I preti pedofili e le responsabilità di Ratzinger

Il quadro che ne emerge è quello di un uomo timido, ritroso e solo, attorniato da poteri incontrastabili. Ma le sue responsabilità personali non possono essere cancellate: a partire da quelle legate allo scandalo pedofilia.

di Vania Lucia Gaito, da vanialuciagaito.it

C’è un limite oltre il quale la rilettura degli avvenimenti diventa imbarazzante revisionismo. Soprattutto se, a mettere in opera il proprio talento, è un giornalista di spessore, che la Chiesa e il Vaticano li conosce bene.

Gianluigi Nuzzi, nel suo “La scelta del Papa” (film documentario andato in onda il 23 marzo su La7), ha proposto una interpretazione del pontificato di Ratzinger che fa riflettere. Il quadro finale è quello di un uomo timido, ritroso e solo, attorniato da poteri incontrastabili, ai quali non ha né saputo né potuto opporsi. E alla fine, consapevole della propria inadeguatezza, ha lasciato la Chiesa e il Vaticano nelle mani di un successore che potesse essere in grado di assolvere il compito con più fermezza e con maggiori forze, fisiche e forse spirituali.

Tuttavia, il quadro proposto da Nuzzi, è quantomeno incompleto. Prima di tutto, è difficile pensare che un cardinale, per di più Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede (che un tempo si chiamava Sant’Uffizio e prima ancora Santa Inquisizione) equiparabile quindi ad un ministro del governo, non sia in grado di prevedere quali possano essere le conseguenze di alcune “leggerezze”, come la citazione dell’imperatore Manuele il Paleologo nel discorso di Ratisbona, o la revoca della scomunica al vescovo negazionista Williamson, o l’affermare che l’uso del preservativo peggiora il problema della diffusione dell’Aids in Africa. Poi perché, quando si espongono alcuni fatti, tralasciandone altri, si rischia di falsare la prospettiva e “spingere” il lettore o lo spettatore verso una certa conclusione. E, se parliamo della gestione dello scandalo della pedofilia nella Chiesa, non è ammissibile tralasciare alcunché.

Partiamo dal principio. Nel 2001, Joseph Ratzinger è il Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, strettissimo collaboratore di Giovanni Paolo II. In quell’anno, mentre negli Stati Uniti ingrossava lo scandalo, Ratzinger emanò una circolare ai vescovi conosciuta come De delictis gravioribus. In quella circolare, firmata anche da Tarcisio Bertone, non solo si richiamavano le direttive di segretezza contenute nel Crimen Solicitationis ma si avocava alla Congregazione per la Dottina della fede ogni competenza in merito ai processi canonici per i sacerdoti accusati di pedofilia. In pratica, i sacerdoti accusati di abusi sui minori non sarebbero più stati processati dai tribunali diocesani bensì in Vaticano. E qui c’è bisogno di una precisazione. Importante. Perché, istruendo i processi in Vaticano, tutti gli atti sarebbero stati conservati in Vaticano, e non sarebbe stato più possibile per qualunque tribunale civile ordinare ad un vescovo di aprire gli archivi della propria curia, come avvenne con il cardinale Law a Los Angeles. Con i documenti in Vaticano, qualunque tribunale, per accedervi, deve ricorrere alla rogatoria internazionale, cioè fare una richiesta a uno Stato straniero perché consenta la visione dei documenti.

Una richiesta a cui non è mai seguita risposta positiva da parte del Vaticano. Tanto per fare un esempio, nel 2006 la commissione Murphy, che si occupava in Irlanda delle migliaia di casi di abusi commessi da sacerdoti cattolici, inviò una richiesta formale per avere informazioni su tutti i rapporti, riguardanti gli abusi sessuali commessi dai sacerdoti, “inviati alla Congregazione dall’arcidiocesi di Dublino”. La Congregazione non rispose mai alla richiesta, adducendo come pretesto il fatto che la stessa non fosse stata inoltrata attraverso gli appropriati canali diplomatici. Nessuna risposta neppure quando la stessa richiesta fu inviata al Nunzio Apostolico.

L’operato della Chiesa istituzionale e del Vaticano, anche durante l’epoca di Ratzinger prima come prefetto e poi come pontefice, fu essenzialmente teso a proteggere i sacerdoti accusati e i vescovi che li avevano coperti. E perfino il decantato incontro con le vittime, durante il viaggio di Benedetto XVI negli Stati Uniti, non fu una scelta del papa ma una necessità a cui dovette sottomettersi per l’incalzare degli eventi. L’incontro non era in programma, tuttavia le manifestazioni pubbliche delle associazioni delle vittime furono così determinanti che alla fine il papa fu costretto all’incontro. Un incontro assai particolare, che non durò neppure mezz’ora, con soltanto cinque delle oltre tredicimila vittime, che furono ricevute in piedi, nella cappella della nunziatura apostolica. Nel frattempo, uno degli anfitrioni del papa durante quel viaggio fu il tanto tardivamente discusso cardinale Mahony. E un altro fu il cardinale Egan, anch’egli accusato di aver coperto gli abusi durante il periodo in cui fu arcivescovo di Bridgeport.

Le pubbliche scuse, a raffronto con l’operato della Chiesa, sembrano più operazioni di facciata che non dovute a reale contrizione. Perfino il documento, tanto sbandierato, che prevedeva l’obbligo da parte dei vescovi di denunciare i sacerdoti accusati di abusi su minori alle autorità giudiziarie civili, in realtà sanciva tale obbligo soltanto per i vescovi che operano in paesi in cui tale denuncia obbligatoria è già prevista dalle leggi dello Stato. In pratica quel documento non serviva a tutelare i bambini ma la chiesa istituzionale.

In ultimo, la pretesa del Vaticano di “non sapere” è quantomeno inverosimile. Fin dal 1952, infatti, esiste una congregazione religiosa chiamata Servi del Paraclito, poi aggregata all’ordine dei Carmelitani Scalzi, la cui missione è l’assistenza ai sacerdoti con quelli che caritatevolmente vengono definiti “problemi psicologici”. Molto caritatevolmente, perché la natura di tali problemi psicologici risulta evidente da una serie di lettere inviate fin dagli anni cinquanta dal fondatore della congregazione, padre Gerald Fitzgerald, a vescovi, arcivescovi ed esponenti della Curia Romana in cui faceva presente la necessità di allontanare dal sacerdozio i preti che non praticavano la castità, particolarmente quelli coinvolti in casi di pedofilia.

Mi fermo qui, anche se ci sarebbe molto altro da dire. Basta solo questo a riequilibrare la completezza di informazione. Perché il giornalismo d’inchiesta non si trasformi in giornalismo a richiesta.

(26 marzo 2013)