IGNORANZA E MANIPOLAZIONE

di Giorgio Bongiovanni

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C’era una volta il Partito Comunista Italiano, fondato su nobili valori etici verso il prossimo e su altissimi sentimenti di solidarietà che erano alla base del pensiero del “santo-laico” Antonio Gramsci. Oggi quel Pci non esiste più e ha fatto una fine tanto drammatica quanto penosa. Esclusi Enrico Berlinguer, vero erede di Gramsci, e pochi altri dirigenti , negli anni il partito ha visto susseguirsi al suo interno figure ambigue che, anziché contrastare il potere, hanno preferito la comodità di una poltrona.
Il Partito democratico infatti, che del Pci avrebbe dovuto raccogliere l’eredità, oggi ha stretto accordi ed alleanze con la parte più squallida, corrotta e fascista del centrodestra, incarnato dall’ex premier Silvio Berlusconi.
Un atto che fa rivoltare nella tomba Gramsci e tutti i partigiani comunisti che hanno dato la vita per il nostro amato Paese.
Qualcuno potrebbe obiettare che anche in passato il Pci ha stretto patti per governare (allora con la  Dc) ma si dovrebbe anche ricordare il momento storico in cui si viveva all’epoca, in particolare sul piano internazionale, con la Guerra Fredda che rischiava di schiacciare nel mezzo il nostro Paese.

