Unione Europea, un gioco truccato

di Alberto ContiMegachip.

greceuro

Quella dell’euro è stata un’avventura forzata per i popoli europei e un gioco d’azzardo per il mondo degli affari e della finanza.

Si è puntato tutto sul corpo dottrinario neoliberista: abbattimento totale delle barriere doganali, cioè libera circolazione di merci e capitali, indipendenza delle Banche Centrali e abolizione della sovranità monetaria dei singoli Stati membri, sostituita dal rigoroso pareggio di bilancio tra spesa pubblica e fiscalità, interdizione degli “aiuti di Stato”, cioè rinuncia alla protezione di settori produttivi strategici in difficoltà e alla promozione di settori innovativi e virtuosi, privatizzazione spinta dell’economia reale, compresi servizi pubblici essenziali e sistema bancario, sdoganamento delle lobby che esprimono interessi privati corporativi, cioè totale condizionamento di quel poco che rimane alla sovranità di Stato basata sul principio democratico, di conseguenza svuotato del suo contenuto originale.

 

Il premio in palio dichiarato era la stabilità economica, come valore in sé e come premessa e promessa dell’unione politica di un’Europa immaginata libera, giusta e portatrice di civiltà e benessere.

La partita della stabilità elevata al rango di patto sociale è stata chiaramente persa, come evidenzia la dinamica dei fatti (osserviamo oggi un’Europa instabile, schiavizzata, ingiusta e impoverita), per due pesantissime concause: la crisi globale e strutturale del contradditorio modello economico dominante, principalmente “made in USA”, e la gara competitiva tra i partecipanti al progetto Europa, truccata dalle politiche salariali tedesche, che ha rappresentato la complicanza mortale di un sistema già malato.

Infatti una Germania già strutturalmente forte ha potuto praticare, con una determinazione che fa pensare ad una inconfessabile scelta egemonica, una moderazione salariale relativa decisamente più marcata che nei PIIGS, a contenimento esagerato dell’inflazione interna, provocando così differenziali d’inflazione che hanno rapidamente messo fuori gioco gli avversari più deboli nella gara della competitività produttiva e commerciale.

Questo ha prodotto flussi costantemente monodirezionali di merci esportate e corrispondente denaro importato, in un contesto sistemico incredibilmente privo di meccanismi compensativi automatici come negli USA, dove da sempre esiste un unico debito pubblico federale il cui costo in interessi è minimizzato dalle politiche monetarie della FED.

Al contrario la BCE per Statuto non può e non vuole intervenire direttamente sui singoli debiti pubblici dei partecipanti, abbandonati a se stessi ed agli attacchi finanziari speculativi che amplificano gli spread, aggravando ulteriormente i differenziali di competitività. In pratica è un meccanismo micidiale che crea disomogeneità e instabilità nel cuore del sistema Europa.

 

Ma un gioco d’azzardo truccato a più livelli non è più un gioco, è una truffa, e la prova sono gli effetti devastanti che produce, come l’esplosiva sperequazione sociale di redditi e ricchezze in tutti gli Stati, l’esplosione di debiti prima privati e poi pubblici, l’esplosione del gap competitivo nord-sud (fenomeno PIIGS+Francia), la desertificazione del tessuto produttivo nelle aree più colpite, episodi d’insolvenza assistita con un accanimento terapeutico interessato e sadico, sofferenze e tensioni sociali, populismi e derive fasciste, ecc. ecc.

 

A questo punto ci dobbiamo chiedere: è ancora possibile salvare democraticamente, tramite riforme parziali e progressive, questo progetto di moneta unica con tutto il suo contorno di scelte politiche radicalmente iperliberiste prese sopra le teste dei cittadini europei, ormai divisi e scontenti, confusi da una disinformazione di massa oligopolistica che crea falsi bersagli e risentimenti incrociati?

Ma soprattutto quanto tempo potrà ancora durare quest’ordine sociale di cui l’euro è sostanza e ideologia? Arriverà il momento in cui gli squilibri non potranno più essere risanati da qualsivoglia strumento “straordinario” ancora organico alla struttura esistente.

Dopo i drammi sociali sempre più gravi in Grecia si diffonde come la paura della peste la notizia del giorno, la drammatica notizia di un prelievo forzoso su tutti i conti correnti bancari di Cipro in cambio di “aiuti” per non dover uscire dall’euro, in percentuale dieci volte maggiore, e anche più, a quella che nel 1992 il governo Amato aveva applicato agli italiani.

