Il movimento per l’acqua dopo la vittoria referendaria e dentro la crisi

di Corrado Oddi* – www.altramente.info

acqua pubblica 20120507

1. Può essere di una qualche utilità produrre un ragionamento sul movimento per l’acqua bene comune un po’ meno legato alla contingenza del momento e cercando di avere uno sguardo più lungo. Come si suol dire, un ragionamento di bilancio e di prospettiva.

L’occasione può essere offerta dal fatto che, da una parte, il movimento per l’acqua compie i suoi dieci anni di vita, visto che le sue premesse furono gettate al Forum Sociale europeo di Firenze del 2002 e, dall’ altra, siamo a 9 mesi dalla scadenza referendaria, che ha dato ad esso un po’ più di visibilità ed emersione di una storia che continua ad essere poco conosciuta e, molto spesso, vista con lenti deformate.

La tesi che intendo sostenere, solo apparentemente contradditoria, è che, da una parte, il movimento per l’acqua ha caratteristiche originali e specifiche nel panorama dei movimenti sociali del nostro Paese che fanno sì che esso possa continuare a svolgere un ruolo significativo anche nella prossima fase e che, dall’altra, il suo futuro, come mai prima, si intreccia con vicende che hanno a che fare con una prospettiva più generale, legata alla costruzione di un pensiero e di una pratica politica in grado di rendere credibile nel Paese la possibilità di un’alternativa di modello produttivo e sociale rispetto alla riproposizione delle ricette neoliberiste che anche il governo Monti persegue.

2. Parto dal primo dei due corni della questione.

Il movimento per l’acqua bene comune si è costruito attorno ad alcuni capisaldi, poco indagati anche perché forse poco teorizzati, che ne hanno fatto e ne fanno un soggetto decisamente peculiare e che spiegano quelli che penso siano stati i due tratti di fondo che ne hanno costituito la sua forza di fondo, e cioè l’aver costituito una larghissima coalizione sociale, forse la più estesa da molti anni a questa parte, che va, come usiamo spesso dire, “dalla parrocchie ai centri sociali” e l’aver dimostrato una persistenza, una capacità di insediamento e durata, anch’essa non banale e scontata. Questi capisaldi si sono sedimentati in ormai dieci anni di lavoro, visto che si può dire che il movimento per l’acqua muove i suoi primi passi già con il Forum Sociale Europeo di Firenze del 2002, dà vita a diverse vertenze territoriali, da Arezzo ad Aprilia, in particolare lì dove avanzano i processi di privatizzazione, diventa movimento nazionale con la nascita del Forum Italiano Movimenti per l’Acqua nel 2006 e con il suo vero atto fondativo, che è costituito dalla predisposizione della proposta di legge di iniziativa popolare depositata ( e mai discussa finora) in Parlamento nel 2007 con il sostegno di più di 400.000 firme.

Il primo di questi è proprio rappresentato dal fatto che questo elemento di unificazione sociale si è prodotto a partire dall’elaborazione di una piattaforma, la legge di iniziativa popolare, appunto, che esplicita i contenuti identitari di fondo del movimento per l’acqua: risorsa da preservare e da governare anche per le future generazioni, ripubblicizzazione del servizio idrico, democrazia partecipativa nella gestione dello stesso. Contenuti che danno sostanza all’idea che l’acqua è bene comune e paradigma dell’insieme dei beni comuni e che riprendono un’elaborazione relativa ad una nuova idea di spazio pubblico, da sottrarre non solo al mercato ma anche all’impianto “statalista” che aveva contraddistinto, nelle sue diverse versioni, il pensiero del Novecento che si era cimentato con la costruzione dell’alternativa al mercato.

