve che prenderanno in mano la nostra Italia possano fare qualcosa di positivo all’insegna della legalità. Per questo è fondamentale che ci sia un esercito di maestri e professori, in modo tale che i ragazzi possano studiare e così andare avanti sempre a testa alta. Noi non vogliamo un esercito armato ma la pace, e pace sia, per tutti. Chiediamo giustizia, trasparenza, vogliamo solo educare i nostri figli e nipoti nella legalità.

Che messaggio vuole lasciare ai tanti ragazzi che oggi sognano un domani libero dalle mafie?
Non piegatevi mai davanti a nessuno, non chiedete mai favori ma camminate sempre a testa alta e a schiena dritta. Ricordate sempre il sacrificio che Nino, insieme a sua moglie, ha compiuto per la nostra Costituzione. Nessuno, se siamo uniti in questi principi, ci può e ci deve piegare.

In foto: Vincenzo Agostino insieme alla moglie Augusta (in alto) e due dipinti (a destra) del pittore antimafia Gaetano Porcasi in mostra in via D’Amelio il 19 luglio 2013.
Il primo raffigura la strage di via Pipitone Federico (PA) in cui persero la vita il giudice Rocco Chinnici, due componenti della scorta e il portiere dello stabile.
Il secondo rappresenta Antonino Agostino insieme al padre Vincenzo con sotto il simbolo del segreto di Stato.

Fonte:Antimafiaduemila