UNA QUESTIONE DI SCELTE

di Giorgio Bongiovanni e Lorenzo Baldo

Abbiamo conosciuto Gioacchino Genchi più di dieci anni fa. Spesso lo incontravamo nel suo ufficio quando ancora era consulente informatico delle procure, quando passava molte ore davanti al computer districandosi tra tabulati telefonici per ricostruire minuziosamente i contatti tra i vari indagati, fossero stati mafiosi o uomini politici locali e nazionali. Della sua storia professionale conoscevamo la sua collaborazione con Falcone e Borsellino, così come il suo lavoro di fine investigatore con il pool Falcone-Borsellino nelle indagini sulle stragi di Capaci e via D’Amelio. Negli anni abbiamo convintamente difeso Gioacchino Genchi e il suo operato da attacchi vergognosi sferrati, trasversalmente, da un mondo politico colluso che vedeva in lui un nemico da abbattere. In qualunque modo. L’accanimento politico-giudiziario-mediatico perpetrato nei suoi confronti – e terminato infine con la sua destituzione dalla Polizia – ha rivelato l’obbrobrio di una classe dirigente unita a una certa magistratura e ad alcuni esponenti delle forze dell’ordine completamente integrati all’interno di un potere criminale emerso nelle sue investigazioni. Insieme a tanti italiani onesti ci siamo contrapposti a quella forma di violenza strisciante e abbiamo sostenuto chi come lui aveva osato contrastare quel sistema mafioso. Oggi però non riusciamo a comprendere quella che mediaticamente è stata definita “la nuova vita garantista di Gioacchino Genchi” nella sua veste di avvocato. Non condividiamo in alcun modo la sua scelta di difendere un personaggio vicino ad ambienti mafiosi come l’ex presidente di Confindustria Caltanissetta, Pietro Di Vincenzo, condannato in I° grado a 10 anni di reclusione per estorsione, per il quale attualmente si sta celebrando un processo davanti alla Corte d’Appello di Caltanissetta relativo alla confisca di alcuni beni di sua proprietà del valore di 265 milioni di euro. Per il procuratore generale, Roberto Scarpinato, Di Vincenzo faceva parte di un vero e proprio sistema mafioso e sarebbe stato favorito dalla sua vicinanza con l’ex “ministro dei lavori pubblici” di Cosa Nostra Angelo Siino. Per Gioacchino Genchi invece Pietro Di Vincenzo sarebbe solo una “vittima” della mafia. Ritrovare in un’aula di giustizia un professionista come Genchi, con la sua storia, che tenta di destrutturare il lavoro di un magistrato come Scarpinato, con la sua storia, per cercare di difendere il proprio cliente disorienta pesantemente chi ha conosciuto l’ex consulente delle procure sotto tutt’altra veste. E’ più che giusto che Gioacchino Genchi si ricrei una posizione professionale dopo quello che ha subito ingiustamente. Ma qui si tratta di scegliere chi si vuole difendere e quale percorso si intende seguire. La vita di ogni uomo è costantemente contrassegnata da scelte che ne determinano una direzione piuttosto che un’altra. Molti “giusti” che si sono avvicendati in questa terra hanno scelto da che parte stare manifestando fino alla fine uno spirito di servizio che ha lasciato il segno. In una città come Palermo, più che in ogni altro luogo, si è obbligati a scegliere da che parte stare. Il “debito morale” che ognuno di noi ha nei confronti di questi “giusti” deve essere onorato attraverso scelte consapevoli. Con coerenza, sacrificio, umiltà, determinazione, financo andando oltre se stessi per non tradire quegli ideali dei quali ci si è fatti portatori. Ecco perchè disapproviamo la decisione di Gioacchino Genchi di difendere Di Vincenzo in quanto ci appare come un tradimento nei confronti dei princìpi che lui stesso ha onorato fino a quando ha combattuto la mafia e quei sistemi criminali che sovrastano il nostro Paese. Non si tratta quindi di rimanere “sorpresi” manifestando “critiche” fini a se stesse, ne tanto meno può valere il paragone citato da Genchi relativo alla scelta, sicuramente discutibile, di alcuni pm di passare dalla funzione requirente alla giudicante nello stesso distretto giudiziario. Il nostro ragionamento è più profondo e riguarda unicamente l’essenza della scelta che si compie. Al di là delle parole sono sempre le azioni quelle che restano e che qualificano la vita di un uomo.

Senza alcun rancore, ma con altrettanta franchezza.

 

Giorgio Bongiovanni

Lorenzo Baldo

e tutta la redazione di Antimafia Duemila

 

27 novembre 2011