Ma all’epoca, nonostante la congiuntura sfavorevole, eravamo ancora il terzo paese fondatore dell’euro, dopo Germania e Francia, con una produzione di ricchezza sostanzialmente intatta rispetto ai migliori momenti dal dopoguerra in poi, mentre oggi invece assistiamo sgomenti alla caduta libera di tutti i nostri principali parametri macroeconomici, con una sofferenza sociale ormai incontenibile anche dalla censura mediatica.

Di questo passo saremo proprio noi italiani, nonostante la nostra radicata propensione al risparmio, con tutto il peso relativo dei nostri debiti, a dover dichiarare default e di conseguenza a decretare la fine della partita euro, per tutti i partecipanti.

Ma quale che sarà la causa ultima e decisiva, l’avventura euro si avvia comunque ad un epilogo prematuro quanto inglorioso, con conseguenze tanto più gravi e dolorose per noi quanto più non saranno governate al fine di contenere i danni. E non esistono contromisure di tipo “soft”. Si tratta al contrario di decisioni gravi e giocoforza “rivoluzionarie”, quali ad esempio impedire la fuga di capitali all’estero, salvaguardare ad ogni costo un reddito minimo di sopravvivenza per le fasce più deboli che si infoltiscono drammaticamente, creare lavoro dignitoso per tutti nel momento stesso in cui il lavoro salariato perde i suoi presupposti di base, bloccare l’emorragia di ricchezza operata dagli speculatori finanziari a cui abbiamo “liberisticamente” spalancato le porte, ecc. ecc.

Il liberismo sfrenato che ha inaugurato l’era di questa UE (con questa architettura monetaria) in pochi anni ha provocato tali devastazioni che ormai si presenta definitivamente come un lusso che non ci possiamo più permettere.

Ogni giorno di ulteriore temporeggiamento passivo, di arrendevolezza al “laissez faire” dei fantomatici “mercati”, non fa che aggravare la situazione, rendendo sempre più realistica l’ipotesi ultima di un default disordinato, in stile argentino, con tutto quello che tale calamità comporta.

 

D’altra parte è sempre più chiaro che nulla sarà più come prima, cioè la transizione ad una diversa economia è una certezza più che una previsione: si tratta allora di ideare e realizzare, con la creatività e il coraggio che abbiamo dimostrato in altri momenti difficili, una nostra strada verso il nuovo mondo. Dobbiamo cioè assumerci una responsabilità, l’unico modo per riconquistare dignità e libertà perdute. Si tratta di un mondo opposto rispetto alle false e pericolose “libertà” del liberismo impostoci dall’alto e accettato passivamente da una casta partitica ormai zombificata.

 

Questo si traduce nel meritare individualmente e collettivamente una rinnovata sovranità di popolo, anche monetaria naturalmente, da ricollocare correttamente nel contesto europeo e mondiale, contribuendo così alla determinazione attiva di nuovi e più rispettosi equilibri nel segno della reciprocità, insieme ad altri popoli, a partire dai più vicini a noi, che come noi non aspettano altro che dimostrare spontaneamente la loro buona volontà di coesistenza pacifica e cooperativa in un pianeta di fatto sempre più “piccolo”.

Viviamo definitivamente nell’epoca del fiat money, e non si torna indietro.

Tanto vale rassegnarsi intellettualmente a riconoscere che gran parte di questa enorme responsabilità di gestione deve essere locale, ed è bene e giusto che sia così, secondo il vecchio principio che “pasti gratis non ce n’è”, o che non ci sono diritti senza doveri, che lo Stato siamo noi, e banalità di questo genere, che però troppi sembrano aver dimenticato, terrorizzati come sono da falsi miti e leggende che hanno facile presa, complice la complessità del sistema.

Parafrasando Monti, possiamo dire che dobbiamo essere grati all’euro, perché coi suoi disastri, in parte importati da oltreoceano, in parte di natura autoctona, ci insegna meglio di tanti studi teorici e di tante mediazioni politiche tutto quello che non bisogna più fare, per non perseverare nell’errore.

È vero, il miglior esempio è proprio la Grecia, per convincerci a fare ciò che occorre necessariamente fare, e che qualunque soluzione vera ai problemi scatenati dall’euro inizia col mandare a casa tutti i suoi paladini irriducibili, Monti in testa, seguito da Bersani, ecc ecc. L’unione europea è cosa troppo importante per lasciare che venga distrutta da questi falsi profeti.

Fonte:Megachip