Mafia, trattativa e buchi neri: vietato fare domande

di Miriam Cuccu – 19 luglio 2013
relatori

Nell’atrio della Facoltà di Giurisprudenza, dove ha fatto ingresso un coloratissimo corteo di manifestanti che hanno sfilato con i loro striscioni e le agende rosse, ancora una volta magistrati, giornalisti, simboli della società civile chiamano in causa lo Stato ponendosi domande che altrove si scontrano con un onnipresente muro di gomma e di colpevole indifferenza. Nella sera di questo 18 luglio una frase su tutte svetta sul convegno organizzato come ogni anno da Antimafia Duemila, pronunciata 21 anni fa dallo stesso Paolo Borsellino: “La mafia mi ucciderà ma saranno altri a volerlo”. Cosa ha portato il giudice ucciso dalla mafia e non solo a pronunciare queste parole è uno dei tanti interrogativi che incontra sistematicamente una tassativa censura.
All’evento, moderato da Giorgio Bongiovanni e Anna Petrozzi, rispettivamente direttore e caporedattore di Antimafia Duemila, subito dopo i saluti del preside della facoltà Antonio Scaglione e del sindaco Leoluca Orlando, e alla lettura dei versi dedicati a Paolo dalla poetessa Lina la Mattina, si sono succeduti i vari interventi, inframmezzati da proiezioni audio e video come la visione esclusiva di quello girato dalla regista Donata Gallo.

