Trattativa Stato-mafia: indagati l'ex ministro Conso e il boss Brusca

Trattativa Stato-mafia: indagati lex ministro Conso e il boss Brusca
(AGI) – Palermo, 13 giu. – L’ex ministro della Giustizia Giovanni Conso, 91 anni, e il boss Giovanni Brusca, di 55, sono altri due degli indagati nell’ambito del fascicolo sulla cosiddetta trattativa fra Stato e mafia.

Conso risponde di false informazioni al pubblico ministero: l’inchiesta su di lui e’ dunque sospesa, in attesa della definizione del fascicolo principale, almeno con la sentenza di primo grado. Brusca risponde invece dell’accusa principale: violenza o minaccia a corpo politico, amministrativo o giudiziario dello Stato.
L’avviso di conclusione delle indagini preliminari sta per essere notificato a tutti gli indagati.

Conso aveva revocato una serie di provvedimenti di sottoposizione di boss mafiosi al carcere duro, o di attenuazione dello stesso regime detentivo, cosiddetto del “41 bis”. Alla fine, dopo un lungo dibattito interno e la risoluzione di una controversia giuridica di non poco momento, la procura non gli contesta ne’ la trattativa ne’ di avere ceduto alle pressioni mafiose, ma solo le false informazioni ai pm. Per indagare su questo tipo di reato occorre attendere la definizione del processo in tribunale: dunque l’iscrizione dell’anziano ex guardasigilli e’ solo virtuale. Conso aveva detto, sia ai magistrati che in commissione Antimafia, di avere deciso in autonomia e in solitudine le revoche dei provvedimenti carcerari contro i boss. Un dato non credibile, secondo l’accusa, che ritiene che dietro ci sia un complesso meccanismo di condivisione di responsabilita’ a vari livelli del ministero della Giustizia, del Dipartimento dell’amministrazione giudiziaria e della politica.

Brusca risponde come concorrente nel ricatto allo Stato. La linea dettata dal pool coordinato dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia non e’ pero’ unanime: il pm Paolo Guido nei giorni scorsi ha lasciato il gruppo inquirente per un dissenso con la linea ufficiale, che a suo avviso non e’ dimostrabile in un dibattimento. Guido dunque non firmera’ l’avviso e non dovrebbe farlo nemmeno il procuratore capo, Francesco Messineo, ufficialmente perche’ non titolare formale del fascicolo. Nei giorni scorsi era stato l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino a essere iscritto nel registro degli indagati della Procura di Palermo, con l’ipotesi di falsa testimonianza.

Nell’indagine sono coinvolti pure i generali Mario Mori e Antonio Subranni, l’ex tenente colonnello Giuseppe De Donno, l’ex ministro dc Calogero Mannino, il senatore del Pdl Marcello Dell’Utri, i boss Toto’ Riina, Bernardo Provenzano e Nino Cina’. Recentemente e’ stato riascoltato come teste, un altro ex ministro dell’Interno, Vincenzo Scotti, a proposito di alcuni fatti da lui raccontati nel recente libro “Pax mafiosa o guerra?”, e per altre circostanze. Obiettivo dell’accusa, chiarire le ragioni del siluramento del “duro” Scotti, sostituito al Viminale, nei giorni caldi del ’92, tra la strage di Capaci e quella di via D’Amelio, proprio da Mancino.

La posizione dell’ex vicepresidente del Csm e’ cambiata, nelle ultime settimane, dopo che lo stesso ex presidente del Senato aveva deposto al processo Mori, il 24 febbraio scorso. Sapeva o no, Mancino, dei contatti fra i carabinieri del Ros e Vito Ciancimino e ne conosceva le finalita’? Secondo i magistrati, si’: e lo scopo era cedere al ricatto dei boss e offrire loro impunita’, in cambio della rinuncia all’aggressione terroristica e ai progettati omicidi di uomini politici. L’ex titolare del Viminale aveva sempre escluso anche di avere incontrato Paolo Borsellino, il giorno del suo insediamento al Viminale, il primo luglio 1992. Al processo Mori aveva fatto una parziale correzione di rotta. Ma non aveva saputo spiegare perche’, nel ’93, lo Stato rispose alle bombe di Roma, Firenze e Milano facendo togliere il carcere duro a circa 500 mafiosi.
fonte: la stampa