Qui si innesta la volontà di dar vita ad un soggetto, il Forum Italiano dei Movimenti per l’ Acqua che si basa, da una parte, sulla diffusione e su un reale radicamento dei Comitati territoriali, e, dall’altra, su un esteso tessuto di associazioni e organizzazioni sociali di carattere nazionale, che vanno dal mondo ambientalista a parti significative del movimento sindacale, dall’associazionismo laico e cattolico ai movimenti dei consumatori. Quest’intreccio – non sempre valutato e considerato nella sua complessità e ricchezza- è, a mio parere, il vero punto di novità e di forza della nostra esperienza, quello che ci ha consentito di attrarre e mettere in campo forze ed energie nuove, soprattutto tra le giovani generazioni, e di poter contare sull’apporto di associazioni e organizzazioni con una loro struttura consolidata, ma disposte a farsi permeare dalla novità di quest’esperienza. Il secondo di questi capisaldi sta nel fatto di essere contemporaneamente movimento territoriale e movimento nazionale, fatto praticamente unico nelle vicende dei movimenti sociali negli ultimi anni, di essere cioè protagonista di una vertenzialità diffusa e contemporaneamente di un’iniziativa nazionale di mobilitazione per modificare il quadro legislativo in materia. E questo rapporto tra radicamento territoriale e ruolo nazionale, almeno nei momenti più fecondi, ha rafforzato entrambi questi livelli di iniziativa, facendo sì che le lotte territoriali non si confinassero in una logica unicamente difensiva e che la vertenzialità nazionale non si esaurisse puramente in uno schema di pressione nei confronti delle istituzioni e delle forze politiche.

Tra l’altro, quest’intreccio, così come quello tre tra Comitati territoriali e Associazioni/organizzazioni nazionali, ha giocato un ruolo molto importante nel delineare un modello poco gerarchizzato e orizzontale nei percorsi decisionali interni, costruito su un’idea di leadership diffusa e orientata alla costruzione e alla ricerca, pur assai complessa, di forme di democrazia partecipativa. Terzo tratto distintivo della nostra esperienza è quello di aver sempre lavorato sul binomio “ opposizione alle scelte di privatizzazione dell’acqua e del servizio idrico- costruzione di proposte alternative”. Non a caso, come già richiamato, sin dal 2006-2007 abbiamo elaborato una compiuta proposta di legge di iniziativa popolare per la tutela, il governo e la gestione pubblica dell’acqua, così come, nel corso di quest’ultima campagna referendaria, non ci siamo limitati, con il 2° quesito, a chiedere un pronunciamento per abrogare il profitto garantito dei soggetti gestori, ma l’abbiamo accompagnato con la messa a punto di una proposta precisa di finanziamento alternativo del servizio idrico, coerente con una logica di gestione pubblica dello stesso, e quindi centrata, oltre che sulla rimodulazione tariffaria, su un nuovo intervento di finanza pubblica e di ricorso alla fiscalità generale.

Infine, il quarto e ultimo caposaldo è rappresentato dall’affermazione di una reale autonomia politica del movimento per l’acqua rispetto agli schieramenti e alle forze politiche, basato proprio sull’ esercizio di una specifica capacità progettuale. Un tratto, questo, non ancora consolidato – infatti sarebbe non realistico non vedere come sono presenti ragionamenti che in un modo un po’ semplicistico stanno dentro una schema oppositivo tra “società civile-sistema politico”, che non è poi altro se non il rovescio della medaglia di posizioni che scontano elementi di subalternità nei confronti del ruolo delle forze politiche- ma che è già portatore dell’idea di una soggettività politica specifica, che si misura alla pari con le istanze provenienti dalla sfera politica. Allo stesso modo abbiamo provato a tematizzare il rapporto con il sistema dei grandi mass-media, che continuano a riproporre un approccio stantio di oscuramento dei soggetti esterni alla “rappresentanza politica” e di spettacolarizzazione leaderistica della dimensione politica. Sia pure in modo non del tutto consapevole, la strategia comunicativa del movimento per l’acqua si è imperniata, contemporaneamente, sullo sviluppo della relazione diretta con le persone, collettiva ma anche di tipo personale, fino a riscoprire nella campagna referendaria la modalità del “porta a porta”, e sull’utilizzo massiccio dei social network e dello strumento del web, senza peraltro disdegnare, quando è stato possibile, la presenza nei grandi organi di informazione giornalistica e televisiva.

3. L’insieme di queste caratteristiche è ciò che determina una persistenza del movimento per l’acqua, sono quelle che ci hanno consentito di predisporre e affrontare la scadenza referendaria, che non è nata improvvisamente, né si è consumata come una “fiammata”, di continuare a produrre sia mobilitazioni nazionali importanti ( l’ultima il 26 novembre scorso) sia vertenzialità territoriale. Ovviamente, ciò non si realizza come pura continuità dell’esperienza messa in campo, né come semplice fatto inerziale, ma ha bisogno di chiarezza negli obiettivi da perseguire e dei percorsi che possono supportarli. Da questo punto di vista, il movimento per l’acqua penso si possa dire che si è attrezzato per stare in campo anche nello scenario post-referendario, caratterizzato, in primo luogo, dal tentativo, più o meno esplicito, di mettere in discussione quel risultato. Stiamo lavorando su due filoni di fondo, il primo relativo alla costruzione progressiva dei processi di ripubblicizzazione del servizio idrico e alla costruzione di un sistema di finanziamento del servizio idrico in cui non c’è più la remunerazione del capitale investito, cioè il profitto d’impresa, il secondo che guarda alla necessità di alzare l’ iniziativa almeno nella dimensione europea.