“Il 18 luglio di 21 anni fa – ha esordito Bongiovanni – Gaspare Spatuzza racconta di trovarsi in un garage dove la 126 viene imbottita di tritolo”. E’ con questo preambolo che ha presentato l’audio nel quale il collaboratore di giustizia, deponendo al processo Borsellino quater, racconta di aver visto un uomo non appartenente a Cosa nostra partecipare alla preparazione dell’autobomba: “Non lo conoscevo. Ho un’immagine sfocata di quella persona di 50 anni circa. Ho cercato di chiarire chi fosse in questi anni, di chiarire quest’aspetto così delicato, ma non ci sono riuscito. Per me questo è un aspetto fondamentale da chiarire e finché non si è chiarito per me è un problema serio per la mia sicurezza perché ho interesse che sia in carcere più che sia fuori e siccome si presume che questi possa appartenere alle forze dell’ordine. Posso escludere però, in base a quelle che erano le mie conoscenze, che fosse organico alle famiglie mafiose”. Il direttore di Antimafia Duemila ha spiegato che a Spatuzza è stata fatta un’intimidazione in quanto, nonostante stesse rivelando fondamentali dettagli dei retroscena della strage, gli era stato tolto il programma di protezione. “Abbiamo il Paese nelle mani” – aveva confidato il boss Giuseppe Graviano al pentito in un incontro al bar Doney di Roma – grazie all’alleanza stipulata con “quello di Canale5” (Silvio Berlusconi) e il “nostro compaesano” (Marcello Dell’Utri).
“E’ vietato in Italia farsi domande sul perché la mafia oggi esiste ed è viva e vegeta, anche se la risposta appare semplice in quanto è la politica che vuole che ci sia e continui ad esserci” ha detto il giornalista Saverio Lodato. “Un altro divieto è quello di pretendere che venga posta la parola fine alla storia criminale infinita che vede la mafia come protagonista. In oltre sessant’anni il nostro Paese è stato martoriato dalle stragi e tutti abbiamo capito che dietro c’è dell’altro, ma parlarne è vietato”. Sono tanti i segreti che aleggiano ancora sugli omicidi eccellenti che hanno insanguinato le strade e fatto saltare in aria palazzi, autostrade, monumenti. “Vogliamo sapere – ha continuato Lodato – chi ha detto a Giuliano di sparare a Portella della Ginestra, chi ha suggerito di uccidere Mattei e De Mauro, sapere cosa c’entra Andreotti con la morte di Sindona, sapere la verità su quella di Calvi e sulle stragi del 1992-1993. Siamo in attesa di ritrovare i documenti di dalla Chiesa, dei diari di Falcone, dell’agenda rossa di Borsellino che per lo Stato non è mai esistita nonostante le testimonianze di tutti i familiari ne certificassero l’esistenza. Oggi possiamo dirlo, è vietato chiamare in causa lo Stato e men che mai parlare di patto Stato-mafia prima, dopo e durante le stragi. E su certe verità, lo abbiamo capito, si preferisce non indagare”. Nonostante tutto qualcuno che ancora indaga su questi buchi neri c’è, e come in una storia che si ripete, si trova al centro di continui attacchi da parte di quel potere che si ostina a tenere sigillati i propri scheletri nell’armadio. “Sono stanco di vivere in un Paese in cui è necessario predisporre misure  di protezione sempre più rigide per dei magistrati che fanno solo il proprio dovere” eternamente bersagliati “dal doppio fuoco degli attacchi strumentali e intimidatori” ha affermato Vittorio Teresi, procuratore aggiunto di Palermo, alludendo alle difficoltà incontrate dai pubblici ministeri che si occupano del processo sulla trattativa Stato-mafia, che ha visto fioccare critiche dentro e fuori dalla magistratura. “La magistratura che cerca la verità è oggi un corpo estraneo allo Stato. Quei magistrati che indagano, che applicano la costituzione, vengono presi a colpi di provvedimenti disciplinari. Alcuni vengono colpiti semplicemente perché hanno descritto la verità delle cose, così come è stato con il provvedimento disciplinare nei confronti di Scarpinato e Di Matteo. Poi vengono avanzati conflitti di attribuzione per screditare il lavoro, oppure tirate fuori vecchie storie come è successo con Messineo, solo perché ha presenziato al processo sulla trattativa Stato-mafia. E il messaggio che si dà è che chi entra in quel processo pagherà comunque un prezzo sia esso giudice inquirente che giudicante. Diventa un messaggio al prossimo procuratore di Palermo per far capire quel che accadrà qualora appoggerà o darà il proprio sostegno a certe inchieste” ha detto Antonio Ingroia. Leader di Azione Civile ed ex pubblico ministero di Palermo, che quel ‘modus operandi’ lo conosce bene.
Bongiovanni ha poi tenuto a precisare al pubblico presente che “la trattativa c’è stata e non si tratta di un’invenzione”. “Certe sentenze come quella di ieri al processo Mori (conclusasi con l’assoluzione degli ex ufficiali del Ros, ndr) fanno veramente riflettere e mi preoccupa vedere che possano esserci giudici che, oltre ad assolvere, invitano alla Procura ad indagare sul colonnello Riccio e su Massimo Ciancimino pur ammettendo il fatto. Se oggi siamo arrivati al processo sulla trattativa è anche per questo ragazzo che ha raccontato delle cose che hanno fatto tornare la memoria a politici smemorati a distanza di 17 anni”.
