Anche l’Anm è un Sinedrio?

di Giorgio Bongiovanni – 11 settembre 2012

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Al primo punto dello statuto dell’associazione nazionale magistrati troviamo scritto che l’associazione stessa si propone di “dare opera affinché il carattere, le funzioni e le prerogative del potere giudiziario, rispetto agli altri poteri dello Stato, siano definiti e garantiti secondo le norme costituzionali”. Subito dopo si legge che l’associazione si impegna a “propugnare l’attuazione di un Ordinamento Giudiziario che realizzi l’organizzazione autonoma della magistratura in conformità delle esigenze dello Stato di diritto in un regime democratico”.

Il terzo punto è ancora più esplicito e si propone di “tutelare gli interessi morali ed economici dei magistrati, il prestigio ed il rispetto della funzione giudiziaria”. Bellissime parole, per carità. Ma al di là dello statuto qual è la vera funzione dell’Anm? Questa è realmente a tutela dei magistrati così come recita il suo ordinamento?
Dopo l’ultimo episodio relativo alla nota del presidente dell’associazione magistrati, Rodolfo Sabelli, nei confronti di Antonio Ingroia e Nino Di Matteo ritengo che la definizione di “Sinedrio” da me utilizzata in altri editoriali per rappresentare il Csm possa valere perfettamente anche per l’Anm.
Ogni qualvolta quei magistrati che conducono indagini delicatissime sulle stragi del ’92 e del ’93 o sulla trattativa Stato-mafia vengono sovraesposti dalla stragrande maggioranza dei media nazionali che amplificano gli epiteti di “eversivi” o “politicizzati” (per citare solo quelli più attuali) rivolti loro dalla politica l’Anm non solo sta in silenzio (che è già un gravissimo errore), ma addirittura agevola a tutti gli effetti questa vera e propria persecuzione.
Come dobbiamo definire l’Anm? Politicizzata, indolente o schierata con il potente di turno? E’ forse il presidente Sabelli quello “politicizzato” che si aggrega al potere ed attacca i magistrati, o siamo di fronte ad un atteggiamento legato ad invidie e gelosie? Oppure – e questa è l’ipotesi più atroce – c’è una coalizione di poteri, magistratura compresa, che deve fermare questi determinati magistrati per una “ragione di Stato”?
Quante volte i magistrati hanno partecipato a convegni culturali, di partito, o addirittura a sfondo religioso?! Ricordo ad esempio la partecipazione nel ’93 di Giancarlo Caselli (il quale ha giustamente replicato a Sabelli che la critica rivolta ad Ingroia e Di Matteo valeva anche per lui in quanto egli stesso era stato relatore alla festa del Fatto) al convegno delle chiese in Sicilia per parlare di come la chiesa cattolica avesse tollerato la “sacralità atea della mafia”. In simili occasioni non ricordo di qualcuno che si sia “stracciato le vesti” per lo scandalo.
A questo punto è solo questione di decidere se si possa o meno intervenire a incontri e dibattiti? O siamo invece di fronte ad un uso funzionale della censura nei confronti di certi magistrati messa in atto da un sistema di potere?
Nessuno – nemmeno il Presidente della Repubblica – può ipocritamente farsi scudo di una “ragione di Stato” per bloccare le indagini sulla trattativa, se così facesse scatenerebbe una rivolta popolare; per il potere quindi l’unica strategia da perseguire resta quella di fermare i magistrati in un altro modo. Nella migliore delle ipotesi con l’arma della delegittimazione e dell’isolamento. Nella peggiore delle ipotesi indicandoli al nemico quali vittime sacrificali.
Fino a quando l’Anm permetterà che tutto questo accada?

Fonte:Antimafiaduemila