Per questo siamo impegnati nelle campagna per estendere il passaggio dalla gestione del servizio idrico effettuate da SpA a totale capitale pubblico ad Aziende speciali, sulla scorta di quanto già fatto a Napoli e con l’intenzione di generalizzare questa scelta, a partire da realtà importanti come Torino, Milano, Venezia e molte altre ancora, così come intendiamo contrastare con forza i processi di privatizzazione che vengono rilanciati a partire dalle grandi aziende multiutilities quotate in Borsa, da Acea di Roma alla ventilata e regressiva ipotesi di costituire una megautlity del Nord, che passa per la fusione dei grandi soggetti che operano nei servizi pubblici di Torino. Milano, Genova e poi dell’Emilia-Romagna. Allo stesso modo, proseguiamo nella campagna di “obbedienza civile”, quella con cui diciamo ai cittadini di ricalcolarsi la bolletta dell’acqua senza tener conto del 7% di remunerazione del capitale, voce che doveva essere cancellata all’indomani del referendum e che, invece, continua imperterrita ad essere presente nella tariffa del servizio idrico, con l’obiettivo di giungere ad un nuovo sistema di finanziamento del servizio stesso, coerente con una sua gestione realmente pubblica.

Infine, abbiamo lanciato a dicembre dello scorso anno, e “ufficializzato” nel recente Forum Alternativo dell’Acqua di Marsiglia, la proposta di sviluppare una vera e propria Rete europea per l’acqua bene comune, un luogo comune di tutti i soggetti che si battono per quest’obiettivo in tutt’Europa, con l’idea di contrastare le politiche di “liberalizzazione” dei servizi che verranno ulteriormente avanti a livello continentale, affiancando al rigore mortale della Merkel un tratto apparentemente più liberale, ispirato dalla recente lettera dei 12 capi di governo, in testa Monti e Cameron. E costruendola con un reale processo di mobilitazione sociale e politica, il cui primo passo è rappresentato dall’Iniziativa dei Cittadini Europei ( un milione di firme in Europa) che EPSU, il sindacato europeo dei servizi pubblici, si sta apprestando a far partire, con l’obiettivo che l’acqua sia dichiarata bene comune e non sia soggetta a politiche di mercificazione e privatizzazione.

4. Ma dopo lo straordinario risultato referendario e dentro la più grave crisi economico-sociale dal ’29 ad oggi, tutto ciò non è più sufficiente. E qui vengo al secondo corno della questione, evidenziata all’inizio del mio ragionamento, che può essere rappresentato in questi termini: i referendum del giugno scorso hanno parlato di acqua e nucleare, ma sono stati, politicamente, referendum sui beni comuni. Hanno fatto emergere una domanda politica generale, per cui si può dire che l’idea dei beni comuni, e cioè di beni e di uno spazio che non possono essere consegnati al mercato e di forme di democrazia più avanzata, coerenti con essi, si è definitivamente affermata e ad essa occorre dare risposta. Detto in altri termini: sono tra quelli che hanno sempre pensato che il tema e l’iniziativa del movimento dell’acqua avesse un valore generale, non racchiudile in una sorta di nicchia specifica, ma oggi, anche per la domanda che ha suscitato e nelle mutate condizioni politiche ed economiche, rischia oggettivamente di diventare un soggetto “settoriale” e alla fine scontare anche un ripiegamento.

Senza costruire un orizzonte più largo, se non si fa il salto verso la costruzione di un movimento dei beni comuni, se non si inizia a costruire un nesso con l’altro grande tema che decide del timbro del modello sociale e produttivo, il lavoro ( che, però, non è un bene comune), il percorso progressivamente costruito in questi anni può isterilirsi e, in ogni caso, non essere all’altezza delle questioni di fronte a noi. La recrudescenza della crisi economica e sociale, unitamente al suo governo in chiave “tecnopopulista”, è l’altra variabile che circoscrive e orienta il campo e che rafforza la necessità di questo salto di qualità. Ma qui viene il difficile, perché non abbiamo a disposizione ricette già consolidate e sperimentate e, tantomeno, servono fughe in avanti.