Di seguito sono stati analizzati molti altri aspetti che, da vent’anni a questa parte, impediscono di far riemergere la verità e di ottenere giustizia sul capitolo mafia e potere che ha determinato l’avvio della strategia stragista dei primi anni ’90, la quale è solo “la parte visibile di un iceberg sommerso nelle profondità di ben più terribili segreti che si annidano dietro le nostre stragi” ha detto il procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato nel corso di un breve intervento. “E’ preoccupante come ancora oggi sia ancora in pieno svolgimento la guerra contro l’informazione e il sapere sociale sulla mafia, mistificata e manipolata nonostante la celebrazione di decine e decine di processi come quello a Giulio Andreotti, o della trattativa Stato-mafia”. “Il binomio mafia e potere e i tanti delitti politici – ha continuato – sono considerati un tema scabroso, al quale si aggiunge la rimozione, nelle commemorazioni pubbliche, di tutti i possibili riferimenti al coinvolgimento del potere nelle vicende di mafia”.
Il timore che questo atteggiamento continui ad aggravarsi è tangibile al tavolo dei relatori e, ahinoi, non così impossibile da concretizzarsi. Specialmente di fronte a un rischio tutt’altro che remoto di aggravare le condizioni già critiche nelle quali si stanno svolgendo alcuni dei processi più importanti e contestati, come quello sulla trattativa, al centro di “polemiche e prese di posizione di chi crede di avere già in tasca tutte le risposte, che crede di poter disorientare l’opinione pubblica meno attrezzata in materia di cultura giuridica e quella degli addetti ai lavori” ha asserito con preoccupazione il procuratore aggiunto di Palermo Vittorio Teresi, uno dei pm che si occupa del processo in corso a Palermo. “Temo che al di là di ciò esista una larga fetta di pensatori che questo processo non lo vogliono. Prego tutti di fermarsi, di lasciare lavorare quei giudici. Quel processo si sta facendo e si continuerà a fare fino alla sua naturale conclusione, qualunque cosa possa essere” e “chi non lo vuole si rassegni!”.
Domenico Gozzo, procuratore aggiunto di Caltanissetta, nella lettera che ha scritto in occasione del convegno ha parlato di quelle altre entità che insistentemente si presentano nello scenario delle stragi: “Paolo Borsellino disse ‘sarà la  mafia a uccidermi ma altri la agevoleranno’, Falcone parlava di ‘menti raffinatissime’… queste tracce di ‘altro’ sono presenti nelle indagini su mafia e stragi”. “Fino al 2008 le indagini su via D’Amelio sono state oggetto di, come disse il procuratore Lari, ‘un colossale depistaggio’” di fronte al quale è necessario porsi delle domande affinchè lo Stato trovi il coraggio essere finalmente fedele rappresentazione di quei principi sanciti dalla nostra Costituzione. Lo dobbiamo a Paolo e alla dolce Agnese, a Giovanni e Francesca, ad Agostino, Vincenzo, Walter, Eddi e Claudio, a Emanuela, il cui corpo è stato sbattuto nelle prime pagine dai quotidiani che non hanno neanche avuto il coraggio di scusarsi. Lo dobbiamo ai morti del ’93 e ai carabinieri che non sono morti nell’attentato mai attuato allo Stadio Olimpico di Roma, a noi stessi, ai nostri figli e questa Italia perchè le fondamenta di questa democrazia siano più salde”.
“Quando finalmente si arrivò al dibattimento dei processi Borsellino quater e trattativa Stato-mafia credevo di essere arrivato al punto a cui avevo da anni anelato” ha detto Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso. “Credevo che si fosse realizzato ciò che mi sembrava impossibile: lo Stato che processa se stesso” tuttavia “ è stata solo un’illusione perchè mi sono accorto che lo Stato poi assolve se stesso: è quello che è successo con la sentenza sulla mancata perquisizione del covo di Riina e con la sentenza di ieri al processo Mori che mi ha lasciato una profonda inquietudine” avvertita da tutti i presenti. “Ho paura – ha proseguito il leader del movimento delle Agende Rosse – che un giorno potrei sentire, come per il processo Mori, che anche la trattativa Stato-mafia non costituisce reato, che era necessaria per salvare i politici e che Paolo sia stato sacrificato sull’altare della ragion di Stato. Non potrei accettarlo. Spero che non succeda e che i giovani che lottano insieme a me possano un giorno conoscere la verità”.  “Noi vogliamo ricordare Paolo Borsellino e gli agenti della scorta cercando la verità: finchè non la troviamo non ci sentiremo mai soddisfatti” ha ribattuto Bongiovanni, direttore di Antimafia Duemila.
Sotto il cielo limpido di Palermo i volti sono tesi e attenti perché, pur nel sostegno e nella solidarietà che si avverte alla facoltà dove Paolo Borsellino si laureò, la sensazione è quella di camminare in una strada tortuosa e in salita, che può essere percorsa solo se ognuno si fa carico di quegli ideali per i quali Falcone e Borsellino hanno sacrificato la loro vita.

Foto © Giorgio Barbagallo

Fonte:Antimafiaduemila