Ma l’immagine del declino non sembra davvero avere fine quando si leggono interventi come quello ad opera di Francesco Macaluso, ex senatore ed ex direttore de “L’Unita, che in una lettera inviata ieri al quotidiano “Il Foglio” di Giuliano Ferrara, prende le difese del giornalista Claudio Cerasa analizzando erroneamente il processo che vede imputati il generale Mario Mori ed il colonnello Mauro Obinu per la mancata cattura di Bernardo Provenzano a Mezzojuso, nel 1995.
Nella sua trama Macaluso dimostra tutta la propria “ignoranza” sul tema. Non è la prima volta che Macaluso prende un abbaglio simile. Ancora non ha chiesto scusa per le sue dichiarazioni a difesa dell’indifendibile Giulio Andreotti prescritto (non assolto) per il reato di associazione a delinquere (in quegli anni non c’era ancora il reato di associazione mafiosa, 416 bis) “commesso fino alla primavera del 1980”.
Nella sentenza è espresso chiaramente che il 7 volte presidente del Consiglio Giulio aveva manifestato fino al 1980 “segni autentici – e non meramente fittizi – di amichevole disponibilità, idonei, anche al di fuori della messa in atto di specifici ed effettivi interventi agevolativi”, contribuendo così “al rafforzamento della organizzazione criminale, inducendo negli affiliati, anche per la sua autorevolezza politica, il sentimento di essere protetti al più alto livello del potere legale”.
Nonostante queste parole siano messe nero su bianco parte della stampa italiana e diversi giornalisti, hanno sempre parlato dell’assoluzione di Andreotti.
E oggi come allora, senza entrare nel merito, Macaluso si trova a criticare la magistratura di Palermo per l’inchiesta sulla trattativa ed in particolare per il processo che vede alla sbarra Mori ed Obinu.
Non ricordo di aver mai visto Macaluso, in questi anni, alle udienze del processo Mori (che noi di ANTIMAFIAduemila abbiamo seguito con costanza). Non ricordo di aver letto di sue indagini a livello giornalistico o politico sul tema della trattativa o affini. Ho invece letto quello che ha scritto dove emette sentenze dimostrando di non aver letto, o ascoltato, con la dovuta attenzione requisitorie dei pm ed arringhe degli avvocati.
Ed è per questo che la sua “sentenza” diventa un insulto all’intelligenza delle persone che invece hanno letto e studiato tali documenti.
Personalmente mi sento offeso nel leggere certe considerazioni e ancor di più quando si “mescolano le carte” inserendo nel contesto del mancato blitz a Mezzojuso, per cui i due ufficiali del Ros sono indagati, le ombre del maresciallo della Guardia di Finanza Giuseppe Ciuro, in passato collaboratore di Ingroia, e quelle del maresciallo del Ros Giorgio Riolo.
Nel suo teorema Macaluso, che riprende le dichiarazioni inserite nella “memoria” di Mori al processo, riporta che nel 2004 Ingroia, il pm Antonino Di Matteo ed altri sostituti sottoscrissero un documento in cui si fa presente che “da molti anni” i due “traditori” avevano fornito “notizie segrete e rivelazioni sulle indagini dei Ros finalizzate alla cattura dei latitanti Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro”. E secondo questa base sarebbe evidente che “se Provenzano non veniva catturato era perché uno stretto collaboratore del dott. Ingroia lo informava di tutte le mosse dei Ros e dei magistrati”. Niente di più falso e del resto basta guardare le date.
La contestazione mossa a Mori e Obinu di avere favorito la latitanza di Provenzano riguarda quanto fatto fino al 1996, ovvero quasi dieci anni prima rispetto al “tradimento” di Ciuro e Riolo.
Senza considerare che l’accusa di Ciuro e Riolo era per fatti completamente diversi con il primo che fu accusato di informare il re della sanità Michele Aiello, mentre il secondo venne processato per concorso esterno in associazione mafiosa per fatti avvenuti dal 2001 al 2003. Alla luce di ciò ecco che l’accusa nei confronti della Procura di Palermo diventa priva di senso.
Ma se per quanto riguarda il signor Macaluso è forse possibile parlare di “ignoranza in buona fede”, in quanto non conosce a fondo le carte, ben diverso è il discorso nei confronti dei redattori de “Il Foglio”.
Loro, alle volte presenti ai processi (seppur a braccetto con qualche avvocato di imputati mafiosi) sì che conoscono le carte e ben sanno di confondere la verità, manipolandola.
E lo fanno mettendo in atto una continua e programmatica mistificazione della realtà.
Così come in passato hanno assolto Andreotti oggi raccontano una storia diversa allontanando le accuse a chi ha stretto accordi con Vito Ciancimino e ha ignorato le segnalazioni del colonnello Riccio permettendo, con undici anni d’anticipo, la cattura di Bernardo Provenzano. E l’unica spiegazione che riesco a darmi di questa mistificazione della verità è nel fatto che il “Foglio”, seppur con minor lettori rispetto a “Il Giornale” e “Libero”, resta pur sempre in “orbita Berlusconi”, ovvero vicina ad un personaggio che come minimo è stato vittima “consenziente” della mafia (in quanto non ha mai denunciato i suoi “estorsori”), e come massimo è egli stesso un uomo connivente con la mafia (già il suo grande amico Marcello Dell’Utri è stato condannato in Appello per concorso esterno in associazione mafiosa ndr).
E di questo programma di manipolazione è ovviamente parte attiva il direttore Giuliano Ferrara, ex uomo della Cia (per sua stessa ammissione), ex amico di Craxi e oggi amico di Silvio Berlusconi. La sua responsabilità è evidente da tempo. E’ impossibile dimenticare il suo appello criminale quando, caso unico in Italia, in prima serata, durante la trasmissione “Radio Londra” in onda sulla rete ammiraglia della Rai (programma fortunatamente chiuso per i bassi ascolti), ha indicato alla mafia i volti di Antonio Ingroia ed Antonino Di Matteo come quei magistrati “da colpire ad ogni costo” in quanto “responsabili dello scempio della magistratura”. Un fatto che lo porta ad essere non solo un venduto al potere ma anche un possibile complice di un assassinio che Cosa nostra potrebbe effettuare nei confronti di due uomini simbolo della lotta alla mafia.
E questo lavoro di linciaggio mediatico nei confronti di Ingroia e Di Matteo è tutt’altro che finito e prosegue anche con queste nuove manipolazioni create ad arte da un doppio fronte.
Da una parte quella messa in atto per ingannare anche quei cittadini ed imprenditori onesti che, in buona fede, si trovano a leggere “Il Foglio” e sono vicini ideologicamente al Pdl berlusconiano.
Dall’altra, ed è forse quella più drammatica, la mistificazione ad opera di un vecchio dirigente del Pci che, facendo finta di essere contro, si trova a fare il gioco della mafia e del potere.
E’ lo stesso errore commesso in passato da quei dirigenti che un po’ per vigliaccheria e in parte per invidia, hanno permesso a Cosa nostra di uccidere uno degli eredi più grandi di Gramsci: Pio La Torre.
E oggi scopriamo che c’è una parte della sinistra che ha avuto a che fare con la prima trattativa, quando i politici hanno deciso di scendere a patti pur di evitare di essere uccisi. Una sinistra che, a causa della propria omertà (anche se oggi ci sono personaggi come Martelli che, seppur in ritardo di vent’anni, stanno dando il proprio contributo con la giustizia) diventa complice del potere che non vuole la verità o peggio, della stessa criminalità organizzata.

Fonte:Antimafiaduemila