Da questo punto di vista, non mi paiono utili ipotesi che guardano alla costruzione di un nuovo contenitore all’interno del quale far confluire per addizione tutte le tematiche relative ai beni comuni e ai movimenti ad essi collegati, né una sorta di estensione del movimento dell’acqua che diventerebbe, sulla base della stessa logica, una sorta di movimento dei beni comuni; ancor meno produttivo il fatto di affrontare un passaggio diretto verso la rappresentanza politica, come sarebbe l’idea di un qualche soggetto politico dei beni comuni che si misuri con le scadenze elettorali. Lungo questa strada, ho idea che, alla fine, resteremmo senza capra né cavoli, ovvero si finirebbe per rendere asfittiche e prosciugare esperienze importanti, portatrici di orizzonte politico, com’è stata, ad esempio, per le cose dette prima, l’esperienza del movimento per l’acqua, e per non affrontare il tema complesso della costruzione di nuove forme della rappresentanza politica, procedendo in una logica puramente e illusoriamente sostitutiva e incapace di approfondire i nodi che tale tema evoca.

Forse la strada è un po’ meno lineare e richiede più dosi di fantasia e sperimentazione: si potrebbe iniziare a mettere in piedi nei territori luoghi di unificazione dei temi che hanno a che fare con i beni comuni, una sorta di Forum territoriali dei beni comuni, che siano in grado di costruire, contemporaneamente, mobilitazione sociale e capacità progettuale. Si può partire dai territori, non per riproporre una visione “retorica” di partenza dal basso, ma perché è lì che è più “naturale” e maturo realizzare gli intrecci tra i vari beni comuni ( e il lavoro) e, soprattutto, è nel territorio che si può iniziare a ragionare della costruzione di un’ “economia dei beni comuni”, intendendo con essa una progettazione di governo del territorio che coniughi nuova qualità e riconversione ecologica dello sviluppo ( al di là della discussione, un po’ stucchevole, tra crescita e decrescita), nuovo Welfare e investimenti pubblici e forme di democrazia partecipativa nella formazione delle decisioni.

Potrebbero essere questi i contenuti delle “conferenze di produzione territoriale” di cui ha recentemente parlato Guido Viale su Il Manifesto. Accanto a ciò, occorrerebbe dar vita a Forum Nazionali settoriali, in questo sì simili all’esperienza del Forum italiano dei Movimenti per l’Acqua, che si aggregano verticalmente sui singoli beni comuni ( energia, difesa del territorio, istruzione e conoscenza, ecc.), capaci di elaborare proposte e politiche nazionali, che possano sia funzionare come supporto alla vertenzialità territoriale sia essere agite, anche con la mobilitazione, per intervenire nel cambiamento delle politiche settoriali e generali nazionali. L’insieme di queste esperienze potrebbero interagire in una sorta di Rete dei Beni Comuni, vista come luogo di secondo livello dei Forum territoriali e nazionali, che, almeno in una prima fase, diventerebbe luogo di elaborazione e discussione, capace però di poggiare su esperienze sociali reali, e di coordinamento e sviluppo delle iniziative, in termini tali da configurarsi progressivamente come il luogo delle politiche dei beni comuni.

Ovviamente, quest’ipotesi di lavoro è ancora allo stato grezzo e va sicuramente approfondita e affinata, ma, almeno a mio parere, costituisce un terreno di lavoro e ricerca su cui sarebbe utile produrre una discussione ravvicinata. Infine, non mi sfugge che, lungo la strada che ho provata a delineare, si incrocia, prima o poi, anche il tema del rapporto con la rappresentanza politica intesa in senso stretto. Ho accennato velocemente alla mia convinzione che questo è un grande tema aperto, ma che non si può risolvere sbrigativamente. Per affinare un po’ il ragionamento, aggiungo solo che, per quanto mi riguarda, esso non può essere disgiunto dall’affrontare la questione di una sua nuova forma e che anche solo per provare ad immaginarla è decisivo che ci sia una “ società in movimento”. Ma di ciò avremo senz’altro modo di tornare a parlare e, comunque, anche per questo, vale la pena accingersi a lavorare sulle questioni che ho provato a sollevare in queste brevi note.

* FP CGIL Nazionale – Forum Italiano Movimenti per l’Acqua

Fonte: http://altramente.info